sabato 16 febbraio 2019

LETTERA AI GALATI



Al centro dell’attuale Turchia si erano stabiliti fin dal III secolo a.C. i Galati, una popolazione di origine celtica. I Romani avevano conquistato quest’area e avevano costituito nel 25 a.C. la provincia della Galazia, ben più estesa dell’originale territorio abitato dai Galati. Alle Chiese di quella regione (forse alle comunità dell’area ristretta originaria dei Galati, da lui visitate durante il suo primo viaggio missionario), Paolo indirizza uno scritto che, al suo interno, anticipa i temi che saranno sviluppati nella lettera ai Romani. L’apostolo deve affrontare una situazione ecclesiale nella quale si sono introdotti alcuni giudeo-cristiani che ribadiscono la necessità della circoncisione e dell’osservanza della legge mosaica anche per i cristiani provenienti dal paganesimo.

Composta forse attorno all’anno 55, la lettera si apre con un’esposizione autobiografica, che occupa i primi due capitoli. In essa l’apostolo rievoca l’avallo ricevuto per la sua missione ai pagani da parte delle “Colonne” della Chiesa, cioè Giacomo, Cefa (Pietro) e Giovanni (2,9), ma anche il contrasto con Pietro a causa del comportamento esitante da lui tenuto ad Antiochia, quando Cefa aveva evitato i contatti con i pagani, appena erano giunti in quella città alcuni rappresentanti giudeo-cristiani di Gerusalemme (2,11-14).

L’evento permette a Paolo di sviluppare la sua riflessione sulla giustificazione e sulla salvezza che ci vengono offerte per grazia e accolte nella fede, e non certo prodotte dalla nostra osservanza della legge mosaica e, quindi, dalle opere umane. Queste ultime sono piuttosto «il frutto dello Spirito» (5,22) ed esprimono la vita di figli di Dio che ci è stata donata in Cristo Gesù (4,6-7). Su questi temi teologici si sviluppa il corpo centrale della lettera (capitoli 3-6), che propone la terminologia caratteristica paolina (fede, grazia, carne, legge, libertà, giustificazione, Spirito) e che presenta un grande ritratto di Abramo come padre della fede.

Si ha, così, l’abbozzo essenziale di quella visione della salvezza operata da Cristo già incontrata nella lettera ai Romani, che è però posteriore a questo scritto indirizzato ai Galati. Una visione grandiosa che si allarga a tutto l’orizzonte umano, cioè a tutti coloro che hanno «crocifisso la carne con le sue passioni» (5,24) e si sono «rivestiti di Cristo». In questa dimensione ormai «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio né femmina, poiché tutti voi siete una sola persona in Cristo Gesù» (3,28).
  
Nota Finale

La Lettera è indirizzata ai cristiani della Galazia del nord, l’attuale regione della Turchia intorno ad Ankara, che Paolo evangelizza durante il secondo e il terzo viaggio missionario. Inviata dalla Macedonia o da Corinto nell’inverno del 57-58 d.C., qualche tempo prima della lettera ai Romani, ne svolge la stessa tematica ma con tono molto polemico. Si apre con un’apologia personale, prosegue con una complessa argomentazione dottrinale per ricordare a coloro che volevano imporre di nuovo la circoncisione che la salvezza è dono gratuito di Dio e della fede, e si conclude con una serie di calde esortazioni perché nessuno pensi che la “legge dello Spirito” significhi indifferenza morale. Se nelle lettere ai Corinzi l’apostolo denuncia il pericolo di un ritorno allo spirito greco per l’orgogliosa fiducia nella ragione, qui denuncia quello di un ritorno allo spirito giudaico con l’orgogliosa fiducia nella legge.




sabato 9 febbraio 2019

SECONDA LETTERA AI CORINZI



I rapporti di Paolo con la Chiesa di Corinto furono piuttosto turbolenti, e questa nuova lettera ne è la testimonianza esplicita. Composto forse sullo scorcio del 57, al termine del terzo viaggio missionario dell’apostolo, questo scritto fa anche riferimento a un’altra lettera che Paolo avrebbe composto fra «molte lacrime» e che, secondo alcuni studiosi, sarebbe confluita nella seconda lettera ai Corinzi in una successiva redazione del testo. Appaiono nitidamente in queste pagine alcuni avversari dell’apostolo, che sembrano essere cristiani di spicco e che Paolo bolla aspramente per il loro comportamento, la loro dottrina e la loro arroganza, definendoli con ironia «superapostoli» (12,11).

Difficile è identificare con esattezza quale sia il loro profilo: certo è che essi rappresentano movimenti che si oppongono all’apostolo, ne disprezzano la persona «debole» e «la parola dimessa» (10,10) e mettono in crisi l’autentica dottrina e l’unità della Chiesa. Il testo della lettera paolina ha innanzitutto lo scopo di ricostruire nei primi sette capitoli la figura del vero apostolo, il suo impegno e la sua missione, incarnati appunto da Paolo stesso. Si tratta di pagine di grande forza, con immagini vivissime come quella della lettera «scritta non con inchiostro…, ma sulle tavole che sono i… cuori di carne» (3,3), con l’esaltazione del ministero apostolico e della sua funzione di salvezza, ma anche di giudizio. Curioso è, poi, un brano (6,14-7,1) che sembra composto sulla base dei temi, dei simboli e dello stile degli scritti ritrovati (nel 1947) nelle grotte di Qumran, presso il Mar Morto, espressione di una comunità giudaica dall’identità originale.

