A partire dal XVIII secolo, le due lettere a Timoteo e quella a Tito sono state definite come
“Lettere pastorali”, a causa del loro contenuto ecclesiale e dei destinatari,
che erano importanti collaboratori di Paolo. Le profonde variazioni nei temi e
nello stile hanno fatto ipotizzare da parte di molti studiosi la presenza di
una mano diversa da quella dell’apostolo, che avrebbe scritto in suo nome e nel
suo spirito: questo, però, non toccherebbe minimamente la qualità “ispirata” e
“canonica” delle lettere. Altri, invece, pensano che i mutamenti indicati siano
dovuti all’evoluzione della vita e del pensiero di Paolo, che in questi scritti
si sentirebbe ormai vicino alla fine della vita e al suo martirio.
Timoteo (in greco, “colui che
onora Dio”) era nato a Listra (nell’attuale Turchia centrale) da padre greco e
da Eunice, una donna giudeo-cristiana. Tra l’altro nella seconda lettera, oltre
al nome della madre, si evoca anche quello della nonna, Loide (1,5). Divenuto
collaboratore di Paolo, fu da lui fatto circoncidere «per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni: tutti
infatti sapevano che suo padre era greco» (Atti 16,1-3). Egli rimarrà
sempre il compagno intimo e fidato dell’apostolo, fino a divenire il modello di
chi è posto a capo della comunità.
La prima lettera a lui
indirizzata alterna alla denuncia polemica di forme deviate, presenti nelle
comunità cristiane (capitoli 1,4, e 6), una serie di ritratti dei vari
ministeri ecclesiali (capitoli 2,3 e 6). Emergono in particolare le figure
degli “episcopi” – che non sono del tutto identificabili con i “vescovi” –, dei
presbìteri, dei diaconi e delle vedove. È questo il segno di una Chiesa
strutturata, affidata a responsabili ufficiali e articolata in varie funzioni
ben definite.
È, quindi, la Chiesa il centro dello scritto, sia nell’aspetto più tormentato della crisi di
fede con l’irrompere delle prime “eresie”, sia nella forma molteplice e ricca
dei vari doni e ministeri da adempiere con fedeltà e dignità. Nelle doti
richieste a chi ha questi compiti da esercitare nella Chiesa, uno spazio molto
rilevante è riservato alle virtù umane, alla maturità e all’equilibrio secondo
un modello noto anche al mondo greco-romano circostante. Le verità di fede da
tutelare sono, invece, evocate attraverso una serie di citazioni di
affermazioni teologiche presentate come già note e accolte: è questo il segno
della presenza di una vera e propria tradizione della fede, ormai radicata
nella comunità cristiana.
Nota Finale
L’epistolario paolino conta quattro lettere indirizzate non a delle Chiese ma a delle persone
singole. Sono le due lettere a Timoteo, quella a Tito e il bigliettino a
Filemone. Le prime tre sono usualmente denominate “Pastorali”, perché i
destinatari sono due tra i discepoli più fedeli di Paolo, lasciati come
“pastori” a dirigere rispettivamente la Chiesa di Efeso e quella di Creta. Gli
studiosi sono incerti sulla loro sicura attribuzione a Paolo e sulla loro
datazione. La maggioranza le fa risalire a dopo la prima prigionia romana
dell’apostolo, tuttavia sembrano formare un blocco omogeneo che può essere
collocato fra il gruppo delle lettere ai Galati, ai Romani e ai Corinzi e
quello delle lettere agli Efesini e ai Colossesi, quindi tra il 58 e il 61 d.C.
Il tema dominante è la
dottrina sulla Chiesa, che per Paolo è mistica e apostolica nello stesso tempo:
comunità spirituale e universale, continuamente generata dallo Spirito Santo, e
comunità visibile basata sull’apostolato e sulla gerarchia. Questo spiega
l’insistenza dell’apostolo nella prima lettera a Timoteo a “custodire il
deposito” della verità rivelata e a organizzare con sapiente prudenza la
disciplina della “casa di Dio”, nella quale e con la quale Dio vuole che tutti
siano salvati.