sabato 16 marzo 2019

LETTERA AI COLOSSESI



Come nel caso della lettera agli Efesini – che sembra conoscere questo scritto – anche la lettera ai Colossesi presenta alcune caratteristiche di linguaggio, di stile e di temi originali, così da far sospettare a molti studiosi la presenza di una mano diversa rispetto a quella di Paolo, forse la mano di un discepolo. Certo è che questo scritto offre un nuovo profilo della figura di Cristo e della Chiesa. In un solenne inno posto in apertura alla lettera (1,13-20) entra in scena Cristo nella funzione di mediatore della creazione e signore del cosmo, un profilo che è piuttosto inedito nell’epistolario paolino. Esso è modellato sui ritratti della sapienza divina presenti nell’Antico Testamento (ad esempio, proverbi 8,22-31) ed è affine a quello che si incontra nell’inno di apertura della lettera agli Efesini.

Un altro elemento cristologico coinvolge la Chiesa e riflette una particolare questione collegata alla comunità di Colosse, una località situata in Frigia, nell’attuale Turchia centro-occidentale, comunità fondata probabilmente da Epafra, un collaboratore di Paolo, originario di quella terra (1,7). Nel capitolo 2, infatti, si condanna una specie di “eresia” attecchita a Colosse attraverso discorsi seducenti, raggiri filosofici e una visione teologica inaccettabile. Si proponeva di venerare gli angeli (2,18), considerati come mediatori tra Dio e l’umanità, riducendo così la funzione di Cristo a un semplice primato d’onore.

Forse miscelando dati giudaici ed ellenistici (angeli, spiriti, elementi cosmici, astrologia), si introduceva tra Dio e l’uomo una serie di presenze «visibili e invisibili, troni, dominazioni, principati e potenze» (1,16; 2, 10.15), operatrici di salvezza e di giudizio. Si facevano, così, impallidire la forza e la grandezza dell’incarnazione di Cristo, che rimane l’unico Salvatore dell’uomo e del mondo e l’unica pienezza della presenza divina. Egli, nel trionfo della croce e della risurrezione, ha aggiogato al carro vittorioso della sua gloria anche le potenze angeliche e cosmiche, rivelandosi l’unico Signore (2,13-15).

La lettera, dopo la parte dedicata a Cristo e alla Chiesa, si sviluppa – lungo i capitoli 3-4 – nella dimensione morale e pastorale con una serie di precetti che illuminano la vita cristiana. In particolare, com’era accaduto anche nella lettera agli efesini, si delinea una specie di “codice” della morale familiare e sociale (3,18-4,1). Anche questo scritto presenta un Paolo prigioniero (4,10), forse a Efeso, e fa emergere la figura dell’evangelista Luca, «il caro medico» (4,14).

Nota Finale

Colossi è una cittadina dell’Asia Minore, non lontana da Efeso. La comunità cristiana vi è costituita da Epafra, carissimo discepolo di Paolo. Proprio Epafra avverte Paolo, prigioniero a Roma, di una situazione critica provocata dall’influsso di dottrine gnostiche e giudaiche, che mettono in questione la signoria di Cristo, declassato al rango di una delle tante potenze celesti. L’apostolo interviene e rivendica il primato assoluto e universale di Cristo, dimostrando, in una prima parte dogmatica, la supremazia di Gesù, principio e fine di ogni cosa e capo della Chiesa, ed esortando, nella seconda parte della lettera, a rivestirsi dell’uomo nuovo in Cristo Gesù, riproducendone lo stile di vita. La lettera, portata a Colossi da un compagno di Paolo, precede di poco quella agli Efesini, insieme con la quale conviene che sia letta.



sabato 9 marzo 2019

LETTERA AI FILIPPESI



La comunità dei cristiani di Filippi in Macedonia fu la prima Chiesa europea e con essa Paolo mantenne sempre rapporti molto intensi e calorosi. Ad essa indirizza una lettera mentre si trova in carcere (1,3.13; 4,22). Più che a Roma o a Cesarea Marittima, molti pensano che si tratti di una prigionia subita da Paolo dopo i tumulti di Efeso, descritti negli Atti degli Apostoli (capitolo 19). Dalla città efesina egli scrive attorno al 55-56 (là aveva soggiornato a lungo, forse dal 53 al 56) agli amati Filippesi, che l’avevano sempre aiutato anche economicamente (4,14-18).

La lettera rivela, però, nel capitolo 3 un salto di tonalità, divenendo improvvisamente molto aspra e polemica («guardatevi dai cani…, dai cattivi operatori…, da quelli che si fanno circoncidere»): c’è persino chi ha pensato che siamo in presenza di lettere diverse indirizzate ai Filippesi e successivamente unificate in un solo scritto. Possiamo, però, supporre anche un mutare di tono e di argomento nello stile spesso impetuoso dell’apostolo. La lettera si apre, comunque, con una pagina a grande respiro, in cui Paolo presenta la sua esistenza come totalmente consacrata a Cristo e al vangelo: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (1,21).

Di grande rilievo teologico è l’inno che viene incastonato in 2,6-11 e che sembra far parte del patrimonio della liturgia cristiana delle origini. Attraverso l’immagine della “discesa” del Figlio di Dio nell’umanità fino alla morte di croce e della sua esaltazione nella gloria pasquale a Signore di tutto l’essere si descrive la salvezza offerta da Cristo, modello di donazione anche per il cristiano.

