Ora viene proclamato – dopo quello della "montagna" e quello "missionario" – il terzo dei cinque discorsi che costellano il
testo matteano. Esso è costruito su due grandi “parabole” agricole, quelle del
seminatore e della zizzania, a cui vengono associate altrettante spiegazioni e
una serie di parabole minori.
Gesù
nella sua predicazione ama il ricorso al simbolo per illustrare il
mistero del «regno dei cieli». Lungo tutto il capitolo 13 verranno evocate «sette
parabole»: seminatore, zizzania, senape, lievito, tesoro, perle e rete da pesca
sono i soggetti di ciascuna. Iniziamo con quella del seminatore. La
sottolineatura va sui tipi diversi di terreno e sulla loro reazione al seme che
in esso è effuso. E’ facile intuire – e lo si esplicherà nella successiva
spiegazione – che si ha un contrasto tra l’azione divina e la risposta della
libertà umana, cioè il rifiuto e l’accoglienza. L’ultima parola va, però,
all’efficacia del seme, cioè della parola di Cristo e del «regno di Dio», che
nell’animo di chi l’accoglie rivela la sua straordinaria fecondità.
Prima della spiegazione, si ha
una riflessione sull’uso delle “parabole”. Esse, secondo Matteo, che ricorre a
un passo di Isaia (6, 9-10), sono oscure agli occhi che volontariamente si
chiudono alla luce del vangelo. Perciò, sono beati gli occhi che vedono e gli
orecchi che ascoltano l’annunzio di Cristo, comprendendolo e accogliendolo.
Alla “parabola” del seminatore
segue una spiegazione, che è da considerarsi probabilmente come un commento
applicativo che la comunità cristiana delle origini fa alle parole stesse di
Gesù. I vari terreni ormai rappresentano in modo esplicito i tipi diversi di
accoglienza del «regno di Dio»: c’è chi cede alla tentazione satanica, c’è chi
è incostante e chi si lascia sopraffare dal fascino della ricchezza o dal peso
delle preoccupazioni. l’accento, certamente, cade su chi «ascolta la parola e
la comprende», cioè su chi ha occhi e orecchi puri che accolgono la parola di
Cristo e la praticano. Se nella “parabola” l’accento era sul seme del regno
che, comunque, alla fine ha successo, ora è la risposta dell’uomo a essere
particolarmente sottolineata.
Anche
la seconda “parabola”, quella del grano e della zizzania, riceve una
spiegazione-commento che ne illustra il valore religioso. «Bene e Male» sono
intrecciati tra loro nella storia; bisogna, perciò, condividere la pazienza del
padrone del campo del mondo, cioè di Dio, e attendere la pienezza della vicenda
umana. Allora, il giudizio divino scevererà
(separerà distinguendo) il Bene dal Male e giudicherà ogni azione e ogni
evento. La spiegazione è al riguardo molto chiara e tutti gli elementi della
“parabola” acquistano un loro significato simbolico: il seminatore è Cristo, il
campo è il mondo, il grano sono i figli del «regno di Dio», la zizzania i figli
di Satana, seguaci del Male, la mietitura è la fine della storia a cui subentra
il grande giudizio.
Tra questa
parabola e il relativo commento sono incastonate le “parabole” del seme
di senape e del lievito. Esse si reggono sul contrasto tra piccolezza e
grandezza e sull’effetto “crescita”. Il «regno dei cieli» è di origini umili,
come è visibile nello stesso Cristo, ma la sua è una forza dirompente, crescerà
lentamente e silenziosamente, divenendo principio di trasformazione della
storia e segno elevato tra i popoli. Si puntualizza poi, attraverso la
citazione del Salmo 78,2, la funzione
delle “parabole” (nel caso precedente del seminatore era stato citato il testo
di Isaia 6,9-10): esse rivelano i misteri divini, «cose nascoste fin dalla
fondazione del mondo».
Abbiamo poi
altre “parabole”, che Matteo ha qui raccolto nell’unità del terzo
discorso del suo vangelo. Quelle del tesoro e della perla sono gemelle tra loro
e hanno lo scopo di esaltare il valore primario del «regno di Dio», al quale
bisogna sacrificare ogni altra realtà. Quella della rete che raccoglie ogni
tipo di pesce, compresi quelli “impuri”, secondo le norme alimentari codificate
dalla legge biblica e dalla tradizione giudaica, è una ripresa della parabola
del grano e della zizzania, cioè del contrasto «Bene-Male» che sarà risolto
solo alla fine dei tempi, con il giudizio divino. Al discorso è unito un breve
racconto che delinea il rifiuto che Gesù riceve proprio da chi gli è più
vicino, i Nazaretani, incapaci di cogliere il valore della sua parola e fermi
solo all’esteriorità umile di Cristo.
Per
quanto riguarda il discorso in “parabole” Matteo ha trovato un modello
nel vangelo di Marco (cap. 4). Ma lo amplifica con altre parabole raggiungendo
in tal modo il numero di sette. Costituiscono insieme un piccolo trattato sul
regno di Dio. Non mettono a tema che cosa sia il regno, ma come esso si fa
presente nella storia. Per molti il regno si fa presente con modalità
sconcertanti. L’evangelista, come già in parte anche Marco, organizza il
discorso in modo da rispondere a due domande: come si spiega che di fronte alle
medesime manifestazioni del regno alcuni comprendono e molti altri no? Come si
spiega che nella comunità cristiana ci sono ancora i peccatori, cioè la
“zizzania” mescolata al “grano”?
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