martedì 15 marzo 2016

MATRIMONIO E CELIBATO, LA RICCHEZZA E LA SEQUELA


Ancora una volta una controversia con i “farisei” permette a Gesù di formulare la necessità di scelte radicali che l’adesione al regno di Dio comporta (Cap. 19). Di scena è il tema matrimoniale. Nel giudaismo contemporaneo a Cristo si fronteggiavano due scuole teologiche: quella di rabbì Shammai concedeva il divorzio solo in caso di adulterio, quella di rabbì Hillel era molto più larga nell’ammettere la rottura del vincolo matrimoniale. Gesù va oltre questo dibattito, va oltre la stessa normativa biblica sul divorzio, presente nel capitolo 24 del Deuteronomio, da lui considerata come una concessione «per la durezza del cuore» umano, cioè un gesto di educazione paziente e tollerante di Dio. 

Ben diverso era il disegno originario del Signore («da principio»): egli aveva voluto che l’amore umano nella coppia fosse totale, radicale, frutto di una donazione assoluta per cui «i due diventano una sola carne» (Genesi 2,24). E’ in questa luce che Cristo propone la sua visione del matrimonio come «indissolubile», segno di un amore pieno e puro. Il ripudio è inconciliabile con questa impostazione, a meno che si tratti di “porneia”: questa eccezione (versetto 9) era già apparsa in 5,32 ed è resa da alcuni come se fosse «concubinato». Altri pensano a una nota propria di Matteo che si riferisce a una situazione specifica della sua comunità: forse le unioni illegittime tra consanguinei o gli stati irregolari delle coppie provenienti dal paganesimo. Certo è che questa “eccezione” non oscura la tesi netta ed esplicita di Cristo sul matrimonio (vedi inoltre post Dicembre 2015 “Gesù e il divorzio). 

E che questa sia la concezione autentica di Gesù appare anche dalla reazione perplessa dei discepoli, che esaltano il celibato come condizione meno gravosa. Ma è proprio su questo tema che Gesù introduce una nuova visione: ci sono «eunuchi», cioè impotenti o castrati, per ragioni fisiche, ma ci può essere una verginità di dedizione al regno, cioè una via di solitudine per consacrarsi pienamente al servizio di Dio e dei fratelli. La scena successiva dei bambini che circondano Gesù (vedi anche 18,2-5) è la rappresentazione di questa donazione fiduciosa e serena di se stessi al regno dei cieli e alle sue esigenze di amore. 

Grande ostacolo per l’ingresso nel regno è, invece, la «ricchezza», che è una forte tentazione idolatrica, come già insegnava l’Antico Testamento. Al giovane ricco, che pure ha già una sua fedeltà religiosa alla morale biblica, Gesù propone il suo ideale di totalità e perfezione: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dàllo ai poveri» (versetto 21). Ma questo gesto radicale è “impossibile” a chi è ricco: solo Dio può cambiare il cuore di chi possiede tanti beni, aprendolo all’amore. La celebre immagine del cammello e della cruna dell’ago, vanamente ridotta da alcune interpretazioni poco fondate (“gomena” invece di «cammello» a causa di un vocabolo  greco affine), dev’essere lasciata nella sua forza e radicalità. 





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