Questa nuova pagina di
Matteo (Cap.
15) è idealmente raccordata alla precedente dall’episodio finale della seconda
moltiplicazione dei pani, considerata dagli studiosi una variante della prima
con alcuni segnali di rielaborazione. Nella prima la folla sfamata era
di cinquemila uomini, i pani erano cinque, i pesci due e le ceste avanzate
dodici. Qui abbiamo, invece, quattromila uomini, sette pani, pochi
pesciolini e sette ceste. Nella prima narrazione Gesù «pronunziava la
benedizione» sopra i pani; qui, invece, «rende grazie» (in greco c’è il verbo eucharistein). Gli studiosi ritengono
che, se la «benedizione» riflette più la tradizione giudaica e quindi il
racconto rimanda alle comunità cristiane di origine giudaico-palestinese, ora
avremmo con il “ringraziamento” lo stesso evento riferito da comunità greche di
origine pagana. Matteo, come gli altri evangelisti – secondo un uso non raro
nella Bibbia –, accosterebbe due testimonianze che illustrano con accenti
diversi lo stesso miracolo compiuto da Gesù.
Il resto del capitolo 15 è dominato da una controversia con
alcuni “Farisei” e “Scribi” venuti in Galilea da Gerusalemme, pronti a
denunciare la scarsa osservanza delle regole di purità rituale da parte di
Gesù. Questa accusa permette a Cristo di sviluppare un’altra riflessione di
impronta profetica sul rapporto genuino tra culto e vita, tra legge sacra ed
esistenza. Egli, inoltre, ripropone il comandamento autentico di Dio che non
dev’essere schiacciato dalla tradizione storica, che è costruzione di uomini. A
questo proposito fa anche un esempio concreto riguardante la cosiddetta prassi
del “qorban” (“offerta”, in ebraico):
l’obbligo di sostenere i genitori anziani poteva essere cancellato da
un’offerta consistente fatta al tempio, violando in tal modo legalmente il
quarto comandamento.
Gesù si oppone, così,
a una religiosità estrinseca e formale che non intacca la coscienza e
la vita, come già Isaia aveva dichiarato a proposito di un culto che affiora
solo sulle labbra ma non è radicato nel cuore
(29,13, citato da Matteo 15, 8-9). Il discorso di Gesù a questo punto si
allarga e illustra con immagini folgoranti la vera spiritualità, che ha come
meta non tanto un’osservanza rituale superficiale, ma la conversione del cuore
dal peccato e dal male. La narrazione prosegue con un miracolo emblematico,
perché destinato a dimostrare come la fede vera superi la stessa appartenenza
diretta al popolo di Israele.
E’
quell’idea del “vero Israele” che Matteo sviluppa al di là delle stesse
barriere etniche: il vero popolo di Dio può essere costituito anche da una
donna cananea, cioè razzialmente diversa, considerata come un “cagnolino”
impuro (secondo la concezione del tempo), purché la sua fede sia limpida.
Certo, questo non esclude Israele, il popolo eletto da Dio, e Gesù ribadisce
che la sua missione è innanzitutto rivolta «alle pecore perdute della casa di
Israele» (versetto 24).
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