venerdì 10 giugno 2016

MITO E LOGOS


La parolaFilosofia” significa letteralmente aver cura (philo) del sapere (sophía). Se si accetta l’ipotesi che in “sophía" si riflette – come nell’aggettivo “saphés”, che significa «chiaro», «manifesto»,«evidente» - il senso di “pháos”, la «luce», allora “Filosofia” significa l’«aver cura per ciò che si manifesta nella luce». La correlazione tra «illuminazione» e «sapere» è anche il cardine della sapienza orientale, ma il greco, rispetto all’orientale, fa un passo in più, un passo che sarà decisivo per la storia della “Filosofia”. A differenza dell’orientale, infatti, che descrive quanto sta nella luce nelle modalità in cui l’illuminazione interiore glielo manifesta, il greco lo descrive nelle modalità in cui si dà. Questa differenza è la stessa che corre tra “Mito” e “Logos”, una coppia di termini la cui sorte è solidale a quella appena considerata tra “Cháos” e “Cosmo”. 

Il “Mito ha in comune col “Logos” l’intento di conoscere e spiegare il mondo, per cui il passaggio dall’uno all’altro non è un passaggio dalla favola alla verità, ma tra due diversi modi di perseguire quell’intento. Per il “Mito” non c’è realtà che non si risolva nel mondo interiore «soggettivo», ampliato e proiettato verso l’esterno, così come non c’è un mondo interiore come «realtà psichica del soggetto», che non sia proiettata e reificata in forme di potenze divine. La narrazione mitica vive quindi la «soggettivazione» della realtà esterna e l’«oggettivazione» del mondo interiore. Per effetto di questa saldatura, per il “Mito” non c’è mondo che non si risolva nella visione collettiva del mondo, per cui in ogni “Mito” è possibile leggere una determinata fase di sviluppo della coscienza sociale collettiva. 

Il passaggio dal “Mito”, rappresentazione fantastica e poetica della realtà, al “Logos”, discorso razionale sulle cose, segna l’inizio della speculazione filosofica greca, da cui prenderà l’avvio tutto il pensiero occidentale. Ulisse che vince le lusinghe delle «sirene» (Odissea) è immagine esemplare della umana sete di “sapere” e della coraggiosa “volontà”. 



Il senso della parolaLogos è illuminato dall’uso greco del verbo “léghein” che significa «stendere» e insieme «raccogliere». Tale senso si ripropone nelle parole tedesche “legen, lesen,“ spesso collegate con preposizioni, donde: “ahrenlesen, traubenlesen” che significano «mietere», «vendemmiare», dove l’azione di «raccogliere» il frumento, o l’uva, non ha altro senso che quello di «stendere» il raccolto in ordine e «tenerlo insieme». Il “Logos” è dunque quella raccolta originaria dove le cose giacciono nella loro esposizione e, così esposte, si offrono alla presenza. 

Mentre nel “Mito le cose sono usate per dire il vissuto dell’uomo, nel “Logos” le cose sono lasciate essere così come sono, senza alcuna manipolazione (poiéin). La parola “poiéin” in greco significa «produrre». Da “poiéin” deriva la parola “poíesis” da cui la nostra «poesia». La «poesia», di cui si alimenta il “Mito”, è una produzione di significati che non lascia parlare le cose come sono, ma impone alle cose il parlare dell’uomo. Questa imposizione non è l’imporsi delle cose, ma ciò che l’uomo impone alle cose, in altri termini è la violenza poetica sul contenuto quale si dà. La “Filosofia” rappresenta il tentativo riuscito di liberarsi da questa imposizione, affinché nel “Cháos” si imponga il “Cosmo”, qui inteso come ciò che ha la forza di imporsi. La parola greca che nomina l’imporsi di ciò che ha la forza di farlo senza ricorrere alla manipolazione poetica è «epistéme».  
    

1 commento:

  1. ottimo articolo perfetto per studenti liceali, spero di leggerne altri dallo stesso spessore letterario.

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