sabato 28 maggio 2016

LA DOTTRINA DELL'AMORE IN SAN TOMMASO D'AQUINO


Per comprendere appieno la dottrina dell' "amore fisico"  di San Tommaso, che per primo utilizza i concetti scientifici di Aristotele, è necessario, innanzitutto, soffermarsi sul suo fondamento metafisico, che è bene espresso da tutta la quaestio 20, De amore Dei, della prima pars della "Summa Theologica". L'articolo 2 mette efficacemente in rilievo la bontà metafisica del reale: "tutto ciò che esiste, in quanto esiste, è buono", proprio perché l'amore di Dio "infonde e crea "bonitatem in rebus" (2). Da questa premessa di natura ontologica deriva che tutte le creature sono, per natura, portate ad amare Dio "prima e più di se stesse". Se così non fosse si dovrebbe ammettere - osserva acutamente San Tommaso - che "la dilezione naturale sarebbe perversa" (3), ossia non sarebbe perfezionabile dalla carità. Ecco un'estrema sintesi della dottrina tommasiana dell'amor, basata soprattutto sulle questioni 24, 25 e 26 della "Summa Theologiae". (per una maggiore comprensione su San Tommaso d’Aquino vedere anche post pubblicati Marzo 2013 e aprile 2014 “San Tommaso d’Aquino" e "Le cinque vie, l’esistenza di Dio”). 

1. MOMENTI DELL'AMORE
1.1. Amor come passio
L'amore è inizialmente passio, passione: un ricevere, un subire, che implica potenzialità. Alla passione segue poi un atto. L'amore come passio avviene quando l'appetito della volontà, cioè il suo desiderio di bene, viene trasformato da un appetibile, da un bene che troviamo nel nostro orizzonte. Il bene che entra nell'orizzonte del nostro volere polarizza, attrae a sè l'appetizione. L'amore come passio è qualcosa che capita, non la si sceglie, non è voluto liberamente; succede. Così avviene nell'innamoramento: non si sceglie di innamorarsi di una persona (si sceglie poi liberamente di amarla, cioè di impegnarci, di lavorare su questo amore). L'aurora dell'amore è però un atto spontaneo, che avviene da sè, è l'apprezzamento di un bene. L'amor come passio è detto anche amore di compiacenza: è un momento gratuito in cui l'amante gioisce perchè l'amato c'è, perchè l'amato esiste. La compiacenza è un meravigliarsi che l'altro c'è, e a questo meravigliarsi si aggiunge rispetto, venerazione, gratitudine: si gioisce del valore dell'amato.
1.2. Amor come atto della volontà
All'amore come passio, come compiacenza, segue l'amore come atto della volontà: la volontà in questa fase non è più passiva, non subisce più qualcosa che capita, ma diventa attiva, in quanto è protagonista di un'azione, in quanto compie una azione. Amore è voler bene a qualcuno, il movimento dell'amore ha quindi due termini, due oggetti: il bene voluto e il qualcuno cui si vuole questo bene. Ad esempio: voglio ad un mio amico il suo bene. Un bene che una persona vuole per qualcuno è amato di amor concupiscientiae, il soggetto cui si vuole questo bene è amato di amor amicitiae. Ad esempio: voglio una cioccolata per un mio amico: l'amico è amato di amor amicitiae, è propriamente amato, la cioccolata è amata solo di amor concupiscientiae: non la amo davvero, è solo uno strumento, un mezzo.
1.3. Amor amicitiae, amor concupiscientiae
L'amor concupiscientiae si dirige ad un oggetto che non è amato davvero, viene desiderato in funzione dell'amore che si vuole ad un altro. L'amor amicitiae invece si muove verso un termine per promuovere il bene di questo termine, ad esempio di una persona, che ha valore in se stesso. L'amor concupiscientiae tende all'oggetto in quanto è bene per sè o per un altro; l'amor amicitiae invece tende all'altro in quanto bene in sè, e promuove il bene dell'altro. Quando amo una persona di amor concupiscientiae la desidero in funzione di me: dico che amo questa persona, ma in realtà amo davvero solo me stesso. L'amor amicitiae invece è vero amore dell'altra persona, perchè amo l'amato senza desiderare un vantaggio per me, senza volerci guadagnare nulla. L'amor amicitiae riprende attivamente la gratuità, la generosità , che si trova nel primo momento dell'amore, nell'amore come passio. L'amor concupiscientiae non è interssato veramente all'altra persona, non attinge all'altra persona in quanto tale, si ferma alle sue qualità superficiali, e non al suo nucleo, alla sua essenza; l'amor amicitiae è invece rivolto all'identità personale dell'altro, non a qualche sua bella qualità che ci procura vantaggio. L'amor concupiscientiae è instabile: è infatti fondato sull'utile o sul piacere che viene dall'altra persona, quando da questa persona non viene più utile o piacere (o quando abbiamo trovato di meglio altrove) questo amore finisce.
1.4. Il dono di se stessi
L'amor amicitiae è benevolenza e dono: la benevolenza consiste nel volere il bene, la perfezione dell'amato. Il dono è la dedizione e donazione all'amato. I singoli doni che facciamo all'amato sono immagini, simboli, dell'amore nostro che vogliamo donargli, in definitiva sono segni del dono più profondo, che è il done di noi stessi alla persona che amiamo.
1.5. L'unione affettiva
Al dono segue l'unione affettiva: nella reciprocità degli affetti l'amante considera l'amato una cosa sola con sè. L'amore è forza estatica e forza unitiva: è forza estatica perchè tira fuori da sè, è forza unitiva perchè porta ad unirsi all'altra persona. L'unione non è unione ontologica: due persone non diventano una, restano due, però, nella relazione di reciproco amore, gli amanti desiderano le stesse cose, per le stesse cose soffrono, per le stesse cose gioiscono. Il bene dell'altro diventa il bene proprio e il bene proprio diventa il bene dell'altro.
2. EFFETTI DELL’AMORE

