Gesù è ormai giunto alla
periferia di Gerusalemme, nel quartiere di Betfage, sulle pendici del monte
degli Ulivi (Mt. Cap. 21). Si apre ora la grande scena dell’ingresso trionfale
nella città santa: è una lettura in chiave messianica di una modesta
acclamazione popolare. Si possono idealmente segnalare tre reazioni diverse di
fronte a questo evento. C’è innanzitutto quella dello stesso evangelista, il
quale, com’è suo costume, ricorre all’Antico Testamento per mostrare la
pienezza della parola profetica in Cristo. Si cita, infatti, come adempiuta la
famosa profezia messianica di Zaccaria (9,9) sul re di pace che entra nella sua
capitale. La profezia è introdotta dalla formula isaiana: «Dite alla figlia di
Sion», cioè a Gerusalemme (Isaia 62,11).
A
questa reazione “teologica” si accompagna quella festosa della folla
che, sia con il rito delle fronde sia con la processione sia con la citazione
di una frase del Salmo 118, rimanda alla festa gioiosa autunnale delle "Capanne",
quando appunto si compiva questo rito e si cantava questo Salmo. All’epoca
della monarchia, l’ingresso del «Figlio di Davide» a Gerusalemme durante quella
celebrazione si intrecciava forse con l’ingresso dell’arca dell’alleanza,
portata processionalmente per la città. La parola «Osanna» in ebraico è
un’acclamazione che significa: «Salvaci!». Come è chiaro, anche per la folla
l’evento acquista una tonalità profetico-messianica.
Infine c’è la reazione, essenziale e scarna, di «tutta la
città», che si mette in subbuglio (in greco si parla quasi di un “sisma”, di un
terremoto). Infatti, ecco subito Cristo che caccia dal tempio mercanti e
cambiavalute (cambiavano le monete pagane per offrire al tempio solo monete
legittime) e che fonda la sua azione rimandando al profeta Geremia (7,11), che
protestava per il tempio ridotto a «spelonca di ladri», invece di essere – come
affermava Isaia (56,7) – una «casa di preghiera». Ai mercanti espulsi Gesù fa
subentrare i ciechi, gli storpi e i fanciulli, simbolo degli ultimi e dei puri
di cuore che acclamano Dio con sincerità, come si dice citando il Salmo 8,3. Si
chiude, così, la prima giornata gerosolimitana di Cristo.
La mattina dopo, da Betania, sobborgo di Gerusalemme ove
soggiornava (forse in casa di Lazzaro, Marta e Maria), Gesù ritorna nel tempio.
Ma, lungo la strada, compie un gesto più simbolico che miracoloso: i miracoli
di Cristo, infatti, non sono mai spettacolari, ma solo per guarire e salvare.
Attraverso il fico, prima ricco di fogliame e poi inaridito, egli, come i
profeti, offre una lezione dal vivo. Il tema è quello della fede, senza la
quale si è aridi e senza frutto (si veda una lezione analoga in 17,20). Nel
tempio scatta subito una polemica tra Cristo e le autorità religiose, che già
lo avevano contestato durante il suo primo ingresso trionfale in Gerusalemme.
Interrogato sul battesimo di Giovanni il Battista, Gesù reagisce bruscamente e
svela la sostanziale malafede dei suoi interlocutori (versetti 23,24,25,26,27).
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