Si può dire che forse Platone è stato il
più geniale filosofo di tutti i tempi, oltre che un grandissimo artista e un
testimone eccezionale della cultura del suo tempo e dell’epoca a lui
precedente. Filosofo geniale non perché abbia sempre elaborato dottrine
convincenti, ma perché ha formulato quasi tutti i problemi che poi sono rimasti
alla base dell’intera filosofia occidentale e soprattutto perché ha fissato per
primo ed in modo pressoché definitivo la struttura stessa del discorso filosofico,
il suo modo di procedere, la sua peculiarità principale, cioè la «dialettica».
Egli, infatti, riprendendo da
Socrate la disposizione fondamentale al «domandare», e quindi al dialogo, come
condizione imprescindibile del discorso filosofico, e riprendendo con essa il
momento altrettanto fondamentale dell’«élenchos»,
cioè dell’esame, del vaglio, della confutazione, come espressione suprema di
criticità, ha saputo trasformare tutto questo, da semplice, e pur necessaria
preliminarmente, dichiarazione di ignoranza, in vera e propria produzione di
scienza (epistéme), cioè di sapere,
di discorso incontrovertibile, che non dice semplicemente come stanno le cose,
ma riesce ad escludere che possano stare diversamente. Da allora in poi, in
tutti i momenti in cui la filosofia è riuscita ad essere se stessa, vale a dire
un discorso diverso da altre forme di attività umana, razionali, soprarazionali
o a-razionali, essa si è strutturata in modo dialettico, secondo le indicazioni
e il modello forniti da Platone.
Quanto
alle sue dottrine, esse sono caratterizzate quasi tutte da una profonda
ambivalenza, cioè per un verso sono espressione di un’esigenza incontestabile,
e per altro sono discutibili, non convincenti, a volte addirittura assurde. Ciò
vale in primo luogo per la più importante e fondamentale di esse, la “Dottrina
delle Idee”, la quale esprime l’esigenza insopprimibile di mediare l’«esperienza»
alla ricerca di un «principio trascendente», cioè di una realtà "sovrasensibile",
causa e ragione di quella sensibile; ma finisce poi per concepire tale realtà
come un doppione di quella sensibile, che per la sua natura di modello relega
quest’ultima al rango di semi-realtà.
Di
tutto questo, come abbiamo visto, si è reso conto per primo lo stesso
Platone, che infatti nei suoi ultimi dialoghi ha introdotto nuovi principi, sia
di tipo efficiente, cioè attivo, da ricercarsi nella direzione di una mente, o
intelligenza, divina, sia di tipo strutturale, implicanti un processo di «matematizzazione»
della realtà. (Considerazione, interpretazione e valutazione secondo principi,
schemi e procedimenti che sono propri della matematica; applicazione di leggi,
o schemi e procedimenti matematici a un dominio della scienza, o a un oggetto
della conoscenza, o anche a un aspetto della realtà che non appartiene alla
matematica esempio lo studio della natura, le scienze sociali, la spiegazione dei comportamenti
umani. Oppure ragionare
su basi e secondo metodi razionali, propri della matematica).
Entrambe queste indicazioni sono
state riprese dalla filosofia successiva, sia pure in direzioni tra loro
divergenti: la prima da Aristotele, e in generale dalle metafisiche
trascendentistiche, la seconda dalle metafisiche immanentistiche. Di grande
fecondità si è rivelato il processo di «matematizzazione» del mondo sensibile,
che è stato ripreso e praticamente assolutizzato dalla scienza moderna, mentre
in Platone esso coesisteva con altri modelli di spiegazione, quali quello
«biomorfico» (attività pittorica astratta fra irrazionale e razionale), che
hanno avuto fortuna soprattutto nell’antichità e nel medioevo e di cui solo
oggi si torna a riscoprire il valore.
Lo
stesso carattere ambivalente presenta la concezione platonica
dell’«uomo», che da un lato può essere considerata la prima vera scoperta della
dimensione spirituale, e dall’altro conduce a forme di dualismo e di
contrapposizione tra «anima» e «corpo» del tutto inaccettabili. Anche l’«etica»,
insieme ad un indicazione verso il superamento delle miserie, delle debolezze e
dei limiti umani, contiene aspetti rigoristici e antiumanistici che suscitano
notevoli perplessità. Degna della massima attenzione è invece l’analisi dei
conflitti psichici, in cui alcuni vedono addirittura un’anticipazione
dell’odierna psicanalisi.
Un
capolavoro perenne di Platone è indubbiamente la sua concezione «politica», anche se essa contiene gli aspetti più aberranti del suo pensiero,
quali l’abolizione della famiglia, un rigido classismo, un esasperato dirigismo
e soprattutto l’illusione della scientificità della politica. Essa è tuttavia
un capolavoro, perché coglie per la prima volta l’essenzialità della dimensione
politica alla vita umana ed il principio razionale di organizzazione della
società politica, che è la collaborazione di molti verso il «bene comune», per
cui la «politica» è indissolubilmente legata all’«etica».
Geniale, anche se incompleta, è infine l’«estetica» di
Platone, ma molti altri sono i suoi contributi che si potrebbero citare e che
sono stati trascurati in questa esposizione: dalla filosofia del linguaggio
alla storia della cultura, all’interpretazione dei miti, ecc. Praticamente
tutto ciò che Platone ha detto è rimasto come oggetto di ammirazione, fonte di
ispirazione e riflessione, materia di discussione per le filosofie successive.
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