domenica 21 febbraio 2016

IL DISCORSO IN PARABOLE


Ora viene proclamato – dopo quello della "montagna" e quello "missionario" – il terzo dei cinque discorsi che costellano il testo matteano. Esso è costruito su due grandi “parabole” agricole, quelle del seminatore e della zizzania, a cui vengono associate altrettante spiegazioni e una serie di parabole minori. 

Gesù nella sua predicazione ama il ricorso al simbolo per illustrare il mistero del «regno dei cieli». Lungo tutto il capitolo 13 verranno evocate «sette parabole»: seminatore, zizzania, senape, lievito, tesoro, perle e rete da pesca sono i soggetti di ciascuna. Iniziamo con quella del seminatore. La sottolineatura va sui tipi diversi di terreno e sulla loro reazione al seme che in esso è effuso. E’ facile intuire – e lo si esplicherà nella successiva spiegazione – che si ha un contrasto tra l’azione divina e la risposta della libertà umana, cioè il rifiuto e l’accoglienza. L’ultima parola va, però, all’efficacia del seme, cioè della parola di Cristo e del «regno di Dio», che nell’animo di chi l’accoglie rivela la sua straordinaria fecondità.

Prima della spiegazione, si ha una riflessione sull’uso delle “parabole”. Esse, secondo Matteo, che ricorre a un passo di Isaia (6, 9-10), sono oscure agli occhi che volontariamente si chiudono alla luce del vangelo. Perciò, sono beati gli occhi che vedono e gli orecchi che ascoltano l’annunzio di Cristo, comprendendolo e accogliendolo. 

Alla “parabola” del seminatore segue una spiegazione, che è da considerarsi probabilmente come un commento applicativo che la comunità cristiana delle origini fa alle parole stesse di Gesù. I vari terreni ormai rappresentano in modo esplicito i tipi diversi di accoglienza del «regno di Dio»: c’è chi cede alla tentazione satanica, c’è chi è incostante e chi si lascia sopraffare dal fascino della ricchezza o dal peso delle preoccupazioni. l’accento, certamente, cade su chi «ascolta la parola e la comprende», cioè su chi ha occhi e orecchi puri che accolgono la parola di Cristo e la praticano. Se nella “parabola” l’accento era sul seme del regno che, comunque, alla fine ha successo, ora è la risposta dell’uomo a essere particolarmente sottolineata. 

Anche la seconda “parabola”, quella del grano e della zizzania, riceve una spiegazione-commento che ne illustra il valore religioso. «Bene e Male» sono intrecciati tra loro nella storia; bisogna, perciò, condividere la pazienza del padrone del campo del mondo, cioè di Dio, e attendere la pienezza della vicenda umana. Allora, il giudizio divino scevererà (separerà distinguendo) il Bene dal Male e giudicherà ogni azione e ogni evento. La spiegazione è al riguardo molto chiara e tutti gli elementi della “parabola” acquistano un loro significato simbolico: il seminatore è Cristo, il campo è il mondo, il grano sono i figli del «regno di Dio», la zizzania i figli di Satana, seguaci del Male, la mietitura è la fine della storia a cui subentra il grande giudizio. 

Tra questa parabola e il relativo commento sono incastonate le “parabole” del seme di senape e del lievito. Esse si reggono sul contrasto tra piccolezza e grandezza e sull’effetto “crescita”. Il «regno dei cieli» è di origini umili, come è visibile nello stesso Cristo, ma la sua è una forza dirompente, crescerà lentamente e silenziosamente, divenendo principio di trasformazione della storia e segno elevato tra i popoli. Si puntualizza poi, attraverso la citazione del Salmo 78,2,  la funzione delle “parabole” (nel caso precedente del seminatore era stato citato il testo di Isaia 6,9-10): esse rivelano i misteri divini, «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo». 

Abbiamo poi altre “parabole”, che Matteo ha qui raccolto nell’unità del terzo discorso del suo vangelo. Quelle del tesoro e della perla sono gemelle tra loro e hanno lo scopo di esaltare il valore primario del «regno di Dio», al quale bisogna sacrificare ogni altra realtà. Quella della rete che raccoglie ogni tipo di pesce, compresi quelli “impuri”, secondo le norme alimentari codificate dalla legge biblica e dalla tradizione giudaica, è una ripresa della parabola del grano e della zizzania, cioè del contrasto «Bene-Male» che sarà risolto solo alla fine dei tempi, con il giudizio divino. Al discorso è unito un breve racconto che delinea il rifiuto che Gesù riceve proprio da chi gli è più vicino, i Nazaretani, incapaci di cogliere il valore della sua parola e fermi solo all’esteriorità umile di Cristo. 

Per quanto riguarda il discorso in “parabole” Matteo ha trovato un modello nel vangelo di Marco (cap. 4). Ma lo amplifica con altre parabole raggiungendo in tal modo il numero di sette. Costituiscono insieme un piccolo trattato sul regno di Dio. Non mettono a tema che cosa sia il regno, ma come esso si fa presente nella storia. Per molti il regno si fa presente con modalità sconcertanti. L’evangelista, come già in parte anche Marco, organizza il discorso in modo da rispondere a due domande: come si spiega che di fronte alle medesime manifestazioni del regno alcuni comprendono e molti altri no? Come si spiega che nella comunità cristiana ci sono ancora i peccatori, cioè la “zizzania” mescolata al “grano”?       

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