sabato 5 marzo 2016

LA TRASFIGURAZIONE


La scena della trasfigurazione (cap. 17) è per molti aspetti parallela a quella del battesimo nel Giordano, ed è in un certo senso un’anticipazione delle epifanie pasquali di Cristo ai suoi discepoli. A metà strada della sua missione pubblica, «su un alto monte», che la tradizione successiva ha identificato con il "Tabor" che domina la pianura di Galilea, Gesù rivela in una teofania, cioè in una solenne apparizione, la sua realtà profonda e misteriosa, che è sigillata ufficialmente dalla voce celeste: «Questi è il Figlio mio, il prediletto», proprio come era avvenuto nel battesimo. Alla trasfigurazione è accompagnata una discussione tra i testimoni dell’evento, Pietro, Giacomo e Giovanni, e lo stesso Gesù. 

Essa ha come tema una questione dibattuta in ambito giudaico, quella del ritorno del profeta Elia nell’èra messianica come precursore del Messia stesso. Questa tesi si fondava su un passo del profeta Malachia: «Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del Signore, grande e terribile» (3,23). Ebbene, Cristo identifica nel Battista l’ideale reincarnazione di Elia come annunziatore del Messia, una presenza – quella di Giovanni – che rimase però incompresa. 

Si è frattanto giunti ai piedi del monte. Qui è narrato un episodio miracoloso che ha per protagonista un epilettico che, secondo l’antica concezione, viene anche considerato indemoniato, data la particolare sindrome di questa malattia. La guarigione, tuttavia, è orientata in un senso più alto rispetto alla pura e semplice restituzione della salute fisica. I miracoli, ammonisce Gesù, non sono frutto di magia; la lotta con il male e con Satana non si ottiene con riti e formule. E’, invece, decisiva la potenza della fede, capace di generare i più straordinari prodigi. La celebrazione della forza della fede è affidata all’immagine paradossale del monte scalzato dalle sue basi e trasferito altrove. E’ la «poca fede» (versetto 20) che impedisce la salvezza. 

Gesù, poi, ritorna di nuovo sul tema della sua morte e risurrezione: è il secondo dei tre annunzi riferiti dai vangeli sinottici, cioè da Matteo, Marco e Luca. Si ha successivamente il passaggio a una nuova scena, quella in cui la tassa per il tempio, richiesta agli Ebrei fedeli, è riscossa da parte degli esattori. Cristo replica affermando il diritto all’esenzione: le imposte non colpiscono i figli ma i sudditi; egli è per eccellenza il Figlio di Dio e figli sono anche per dono i discepoli, quindi dovrebbe scattare l’esenzione nei confronti di questa tassa per il culto. Tuttavia Gesù, «perché non si scandalizzino» coloro che osservano dall’esterno e non riescono a comprendere il mistero che si cela in Cristo, accede alla richiesta. L’atto del pesce con la moneta, compiuto dal pescatore Pietro, trova riscontro oggi in una curiosità locale: nel lago di Tiberiade c’è un genere di pesci che conserva in apposite sacche piccoli oggetti. Il senso del racconto va, comunque, oltre questo aspetto folcloristico (versetti 24,25,26,27). 
        


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