Il quadretto che apre il capitolo 18 è stato spesso ripreso dalla tradizione in forma oleografica e sentimentale. In realtà, il gesto di Gesù ha un valore simbolico molto più netto in chiave spirituale. Il bambino (per quattro volte in greco si usa il vocabolo "paidion"), che nell’antico Vicino Oriente era scarsamente considerato, diventa il segno della fede e dell’accoglienza del «regno di Dio», non tanto per la sua innocenza quanto per la sua fiducia, il suo consegnarsi al padre, il suo essere ultimo e “piccolo” (in greco si ha un verbo che riflette il nostro aggettivo “tapino”, quindi la debolezza). Si ha, così, il profilo simbolico del vero discepolo.
E ai discepoli, alla loro comunità e quindi alla Chiesa (citata due volte nel versetto 17: ekklesía, «assemblea» dei fedeli) è destinato il quarto dei cinque discorsi che costellano il “Vangelo di Matteo”. Subito ci si rivolge ai “piccoli”, in greco mikroi, che non sono tanto i bambini ma ciò che essi simboleggiano, cioè i credenti umili e semplici, tant’è vero che si definiscono come i «piccoli che credono in me». Tra l’altro, in aramaico, la lingua dominante al tempo di Gesù, “piccolo” era usato non per i bambini ma per i disprezzati e gli inferiori. Questi discepoli-piccoli hanno bisogno di cure e attenzioni e non devono essere fatti cadere, cioè "scandalizzati", messi in crisi. Gesù è durissimo – e le immagini di tonalità semitica lo attestano – contro chi fa perdere la fede a questi “piccoli”, tutelati da Dio stesso attraverso il suo angelo.
Anzi, la comunità, quando uno di questi discepoli si perde su strade infide, deve essere simile al pastore divino che va in cerca delle pecore smarrite (Ezechiele 34). Matteo, a questo punto, offre una vera e propria regola per il recupero di questi fratelli in crisi: è una norma forse in uso nella sua Chiesa e comprendeva tre atti o tappe nella correzione fraterna. Innanzitutto c’è il contatto personale; c’è poi il sostegno di altri fratelli e, infine, c’è l’intera ekklesía-assemblea cristiana che cerca di riportare il fratello o la sorella alla pienezza della comunione. Tale comunione è infranta se il peccatore si ostina e la Chiesa ha il potere in questo caso di «legare» e «sciogliere», cioè di «giudicare e perdonare» (vedi Matteo 16,19).
Naturalmente la meta sperata è quella del perdono, che dev’essere cercato sempre come ultima soluzione. E’ ciò che attesta la frase di Gesù sulla concessione del perdono: non sette ma «settanta volte sette»; egli allude al violento Lamech che dichiarava di volersi vendicare non sette ma settantasette volte (Genesi 4,24), cioè all’infinito e senza tregua. La lezione sul perdono è illustrata da una parabola in cui si contrappone alla grettezza umana, incapace di rimettere un debito di cento denari (tre mesi di salario per un bracciante), la generosità del re divino che ci condona un debito astronomico di diecimila talenti: si pensi che il gettito fiscale per Erode dell’intera Galilea era di duecento talenti.
Anche per il quarto discorso “comunitario”, Matteo ha trovato lo spunto di partenza in un passo di Marco (9,33-48), e poi altri detti del Signore nella fonte in fonti proprie. Ne è risultato un discorso fortemente compatto e allo stesso tempo molto articolato. Lo si potrebbe intitolare “Direttive per la vita della comunità”. L’abilità compositiva di Matteo è qui evidente, sia dal punto di vista “didattico” (il ricorso all’inclusione, a parole-chiave, alla ripetizione), sia dal punto di vista “tematico” (l’accoglienza dei “piccoli” e la coesione fraterna).
Il discorso si divide in due parti, ciascuna delle quali si sviluppa attorno a un interrogativo: «Chi è il più grande nel regno dei cieli?» (18,1); «Quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me?» (18,21). Ogni parte termina con una parabola: la pecorella smarrita (18,12-14), il servo perdonato ma incapace di perdonare (18, 23-35). Ciascuna parte è costruita attorno a una parola-chiave: la parola “piccolo” (o bambino) la prima, la parola “fratello” (e “perdono”) la seconda. La comunità che si scorge dietro questa composizione di Matteo non può dirsi ideale. Ad essa Matteo ricorda di non trascurare e di non scandalizzare le persone che contano di meno, ma di porle al centro della propria cura. Inoltre ricorda che la fraternità esige contemporaneamente la «correzione e il perdono».
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