sabato 16 aprile 2016

GESU’ CONDOTTO DAVANTI A PILATO

Gesù è davanti al governatore romano Ponzio Pilato che lo interroga su un argomento squisitamente politico: l’essersi proposto come re dei Giudei (Mt 27,11). Il profilo del procuratore è dipinto da Matteo con una certa benevolenza. Innanzitutto si fa riferimento al tentativo di salvare Gesù attraverso il ricorso a una prassi – la quale non è però attestata da altri documenti – che è definita dagli studiosi come il «privilegio pasquale», cioè la possibilità dell’amnistia per un carcerato in occasione della Pasqua. La scelta viene proposta da Pilato alla folla: Gesù o Barabba? (vrs.17) (Quest’ultimo forse era un rivoluzionario antiromano). 


Prima che il popolo si pronunci, si inserisce un altro episodio destinato a dimostrare la buona disponibilità del mondo pagano nei confronti di Cristo: è la moglie di Pilato a intercedere in favore di «quel giusto» (vrs.19). Frattanto la folla, sobillata dalla classe politica e religiosa, compie la sua scelta invocando a gran voce l’esecuzione per crocifissione di Gesù e la liberazione di Barabba. Matteo, a questo punto, introduce un altro elemento a favore di Pilato. Con un gesto biblico, quello della lavanda delle mani, e in un linguaggio più vicino all’ebraico (letteralmente: «Sono innocente di questo sangue», il procuratore dichiara di non essere responsabile della decisione di mandare a morte Cristo (vrs.24), lasciandola alla folla, che la suggella con l’assunzione piena di responsabilità: «il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli»  (vrs.25). 

L’espressione non giustifica, certo, l’accusa di “deicidio” rivolta al popolo ebraico nei secoli, non solo perché essi non riconoscevano la divinità di Cristo, ma anche perché una scelta di alcuni non può essere imputata ai discendenti nei secoli. D’altro canto, l’operato stesso di Pilato è tutt’altro che privo di colpe, perché il potere di comminare la pena di morte era “specifico” dell’autorità romana. Gesù è in custodia presso il pretorio – che gli archeologi hanno cercato di individuare in due sedi diverse a Gerusalemme in modo incerto – ,ove viene sottoposto a tortura. 


Inizia, così, il cammino di Gesù verso il Golgota, in aramaico: «luogo del cranio», ove viene crocifisso. La bevanda inebriante che gli viene offerta, come il sorteggio per il possesso degli abiti di Cristo, sono spiegati da Matteo alla luce della Bibbia (Salmi 69,22 e 22,19). Così, è usando parole salmiche che gli astanti scherniscono il condannato (Salmo 22,9), ed è pronunziando in aramaico l’inizio del Salmo 22, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», che Gesù chiude la sua vita terrena. Le ultime sue parole, fraintese dagli spettatori come un’invocazione a Elia, patrono dei moribondi, sono espressione di profonda desolazione, ma, secondo l’uso religioso ebraico, citando l’inizio di un testo, se ne vuole assumere la totalità e il Salmo 22 finisce con un canto gioioso di fiducia in Dio, re dell’universo. 



















I segni che accompagnano la morte di Cristo hanno, agli occhi dell’evangelista, un valore simbolico. Il velo steso davanti al Santo dei Santi nel tempio di Sion viene squarciato quasi a indicare lo svelamento del mistero di Dio in Gesù; il terremoto accompagna le manifestazioni divine; la risurrezione dei morti, dopo quella di Cristo, mostra il destino futuro dei «giusti»; i pagani, rappresentati dal centurione, attestano la loro fede in Gesù, «Figlio di Dio», anticipando l’apertura universalistica della Chiesa (versetti da 51-54). Frattanto il corpo di Cristo viene deposto nella tomba di un discepolo benestante, Giuseppe di Arimatea. Egli riesce a ottenere in consegna il cadavere di Gesù dal procuratore romano Pilato. Testimoni della sepoltura sono non solo Giuseppe e le donne, ma anche un presidio di soldati, posti a custodia della tomba su richiesta giudaica. La «Parasceve» (dal greco, “paraskeué”, “preparazione”) è il giorno che precede o “prepara” il sabato. 






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