venerdì 1 aprile 2016

LE TRE PARABOLE DEL GIUDIZIO



Vengono ora proposte «tre» parabole che hanno per tema il "giudizio" e riflettono la tensione con il giudaismo, specchio anche della situazione in cui vive la chiesa di Matteo (Cap. 21,28-46-22,1-14). La prima parabola introduce due figli difficili, che incarnano altrettanti atteggiamenti nei confronti del regno di Dio: da una lato, c’è l’ipocrisia che è in fondo disobbedienza e, dall’altro, l’apparente ribellione che è in fondo accoglienza. Il primo modello colpisce gli osservanti “farisei”; il secondo esalta i peccatori che si convertono ascoltando il monito della parola di Dio. 

La seconda parabola ricorre a un simbolo biblico ben noto per raffigurare Israele, la vigna (Isaia 5,1-7; Salmo 80). Il racconto ha molti tratti applicati direttamente all’imminente vicenda della passione e morte di Cristo. Ai vignaioli ribelli vengono inviati da parte del padrone della vigna, cioè di Dio, alcuni servi per ammonirli: sono i profeti che vengono rigettati da Israele. Alla fine, ecco entrare in scena lo stesso figlio, cioè Cristo, che viene cacciato fuori della vigna (forse una menzione non solo del rifiuto ma anche dell’esecuzione capitale di Gesù fuori delle mura di Gerusalemme) e ucciso. A questo punto entra in scena il padrone stesso, che introduce una svolta nella storia.

Infatti, egli non solo giudica quei vignaioli assassini, ma «darà la vigna ad altri vignaioli»: è un’evidente allusione all’apertura del regno di Dio ai pagani e agli altri popoli. Questa comunità rinnovata si fonderà proprio su quella pietra che era stata rigettata – cioè su Cristo –, e questa dichiarazione si basa su una libera rilettura del Salmo 118,22-23, ed è evocata in modo esplicito dall’accusa che Gesù rivolge ai suoi interlocutori ostili, sommi sacerdoti e “farisei”: «Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare» (21,43). 

Anche la terza parabola si muove nella stessa direzione. Due sono le scene che la reggono quasi a dittico. Nella prima si rappresenta un banchetto nuziale per il figlio del re, trasparente rimando alla venuta di Cristo. Ricordiamo che già nell’Antico Testamento l’alleanza con Dio era raffigurata sotto immagini nuziali, e Isaia (25,6) presentava sotto il simbolo di un banchetto l’era messianica perfetta. La risposta all’invito divino a partecipare al banchetto è dura e si accanisce persino sui servi che comunicano quell’appello, cioè sui profeti (come già era accaduto nella parabola precedente dei vignaioli). Il re, in risposta, dà alle fiamme la loro città, un accenno introdotto da Matteo sulla distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani nel 70 d.C. Ma c’è una seconda scena. Il re procede a nuovi inviti: tutti, buoni e cattivi, sono convocati alle nozze. E’ ormai l’apertura a tutti i popoli. Tuttavia, anche per costoro vale la necessità di un adesione autentica e totale, rappresentata dal simbolo del mutamento di veste, cioè della propria realtà interiore, secondo il valore biblico di questa immagine (22,9-14). 












   



   

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