La scena della
trasfigurazione (cap. 17) è per molti aspetti parallela a quella del battesimo nel
Giordano, ed è in un certo senso un’anticipazione delle epifanie pasquali di
Cristo ai suoi discepoli. A metà strada della sua missione pubblica, «su un alto
monte», che la tradizione successiva ha identificato con il "Tabor" che domina la
pianura di Galilea, Gesù rivela in una teofania, cioè in una solenne
apparizione, la sua realtà profonda e misteriosa, che è sigillata ufficialmente
dalla voce celeste: «Questi è il Figlio mio, il prediletto», proprio come era
avvenuto nel battesimo. Alla trasfigurazione è accompagnata una discussione tra
i testimoni dell’evento, Pietro, Giacomo e Giovanni, e lo stesso Gesù.
Essa ha come tema una questione dibattuta
in ambito giudaico, quella del ritorno del profeta Elia nell’èra messianica
come precursore del Messia stesso. Questa tesi si fondava su un passo del
profeta Malachia: «Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno
del Signore, grande e terribile» (3,23). Ebbene, Cristo identifica nel Battista
l’ideale reincarnazione di Elia come annunziatore del Messia, una presenza –
quella di Giovanni – che rimase però incompresa.
Si è frattanto giunti ai piedi del monte. Qui è narrato un
episodio miracoloso che ha per protagonista un epilettico che, secondo l’antica
concezione, viene anche considerato indemoniato, data la particolare sindrome
di questa malattia. La guarigione, tuttavia, è orientata in un senso più alto
rispetto alla pura e semplice restituzione della salute fisica. I miracoli,
ammonisce Gesù, non sono frutto di magia; la lotta con il male e con Satana non
si ottiene con riti e formule. E’, invece, decisiva la potenza della fede,
capace di generare i più straordinari prodigi. La celebrazione della forza
della fede è affidata all’immagine paradossale del monte scalzato dalle sue
basi e trasferito altrove. E’ la «poca fede» (versetto 20) che impedisce la
salvezza.
Gesù, poi, ritorna di nuovo
sul tema della sua morte e risurrezione: è il secondo dei tre annunzi
riferiti dai vangeli sinottici, cioè da Matteo, Marco e Luca. Si ha
successivamente il passaggio a una nuova scena, quella in cui la tassa per il
tempio, richiesta agli Ebrei fedeli, è riscossa da parte degli esattori. Cristo
replica affermando il diritto all’esenzione: le imposte non colpiscono i figli
ma i sudditi; egli è per eccellenza il Figlio di Dio e figli sono anche per
dono i discepoli, quindi dovrebbe scattare l’esenzione nei confronti di questa
tassa per il culto. Tuttavia Gesù, «perché non si scandalizzino» coloro che osservano dall’esterno e non riescono a comprendere il mistero che si cela in
Cristo, accede alla richiesta. L’atto del pesce con la moneta, compiuto dal
pescatore Pietro, trova riscontro oggi in una curiosità locale: nel lago di
Tiberiade c’è un genere di pesci che conserva in apposite sacche piccoli
oggetti. Il senso del racconto va, comunque, oltre questo aspetto folcloristico
(versetti 24,25,26,27).
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