venerdì 26 febbraio 2016

IL MARTIRIO DI GIOVANNI E ALTRI MIRACOLI DI GESU’




































Questa pagina del vangelo di Matteo (Cap. 14) è nella sua prima parte dominata dalla figura di Giovanni il Battista e dal racconto della sua passione e morte sotto Erode Antipa, figlio di Erode il Grande. Egli aveva ripudiato la moglie per unirsi a Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, sollevando la condanna di Giovanni che, stando alle notizie offerte dallo storico giudeo-romano Giuseppe Flavio, fu incarcerato nella fortezza di Macheronte, sulla costa orientale del Mar Morto. Il racconto del martirio del Battista è più essenziale rispetto a quello di Marco e viene visto come il preludio della morte di Cristo. Alla base ci sarebbe l’istigazione di Erodiade, risentita a causa della denuncia che Giovanni faceva del suo legame con questo principe, messo a capo della Galilea e della Perea alla morte di suo padre Erode, nel 4 a.C. 

Subentra il filo narrativo che ha sempre Gesù per protagonista con le sue opere. Di scena ora è la prima moltiplicazione dei pani per «circa cinquemila uomini» (la seconda, nel capitolo 15, ne coinvolgerà quattromila), cifre da assumere in senso lato e non statistico, secondo la prassi orientale. Il miracolo ha al centro il segno del banchetto messianico offerto a tutti i popoli e ha in filigrana un’evocazione della cena eucaristica: Gesù «prese i pani…, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede…» (versetto 19). A questo episodio, che è carico di significati religiosi e che va oltre il semplice gesto di sfamare, se ne associa un altro piuttosto sorprendente. 

E’ noto, infatti, che Gesù non compie mai miracoli “spettacolari” o “taumaturgici”, ma solo orientati a beneficare e a offrire salvezza fisica e interiore. Ora, invece, siamo di fronte a un atto clamoroso, come quello del Cristo che cammina sulle acque, dando l’impressione di essere un fantasma, e fa anche procedere lo stesso Pietro sulle onde del lago (versetti 25,26,27,28,29). E’ ovvio che il miracolo abbia un valore religioso e simbolico che è da scoprire sotto gli stessi elementi di quell’evento. Bisogna innanzitutto pensare al rimando biblico dell’esodo attraverso il Mar Rosso, del passaggio del Giordano o delle «orme invisibili» di Dio che apre un sentiero nelle acque, come si esprime il Salmo 77,20. 

Due sono, però, le finalità del racconto. Da un lato, c’è il riconoscimento solenne, attraverso una teofania, cioè una grandiosa rivelazione divina, della divinità di Cristo e della sua signoria cosmica. Infatti, nel versetto 28, Pietro lo invoca con un titolo divino, “Kyrios, «Signore» (termine con cui si rendeva nella Bibbia greca il nome divino di JHWH). Nel versetto 33, poi, si ha la finale confessione di fede: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!». D’altro lato, si ha la fede ancora esitante del discepolo: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (versetto 31). L’episodio, dunque, è una potente raffigurazione della fede in Cristo, Signore del mondo e della storia e Figlio di Dio. 



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