Come nel caso della lettera agli Efesini –
che sembra conoscere questo scritto – anche la lettera ai Colossesi
presenta alcune caratteristiche di linguaggio, di stile e di temi originali,
così da far sospettare a molti studiosi la presenza di una mano diversa
rispetto a quella di Paolo, forse la mano di un discepolo. Certo è che questo
scritto offre un nuovo profilo della figura di Cristo e della Chiesa. In un
solenne inno posto in apertura alla lettera (1,13-20) entra in scena Cristo
nella funzione di mediatore della creazione e signore del cosmo, un profilo che
è piuttosto inedito nell’epistolario paolino. Esso è modellato sui ritratti
della sapienza divina presenti nell’Antico Testamento (ad esempio, proverbi
8,22-31) ed è affine a quello che si incontra nell’inno di apertura della
lettera agli Efesini.
Un altro elemento cristologico coinvolge la Chiesa e riflette una particolare questione collegata alla
comunità di Colosse, una località situata in Frigia, nell’attuale Turchia
centro-occidentale, comunità fondata probabilmente da Epafra, un collaboratore
di Paolo, originario di quella terra (1,7). Nel capitolo 2, infatti, si
condanna una specie di “eresia” attecchita a Colosse attraverso discorsi
seducenti, raggiri filosofici e una visione teologica inaccettabile. Si
proponeva di venerare gli angeli (2,18), considerati come mediatori tra Dio e
l’umanità, riducendo così la funzione di Cristo a un semplice primato d’onore.
Forse miscelando dati giudaici ed ellenistici (angeli, spiriti, elementi cosmici,
astrologia), si introduceva tra Dio e l’uomo una serie di presenze «visibili e invisibili, troni, dominazioni,
principati e potenze» (1,16; 2, 10.15), operatrici di salvezza e di
giudizio. Si facevano, così, impallidire la forza e la grandezza dell’incarnazione
di Cristo, che rimane l’unico Salvatore dell’uomo e del mondo e l’unica
pienezza della presenza divina. Egli, nel trionfo della croce e della
risurrezione, ha aggiogato al carro vittorioso della sua gloria anche le
potenze angeliche e cosmiche, rivelandosi l’unico Signore (2,13-15).
La lettera, dopo la parte dedicata
a Cristo e alla Chiesa, si sviluppa – lungo i capitoli 3-4 – nella dimensione
morale e pastorale con una serie di precetti che illuminano la vita cristiana.
In particolare, com’era accaduto anche nella lettera agli efesini, si delinea
una specie di “codice” della morale familiare e sociale (3,18-4,1). Anche
questo scritto presenta un Paolo prigioniero (4,10), forse a Efeso, e fa
emergere la figura dell’evangelista Luca, «il
caro medico» (4,14).
Nota Finale
Colossi è una cittadina
dell’Asia Minore, non lontana da Efeso. La comunità cristiana vi è costituita
da Epafra, carissimo discepolo di Paolo. Proprio Epafra avverte Paolo,
prigioniero a Roma, di una situazione critica provocata dall’influsso di
dottrine gnostiche e giudaiche, che mettono in questione la signoria di Cristo,
declassato al rango di una delle tante potenze celesti. L’apostolo interviene e
rivendica il primato assoluto e universale di Cristo, dimostrando, in una prima
parte dogmatica, la supremazia di Gesù, principio e fine di ogni cosa e capo
della Chiesa, ed esortando, nella seconda parte della lettera, a rivestirsi
dell’uomo nuovo in Cristo Gesù, riproducendone lo stile di vita. La lettera,
portata a Colossi da un compagno di Paolo, precede di poco quella agli Efesini,
insieme con la quale conviene che sia letta.