Ancora una volta una
controversia con i “farisei” permette a Gesù di formulare la necessità di scelte
radicali che l’adesione al regno di Dio comporta (Cap. 19). Di scena è il tema
matrimoniale. Nel giudaismo contemporaneo a Cristo si fronteggiavano due scuole
teologiche: quella di rabbì Shammai concedeva il divorzio solo in caso di
adulterio, quella di rabbì Hillel era molto più larga nell’ammettere la rottura
del vincolo matrimoniale. Gesù va oltre questo dibattito, va oltre la stessa
normativa biblica sul divorzio, presente nel capitolo 24 del Deuteronomio, da
lui considerata come una concessione «per la durezza del cuore» umano, cioè un
gesto di educazione paziente e tollerante di Dio.
Ben diverso era il disegno originario del Signore («da
principio»): egli aveva voluto che l’amore umano nella coppia fosse totale,
radicale, frutto di una donazione assoluta per cui «i due diventano una sola
carne» (Genesi 2,24). E’ in questa luce che Cristo propone la sua visione del
matrimonio come «indissolubile», segno di un amore pieno e puro. Il ripudio è
inconciliabile con questa impostazione, a meno che si tratti di “porneia”: questa eccezione (versetto 9)
era già apparsa in 5,32 ed è resa da alcuni come se fosse «concubinato». Altri
pensano a una nota propria di Matteo che si riferisce a una situazione
specifica della sua comunità: forse le unioni illegittime tra consanguinei o
gli stati irregolari delle coppie provenienti dal paganesimo. Certo è che
questa “eccezione” non oscura la tesi netta ed esplicita di Cristo sul
matrimonio (vedi inoltre post Dicembre 2015 “Gesù e il divorzio).
E che questa sia la concezione autentica
di Gesù appare anche dalla reazione perplessa dei discepoli, che
esaltano il celibato come condizione meno gravosa. Ma è proprio su questo tema
che Gesù introduce una nuova visione: ci sono «eunuchi», cioè impotenti o
castrati, per ragioni fisiche, ma ci può essere una verginità di dedizione al
regno, cioè una via di solitudine per consacrarsi pienamente al servizio di Dio
e dei fratelli. La scena successiva dei bambini che circondano Gesù (vedi anche
18,2-5) è la rappresentazione di questa donazione fiduciosa e serena di se
stessi al regno dei cieli e alle sue esigenze di amore.
Grande ostacolo per l’ingresso nel regno è, invece, la «ricchezza», che è una forte tentazione idolatrica, come già insegnava l’Antico
Testamento. Al giovane ricco, che pure ha già una sua fedeltà religiosa alla
morale biblica, Gesù propone il suo ideale di totalità e perfezione: «Se vuoi
essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dàllo ai poveri» (versetto
21). Ma questo gesto radicale è “impossibile” a chi è ricco: solo Dio può
cambiare il cuore di chi possiede tanti beni, aprendolo all’amore. La celebre
immagine del cammello e della cruna dell’ago, vanamente ridotta da alcune
interpretazioni poco fondate (“gomena” invece di «cammello» a causa di un
vocabolo greco affine), dev’essere
lasciata nella sua forza e radicalità.
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