Il secondo grande
discorso di Gesù ( Mt cap. 10) è preparato dal “ritratto di gruppo” dei dodici discepoli,
elencati a coppie, dal «primo», Simone chiamato Pietro, sino all’ultimo, «Giuda
L’Iscariota, che poi lo tradì». La loro missione è la stessa di Gesù:
rivolgendosi prima di tutto a Israele, come popolo dell’elezione divina, essi
devono predicare e guarire, cioè annunziare la venuta del regno dei cieli in
parole e in opere. E’ forte la sottolineatura che viene riservata alla lotta
contro il male fisico e spirituale. L’invio per la missione – Matteo ha
naturalmente davanti agli occhi l’azione e la testimonianza della Chiesa delle
origini – comprende il “Discorso Missionario” che Cristo rivolge ai discepoli
come vero e proprio programma.
Subito
egli sottolinea la necessità della povertà e della gratuità
nell’impegno apostolico (tra l’altro, il verbo greco apostellein, “inviare”, “mandare”, da cui deriva il vocabolo
«apostolo», è presente nel versetto 16). Si delinea, poi, un’esperienza ben
nota ai primi cristiani, quella dell’accettazione e del rifiuto, a cui il
discepolo va incontro con serenità, ben sapendo che il giudizio di simili
comportamenti è affidato a Dio, che ha inviato e tutela il suo testimone.
Partendo certamente dalle vicende che la Chiesa di Matteo aveva vissuto,
l’evangelista modella le parole di Gesù alla luce della storia della comunità
cristiana delle origini: i vangeli, infatti, non sono verbali o testi
storiografici ma, fondandosi sulla parola storica di Gesù, la conservano in
modo vivo, attualizzandola e confrontandola con il loro presente.
Così, lunga è la lista dei rifiuti
che verranno opposti ai missionari del vangelo: ci saranno persecuzioni da
parte di uomini vari che deferiranno i discepoli ai tribunali, di Giudei che li
denunceranno alle autorità sinagogali, di pagani che li consegneranno ai
politici, e persino da parte di familiari, i quali colpiranno i loro stessi
parenti. Tuttavia, anche se queste prove dureranno sempre, fino alla venuta
gloriosa di Cristo al concludersi della storia, i testimoni del vangelo saranno
sereni perché sanno che questo è già accaduto al loro Signore e che lo Spirito
Santo è accanto a loro a sostenerli. Si ha, allora, un vigoroso appello alla
fiducia, nella consapevolezza che Dio non abbandona la vita («anima e corpo»)
dei suoi fedeli, lui che si prende cura dei passeri del cielo e persino dei
capelli del nostro capo.
Il discorso
prosegue con una nuova rappresentazione della radicalità che la scelta
di seguire Cristo comporta. E’ come se una spada tagliasse tutti i fili delle
relazioni umane che ci legano al mondo: il discepolo deve sapere persino
perdere la propria vita per Cristo. Infatti Gesù presenta la via della croce,
cioè del martirio, come una strada aperta anche davanti al discepolo. Ma essa
ha come meta la pienezza: «Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la
troverà».
Il “Discorso Missionario”
si chiude sulla scena dell’accoglienza: per sei volte risuona il verbo
«accogliere», segno del frutto positivo che la missione può ottenere. Molti,
infatti, aderiranno all’annunzio dei discepoli che sono definiti con tre
termini suggestivi: profeti, giusti e piccoli. I primi due sono attinti
all’Antico Testamento, il terzo è tipico di Matteo, che vuole sottolineare la
semplicità, la fiducia e la povertà dei testimoni del vangelo (Mt 10, 40-42).
Dopo queste parole, anche Gesù si mette sulle strade della Galilea «per
insegnare e predicare» il “regno di Dio”.
Per
il discorso sulla “missione” Matteo ha potuto servirsi di due esemplari
provenienti da due fonti differenti. Egli li fonde insieme e vi aggiunge molte
altre parole del Signore che illustrano lo stile della “missione” e,
soprattutto, il coraggio che il missionario deve avere nell’affrontare la
“persecuzione”. La parte sulla “persecuzione” è la più ampia e originale,
anch’essa però costruita su materiali già presenti in Marco e Luca, ma
collocati altrove. Nella concezione di Matteo, “missione e persecuzione” si
accompagnano. La “persecuzione” vorrebbe fermare la “missione”, in realtà la
favorisce. La “persecuzione” è un fatto della storia di sempre, non solo degli
ultimi tempi.
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