2.1. L'estasi
L'estasi è un effetto dell'amore: consiste nell'uscire da se stessi per dirigersi verso l'amato e penetrare nella sua interiorità. Il baricentro vitale dell'amante si sposta verso l'amato, verso l'altro. L'amore si configura quindi come una liquefazione: il liquido non ha confini, ma si effonde, dilaga: così l'amante straripa verso l'amato. L'egoista ha un momento di estasi, cioè un momento in cui si rivolge all'altro, ma l'altra persona è solo un mezzo, quindi l'amore dell'egoista ha se stesso come oggetto proprio: l'egoista non esce veramente da sè, resta riservato in se stesso.
2.2. L'amore perfeziona
L'amore perfeziona. Mediante l'amore si opera infatti più perfettamente. Chi compie un'azione per amore la compie meglio di chi la compie senza amore. L'amore perfeziona in particolarela conoscenza: l'amante conosce l'amato nelle sue pieghe più nascoste. L'amore porta a rivolgersi totalmente verso l'amato, porta ad immedesimarsi con l'amato, l'intelligenza conosce così la persona che si ama dall'interno.
2.3. L'amore fa essere
L'amore fa essere: ogni uomo è ricchissimo di potenzialità, di capacità, ma perchè queste potenzialità siano attivate c'è bisogno delle altre persone, del loro apprezzamento, del loro amore. Ogni uomo viene alla luce solo in un altro uomo: ogni uomo si forma in un grembo fisico, ma non solo, anche in un grembo spirituale, non si diventa uomini senza l'amore, il riconoscimento, l'apprezzamento delle altre persone (soprattutto dei genitori, poi dei vari educatori...). La maturazione psicologica, affettiva, intellettiva dell'uomo che cresce non avviene da se stessa: ha bisogno di un amore, cioè di persone che hanno già queste perfezioni, questi beni, e che li trasmettono, per l'amore.
Dio crea il mondo per amore: l'atto di creazione del mondo è un atto libero, un atto di amore. Possiamo dire quindi che l'amore di Dio è amore creativo: l'amore umano è pro-creativo, partecipa della creazione divina, soprattutto nel caso dell'amore coniugale.
Possiamo generalizzare il discorso dicendo che ogni passione e ogni attività umana scaturiscono dall'amore: non si desidera se non ciò che si ama, non si gioisce se non per ciò che si ama. Tutto ciò che agisce agisce per amore.
2.4. L'amore come carità
La carità è una virtù infusa, non viene quindi dall'uomo, dal suo esercizio, dalla sua buona volontà, ma è solo un dono di Dio. L'uomo può disporsi alla carità, ma essa è donata da Dio. La carità è l'amor amicitiae verso Dio: amore Dio in quanto tale, non per i benefici che ne abbiamo, ma semplicemente perchè è.
2.5. L'amore è la felicità dell'uomo
La felicità è l'effetto sul soggetto di una attività della propria natura che raggiunge un bene consono alla propria natura.
Il bene consono, connaturale, alla natura umana è la persona, l'altra persona: l'uomo e soprattutto Dio. Il raggiungimento di questo bene consono è l'immedesimarsi, l'unirsi, senza però distruggerlo o danneggiarlo. L'attività propria dell'uomo è l'amore: la natura umana è una natura aperta all'infinito, per sua natura orientata oltre se stessa, e l'operazione propria di una natura aperta è l'amore. La felicità dell'uomo è quindi l'amore.
2.6. Paradosso della felicità
La felicità la consegue solo chi non desidera direttamente la propria felicità. Diventa felice solo chi non è impegnato direttamente ad ottenere la propria felicità. La felicità è come il sonno, quando lo si cerca direttamente, e ci si impegna a dormire, questo sfugge. E' come la spontaneità: la persona timida che si impegna direttamente ad essere spontanea non ci riuscirà mai. E' come l'oblio: cercare direttamente di dimenticare qualcosa non porterà certo a dimenticare, anzi: è il modo migliore per ricordare. La felicità non la consegue l'egoista; la consegue solo chi esercita l'amor amicitiae, solo chi ama l'altra persona e cerca la felicità dell'altro. Diventa felice solo chi cerca, al posto della propria, la felicità dell'altro.


1 commento:

  1. Grazie Maurizio! mi hai aiutato a capire l'amore in Tommaso un po meglio

    RispondiElimina