Continuano le reazioni di fronte al ministero
pubblico di Gesù (Mt Cap. 12). Ora di scena sono i “Farisei” che, pur
rappresentando la corrente più aperta del giudaismo di allora, si rivelano in
questo racconto molto ostili a Cristo, al punto tale da progettare la rovina
stessa di Gesù (versetto 14)). Due sono i momenti del conflitto, ma entrambi
hanno per tema l’osservanza del sabato, una delle norme fondamentali della
tradizione giudaica. Da un lato, infatti, i discepoli di Gesù la violano
compiendo un “lavoro”, quello del cogliere spighe per masticarne i grani, e
dall’altro è lo stesso Cristo a violarla attraverso la guarigione di un uomo
dalla mano paralizzata, un gesto considerato anch’esso come un’opera proibita
nel giorno di riposo.
In entrambi i
casi Gesù replica con un’aspra requisitoria fondata sulla Bibbia. Nella
prima situazione egli appella alla violazione delle regole sacrali da parte
di Davide in fuga nel deserto (si legga 1Samulele 21) e da parte dei sacerdoti
stessi durante i sacrifici compiuti di sabato (Levitico 24). Citando ancora una
volta il passo di Osea (6,6), secondo il quale Dio preferisce l’amore generoso
e fattivo al rito fine a se stesso, Cristo ripropone l’autentica santità, che
non è mera osservanza rituale ma impegno vitale. Nel secondo caso egli
argomenta sulla base della prassi che di sabato ammette eccezioni in situazioni
gravi: la sofferenza di una creatura umana non è forse un caso grave? Potenti e
terribili agli orecchi dei “Farisei” risuonano due frasi di Cristo: «Io vi dico
che qui c’è qualcosa più grande del tempio…. Il Figlio dell’uomo è signore del
sabato» (versetti 6 e 8).
A questo
punto l’evangelista offre un’interpretazione della figura di Gesù sulla
base della citazione del primo canto del Servo del Signore (Isaia 42,1-4), un
passo letto in chiave messianica, ove la figura di Cristo è intravista in
filigrana come l’uomo della «misericordia», che non getta via la canna
incrinata e non spegne il lucignolo che fumiga. E subito dopo, ecco ancora un
miracolo nei confronti di un indemoniato, cieco e muto: è noto il nesso che
sovente si poneva tra peccato e malattia, tra Satana e sofferenza. Questo atto
scatena di nuovo la reazione dei “Farisei”, i quali accusano Gesù di magia
demoniaca.
Egli rintuzza questo
attacco, mostrando che la sua non è collusione con Satana ma
collisione: infatti, egli è venuto per scacciare e piegare il diavolo e
instaurare il regno di Dio. I “Farisei” lo sanno ma, pur vedendo, essi si
oppongono a Cristo e alla sua opera: è questa la «bestemmia contro lo Spirito»,
cioè il rifiuto cosciente e sistematico della verità e del bene conosciuto, una
colpa che non può essere perdonata. Perciò io vi dico: «Qualunque
peccato e bestemmia saranno perdonati agli uomini, ma la bestemmia contro lo
Spirito non sarà perdonata…» (versetto 31) Gesù prosegue con: «A chiunque
parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo
Spirito Santo non gli sarà perdonata né in questo mondo, né in quello futuro»
(versetto 32), (vedi anche Post
pubblicato Sett.2015 “Il peccato imperdonabile”). Infine Gesù ricorre a
un’immagine che aveva già usato (Matteo 7,17-18) e a un’altra che riprenderà
(13,52), cioè all’albero e ai suoi frutti e al tesoro personale, per indicare
il bene e il male che ogni uomo può produrre e rivelare.
Il confronto tra Gesù e i “Farisei” prosegue ora con la
richiesta di un «segno», cioè di una prova ultimativa che giustifichi le
asserzioni di Cristo, considerate come spropositate. Con sdegno Gesù, che ha
già nei miracoli offerto il «segno» della sua missione, rigetta questa
richiesta e appella, invece, a un «segno» teologico, quello di«Giona il
profeta». E’ un simbolo biblico riletto alla luce del mistero pasquale, cioè la
morte e la risurrezione, il vero «segno ultimo e decisivo». Il grosso pesce che
inghiottì Giona, figura del mare e dei suoi mostri di morte, diventa l’emblema
del sepolcro dal quale Cristo uscirà nella gloria della Pasqua. E’ per questo
che contro i “Farisei” e coloro che rifiutano il vangelo del regno si rovescerà
il giudizio divino, nel quale saranno testimoni gli stessi Niniviti convertiti
da Giona e la regina di Saba – «la regina del sud» –, che diventano il simbolo
dei pagani aperti e disponibili alla predicazione del vangelo.
Dopo un’inserzione sull’opera diabolica
che non cessa mai di attuarsi all’interno dell’uomo, si introduce finalmente il
ritratto di coloro che accolgono Cristo, i suoi discepoli. Essi sono come la
madre e i fratelli e le sorelle di Gesù, cioè a lui legati da un vincolo intimo
e profondo. Mentre prima era di scena la «generazione perversa e adultera»
(12,39), ecco ora la generazione «santa e giusta», quella di coloro che fanno
«la volontà del Padre che è nei cieli». Si chiude, così, una parte molto
importante e tormentata del vangelo di Matteo, scandita dai miracoli di Gesù e
dalla reazione dell’uditorio.
Nessun commento:
Posta un commento