Nel capitolo 3, invece, appare – come già si era annunziato – la denuncia nei confronti di quei «cani» e «cattivi operatori» (3,2) che vogliono riportare i cristiani al loro passato di pratiche e osservanze varie: è la polemica frequente nell’epistolario paolino contro quei giudeo-cristiani che non tutelavano a sufficienza la novità dell’evento cristiano. Paolo sottolinea le sue radici umane e spirituali ebraiche (3,5-6), ma indica anche la svolta radicale che la sua vita ha subito quando fu «afferrato da Gesù Cristo» (3,12) sulla via di Damasco. La lettera si conclude nel capitolo 4 con la ripresa di elementi autobiografici che si intrecciano con quelli riguardanti la Chiesa di Filippi. Ritorna il tono dolce, affettuoso dell’apostolo nei confronti della sua comunità, e brilla la gioia che deve animare il cristiano, anche quando ha l’esistenza tormentata: allora «il Dio della pace sarà con voi» (4,9).  

Nota Finale

Anche questa lettera è scritta da Paolo mentre si trova in prigionia, non però a Roma, come si pensava un tempo, bensì a Efeso. Da questa città, verso il 56-57 d.C., l’apostolo scrive alla comunità di Filippi, prima Chiesa europea, da lui fondata nel 50 d.C. durante il suo secondo viaggio missionario. Con questa Chiesa Paolo intrattiene particolari legami d’affetto e a essa scrive una lettera piena di gioia e di cordialità, che affida al delegato della comunità di Filippi, Epafrodito, che è venuto a Efeso per portargli degli aiuti. È la lettera “più lettera” di tutto l’epistolario paolino: scambio di notizie, messa in guardia contro i soliti mestatori giudaizzanti, inviti all’umiltà sull’esempio di Cristo, esempio che viene illustrato con un inno liturgico molto antico, preziosa testimonianza della fede nella preesistenza divina del Figlio di Dio fatto uomo. Scritta col cuore, questa lettera va letta col cuore.



sabato 2 marzo 2019

LETTERA AGLI EFESINI



In alcuni importanti codici antichi, che ci hanno trasmesso le sacre Scritture, nell’indirizzo iniziale di questa lettera manca l’indicazione «a Efeso», per cui si è pensato che essa sia stata originariamente una missiva destinata alle varie Chiese dell’Asia Minore costiera, che avevano il loro centro più significativo nella splendida città di Efeso. Certo è che la lettera si rivela profondamente originale nel linguaggio e nei temi, tanto da far ipotizzare a molti studiosi che essa sia opera di una mano diversa rispetto a quella di Paolo, forse un discepolo che conduce oltre il discorso del maestro. Questo naturalmente non intaccherebbe l’ispirazione e quindi l’appartenenza al Canone biblico della lettera che, tra l’altro, è molto vicina a quella ai Colossesi (probabilmente conosciuta e citata).

Comunque sia, lo scritto è particolarmente denso e ricco di temi e si rivela nettamente diviso in due parti: i primi tre capitoli affrontano i grandi argomenti teologici, mentre i capitoli 4-6 sono dedicati a illustrare l’impegno morale del cristiano nella sua vita di fede. L’accento è posto su due motivi teologici capitali. Da un lato, si apre una profonda riflessione sulla figura di Cristo, presentato come Signore di tutto l’essere creato e non solo della Chiesa, e cantato in un solenne inno-benedizione posto proprio in apertura alla lettera (1,3-14).

Gesù Cristo è, d’altro lato, alla radice del secondo motivo teologico, quello della Chiesa, che è costituita da Giudei e pagani ormai uniti in un solo corpo che è quello di Cristo, nel quale, però, diversamente da quanto già detto nella prima lettera ai Corinzi (capitolo 12), egli ha la funzione di essere il «capo» (1,22). L’unità di questo corpo, nel quale si manifesta la pienezza della divinità, è operata da Cristo stesso «nostra pace», che ha riconciliato i due popoli separati, Ebrei e pagani, in un solo popolo attraverso il suo sangue (2,14-22). È questa la Chiesa, che dall’apostolo viene presentata come «tempio santo nel Signore» (2,21).

Vivace è anche la parte pastorale della lettera ove, tra l’altro, viene disegnato un “codice” dei doveri familiari (5,21-6,9), che ha al suo interno una suggestiva presentazione del matrimonio cristiano, come grande segno dell’unione vitale tra Cristo e la Chiesa. Uno scritto, quindi, ricco sul piano del «mistero» divino, che è rivelato da Gesù Cristo e che comprende la salvezza di tutti, inclusi i pagani, e sul piano della vita cristiana da condurre in pienezza, come creature che hanno «deposto l’uomo vecchio» per «rivestire l’uomo nuovo» (4,22-24).

Nota Finale

Intorno a questa lettera si è discusso e si discute ancora su due punti: la sua autenticità paolina (vocabolario, stile, dottrina sono notevolmente diversi da quelli delle altre lettere) e i destinatari (una vera lettera per la sola comunità di Efeso, o piuttosto una specie di enciclica per tutte le Chiese dell’Asia Minore?). In realtà, l’affinità con la lettera ai Colossesi, la cui autenticità è oggi riconosciuta, obbliga a riconoscere la paternità paolina anche della lettera agli Efesini. L’apostolo vi proclama innanzi tutto il “primato cosmico” di Cristo, che ha unificato in sé stesso tutte le cose come principio e fine sia della creazione sia della riconciliazione, e poi la “funzione ecumenica” di Cristo, che ha riunito tutti gli uomini, Giudei e pagani, nel suo corpo che è la Chiesa, sua sposa. Questo è il grande “mistero” del quale Paolo vuole scrivere, con toni spesso altamente lirici, mentre si trova per la prima volta “prigioniero per Cristo” a Roma (61-63 d.C.).