giovedì 3 marzo 2016

NUOVA CONTROVERSIA SULLE TRADIZIONI DEI FARISEI


Questa nuova pagina di Matteo (Cap. 15) è idealmente raccordata alla precedente dall’episodio finale della seconda moltiplicazione dei pani, considerata dagli studiosi una variante della prima con alcuni segnali di rielaborazione. Nella prima la folla sfamata era di cinquemila uomini, i pani erano cinque, i pesci due e le ceste avanzate dodici. Qui abbiamo, invece, quattromila uomini, sette pani, pochi pesciolini e sette ceste. Nella prima narrazione Gesù «pronunziava la benedizione» sopra i pani; qui, invece, «rende grazie» (in greco c’è il verbo eucharistein). Gli studiosi ritengono che, se la «benedizione» riflette più la tradizione giudaica e quindi il racconto rimanda alle comunità cristiane di origine giudaico-palestinese, ora avremmo con il “ringraziamento” lo stesso evento riferito da comunità greche di origine pagana. Matteo, come gli altri evangelisti – secondo un uso non raro nella Bibbia –, accosterebbe due testimonianze che illustrano con accenti diversi lo stesso miracolo compiuto da Gesù. 

Il resto del capitolo 15 è dominato da una controversia con alcuni “Farisei” e “Scribi” venuti in Galilea da Gerusalemme, pronti a denunciare la scarsa osservanza delle regole di purità rituale da parte di Gesù. Questa accusa permette a Cristo di sviluppare un’altra riflessione di impronta profetica sul rapporto genuino tra culto e vita, tra legge sacra ed esistenza. Egli, inoltre, ripropone il comandamento autentico di Dio che non dev’essere schiacciato dalla tradizione storica, che è costruzione di uomini. A questo proposito fa anche un esempio concreto riguardante la cosiddetta prassi del “qorban(“offerta”, in ebraico): l’obbligo di sostenere i genitori anziani poteva essere cancellato da un’offerta consistente fatta al tempio, violando in tal modo legalmente il quarto comandamento. 

Gesù si oppone, così, a una religiosità estrinseca e formale che non intacca la coscienza e la vita, come già Isaia aveva dichiarato a proposito di un culto che affiora solo sulle labbra ma non è radicato nel cuore  (29,13, citato da Matteo 15, 8-9). Il discorso di Gesù a questo punto si allarga e illustra con immagini folgoranti la vera spiritualità, che ha come meta non tanto un’osservanza rituale superficiale, ma la conversione del cuore dal peccato e dal male. La narrazione prosegue con un miracolo emblematico, perché destinato a dimostrare come la fede vera superi la stessa appartenenza diretta al popolo di Israele. 

E’ quell’idea del “vero Israele” che Matteo sviluppa al di là delle stesse barriere etniche: il vero popolo di Dio può essere costituito anche da una donna cananea, cioè razzialmente diversa, considerata come un “cagnolino” impuro (secondo la concezione del tempo), purché la sua fede sia limpida. Certo, questo non esclude Israele, il popolo eletto da Dio, e Gesù ribadisce che la sua missione è innanzitutto rivolta «alle pecore perdute della casa di Israele» (versetto 24).


Nessun commento:

Posta un commento