Nei capitoli 8-9 si ha quasi un piccolo trattato sull’elemosina cristiana: esso prende spunto dalla colletta che le Chiese avevano organizzato per aiutare quella di Gerusalemme in gravi difficoltà economiche, colletta che Paolo sostiene con grande calore. Infine, la lettera ritorna sul tema dell’apostolato, ma lo fa con un lungo brano autobiografico dal tono piuttosto concitato, distribuito nei capitoli 10-13. Si incontrano in queste pagine notizie sulla vita tormentata di Paolo, ma anche si ribadisce la sua fiducia inconcussa in Cristo e nella forza che egli offre: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (12,10).

In questa confessione autobiografica, opposta ai falsi maestri come esempio di vita apostolica, si ha anche la menzione di «una spina nella carne» di Paolo, una prova dura (una malattia?), che però non gli impedisce di «vantarsi nel Signore» che gli dà grandi doni e salvezza (10,17). Con l’apostolo appare anche la Chiesa che è presentata, con una suggestiva immagine nuziale, come «vergine casta» offerta a Cristo per un amore totale, unico e perfetto (11,2).  

Nota Finale

Paolo scrive questa seconda lettera ai Cristiani di Corinto verso la fine del 57 d.C., quando il discepolo Tito lo raggiunge in Macedonia e gli porta buone notizie su quella comunità che ha fatto versare all’apostolo tante lacrime. È un documento di eccezionale valore anche dal punto di vista storico-biografico, in quanto ci fornisce un sincero ritratto dell’animo paolino. Essa non è di facile lettura, perché Paolo non sempre ha la possibilità di ordinare in modo rigorosamente logico i suoi pensieri e soprattutto i suoi sentimenti. Per di più, in essa, egli difende con toni piuttosto polemici il suo buon diritto di predicare il vangelo, scrivendo pagine bellissime sulla grandezza del ministero apostolico. La lettera tratta anche la questione della raccolta di denaro in favore della Chiesa-madre di Gerusalemme. Questo permette di far crescere la coscienza dell’unità e sviluppare il tema della Chiesa come unico corpo di Cristo.



sabato 2 febbraio 2019

PRIMA LETTERA AI CORINZI



Paolo era approdato a Corinto attorno al 51, durante il suo secondo viaggio missionario, e vi era rimasto a lungo con varie vicende. La città era un importante centro commerciale, dove si incrociavano esperienze culturali, sociali e religiose differenti, ma in essa prosperavano anche la corruzione e la degenerazione morale. La stessa comunità cristiana aveva probabilmente respirato quest’atmosfera e ben presto si era rivelata divisa, segnata da crisi etiche, da problemi teologici e pastorali. Paolo apprende notizie poco confortanti da alcuni inviati di Corinto, mentre si trova a Efeso. Siamo forse attorno all’anno 55.

Decide, allora, di scrivere una lunga lettera che affronti puntigliosamente le questioni più scottanti a lui segnalate. Si ha, così, la possibilità di ricostruire un ritratto di quella Chiesa e del suo stato spirituale. Proprio per il riferimento specifico a una situazione concreta, certe affermazioni di Paolo possono risultare aspre e parziali: non siamo, infatti, in presenza di una riflessione teologica generale, bensì leggiamo una serie di indicazioni pastorali dirette e legate a interrogativi circoscritti. Tuttavia lo scritto offre molti spunti importanti per la vita e la fede di tutta la Chiesa e rivela l’anima pastorale dell’apostolo.

Egli attacca con veemenza le divisioni che stanno frantumando la Chiesa e le raccorda a un concetto errato di sapienza: quella del cristiano è solo la sapienza della croce. Viene poi affrontata la questione sessuale che travagliava la comunità, immersa in un ambito particolarmente corrotto: si combattono le tendenze eccessivamente rigoriste e quelle troppo permissive, si condanna un caso di incesto, si offre una riflessione molto specifica sul matrimonio e sul suo significato, ma anche si esalta la verginità consacrata a Dio e ai fratelli. Si passa poi al tema particolare della partecipazione dei cristiani ai sacrifici pagani con i loro familiari non cristiani, cercando di definire i confini leciti e quelli da evitare.

L’attenzione alla vita liturgica della Chiesa e alle sue possibili degenerazioni si allarga in una splendida pagina sulla struttura interiore profonda della Chiesa stessa, concepita come corpo di Cristo, molteplice nelle sue membra e qualità (i “carismi”), ma unita dall’amore (“agape”). La lettera è chiusa, oltre che da una serie di notizie finali, da una grandiosa riflessione sul mistero pasquale di Cristo e sulla nostra partecipazione ad esso attraverso la risurrezione, nella quale la morte sarà definitivamente vinta e Dio stesso sarà «tutto in tutti» (15,28).

Nota Finale

La lettera, inviata da Efeso verso la Pasqua del 57 d.C., nasce dalla necessità di rispondere ad alcune questioni morali e religiose portate a conoscenza di Paolo. Per capirla occorre ricordare che la giovane comunità cristiana di Corinto vive in una metropoli di 600.000 abitanti, con profondi squilibri sociali, una varietà di culture e di religioni, un impressionante permissivismo morale. Anche la Chiesa ne subisce i contraccolpi: divisioni interne, ripensamento in chiave ideologica della fede, confusione etica in campo sessuale e matrimoniale, incertezza nei rapporti con i pagani. A ogni problema Paolo dà una risposta precisa, riconducendo tutto ad alcune direttrici di fondo: Il Cristianesimo non è una filosofia, ma una fede basata sull’annuncio di Cristo crocifisso e risorto; la Chiesa vive dello Spirito di Cristo, che ne fa l’unità e la varietà; la sua morale deriva dalla logica dell’Eucarestia e dalla carità. Chi legge la lettera ai Corinzi ha davanti agli occhi una radiografia della vita reale di una Chiesa dei tempi apostolici.