sabato 24 dicembre 2016

CONCLUSIONI FINALI SU PLATONE


Si può dire che forse Platone è stato il più geniale filosofo di tutti i tempi, oltre che un grandissimo artista e un testimone eccezionale della cultura del suo tempo e dell’epoca a lui precedente. Filosofo geniale non perché abbia sempre elaborato dottrine convincenti, ma perché ha formulato quasi tutti i problemi che poi sono rimasti alla base dell’intera filosofia occidentale e soprattutto perché ha fissato per primo ed in modo pressoché definitivo la struttura stessa del discorso filosofico, il suo modo di procedere, la sua peculiarità principale, cioè la «dialettica». 

Egli, infatti, riprendendo da Socrate la disposizione fondamentale al «domandare», e quindi al dialogo, come condizione imprescindibile del discorso filosofico, e riprendendo con essa il momento altrettanto fondamentale dell’«élenchos», cioè dell’esame, del vaglio, della confutazione, come espressione suprema di criticità, ha saputo trasformare tutto questo, da semplice, e pur necessaria preliminarmente, dichiarazione di ignoranza, in vera e propria produzione di scienza (epistéme), cioè di sapere, di discorso incontrovertibile, che non dice semplicemente come stanno le cose, ma riesce ad escludere che possano stare diversamente. Da allora in poi, in tutti i momenti in cui la filosofia è riuscita ad essere se stessa, vale a dire un discorso diverso da altre forme di attività umana, razionali, soprarazionali o a-razionali, essa si è strutturata in modo dialettico, secondo le indicazioni e il modello forniti da Platone

Quanto alle sue dottrine, esse sono caratterizzate quasi tutte da una profonda ambivalenza, cioè per un verso sono espressione di un’esigenza incontestabile, e per altro sono discutibili, non convincenti, a volte addirittura assurde. Ciò vale in primo luogo per la più importante e fondamentale di esse, la “Dottrina delle Idee”, la quale esprime l’esigenza insopprimibile di mediare l’«esperienza» alla ricerca di un «principio trascendente», cioè di una realtà "sovrasensibile", causa e ragione di quella sensibile; ma finisce poi per concepire tale realtà come un doppione di quella sensibile, che per la sua natura di modello relega quest’ultima al rango di semi-realtà. 

Di tutto questo, come abbiamo visto, si è reso conto per primo lo stesso Platone, che infatti nei suoi ultimi dialoghi ha introdotto nuovi principi, sia di tipo efficiente, cioè attivo, da ricercarsi nella direzione di una mente, o intelligenza, divina, sia di tipo strutturale, implicanti un processo di «matematizzazione» della realtà. (Considerazione, interpretazione e valutazione secondo principi, schemi e procedimenti che sono propri della matematica; applicazione di leggi, o schemi e procedimenti matematici a un dominio della scienza, o a un oggetto della conoscenza, o anche a un aspetto della realtà che non appartiene alla matematica esempio lo studio della natura, le scienze sociali, la spiegazione dei comportamenti umani. Oppure ragionare su basi e secondo metodi razionali, propri della matematica). 

Entrambe queste indicazioni sono state riprese dalla filosofia successiva, sia pure in direzioni tra loro divergenti: la prima da Aristotele, e in generale dalle metafisiche trascendentistiche, la seconda dalle metafisiche immanentistiche. Di grande fecondità si è rivelato il processo di «matematizzazione» del mondo sensibile, che è stato ripreso e praticamente assolutizzato dalla scienza moderna, mentre in Platone esso coesisteva con altri modelli di spiegazione, quali quello «biomorfico» (attività pittorica astratta fra irrazionale e razionale), che hanno avuto fortuna soprattutto nell’antichità e nel medioevo e di cui solo oggi si torna a riscoprire il valore. 

Lo stesso carattere ambivalente presenta la concezione platonica dell’«uomo», che da un lato può essere considerata la prima vera scoperta della dimensione spirituale, e dall’altro conduce a forme di dualismo e di contrapposizione tra «anima» e «corpo» del tutto inaccettabili. Anche l’«etica», insieme ad un indicazione verso il superamento delle miserie, delle debolezze e dei limiti umani, contiene aspetti rigoristici e antiumanistici che suscitano notevoli perplessità. Degna della massima attenzione è invece l’analisi dei conflitti psichici, in cui alcuni vedono addirittura un’anticipazione dell’odierna psicanalisi. 

Un capolavoro perenne di Platone è indubbiamente la sua concezione «politica», anche se essa contiene gli aspetti più aberranti del suo pensiero, quali l’abolizione della famiglia, un rigido classismo, un esasperato dirigismo e soprattutto l’illusione della scientificità della politica. Essa è tuttavia un capolavoro, perché coglie per la prima volta l’essenzialità della dimensione politica alla vita umana ed il principio razionale di organizzazione della società politica, che è la collaborazione di molti verso il «bene comune», per cui la «politica» è indissolubilmente legata all’«etica». 

Geniale, anche se incompleta, è infine l’«estetica» di Platone, ma molti altri sono i suoi contributi che si potrebbero citare e che sono stati trascurati in questa esposizione: dalla filosofia del linguaggio alla storia della cultura, all’interpretazione dei miti, ecc. Praticamente tutto ciò che Platone ha detto è rimasto come oggetto di ammirazione, fonte di ispirazione e riflessione, materia di discussione per le filosofie successive.





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