Alla sequenza dei miracoli subentrano ora le parole di Gesù (Matteo Cap. 9). Sono le parole polemiche pronunziate in una triplice controversia, che vede come interlocutori di Cristo tre rappresentanti del giudaismo di allora nelle sue varie articolazioni. S’avanzano anzitutto gli “scribi”, cioè i dottori della legge mosaica, interpreti e tutori delle norme e delle tradizioni. La discussione è incorniciata all’interno di un nuovo miracolo di Gesù, la guarigione del paralitico, e riguarda il potere divino che Cristo afferma di possedere, quello di perdonare i peccati, un potere che egli affiderà poi anche «agli uomini», cioè alla Chiesa (versetto 8).
C’è poi la controversia con i “farisei”,
una corrente religiosa del giudaismo più “Spirituale” e profonda di quanto
fanno balenare i vangeli. Essa è incorniciata dalla chiamata di Matteo,
funzionario delle imposte, alla sequela di Gesù, e riguarda l’apertura del regno
di Dio ai peccatori convertiti e agli ultimi, sulla scia delle parole del
profeta Osea: «Io voglio l’amore, non i sacrifici» (6,6), parole che esaltano
l’adesione vitale rispetto al puro e semplice rito e all’osservanza legale.
Infine, c’è una diatriba con i discepoli del Battista che non si rassegnavano a
lasciare il loro maestro e lo consideravano superiore a Cristo. Il tema è
quello del digiuno. Cristo, ricorrendo al simbolismo delle nozze, delle stoffe
e degli otri per il vino, attesta la novità, la libertà, la gioia del suo
messaggio e della vita secondo il regno di Dio.
Come accade spesso in Matteo, si ha un’alternanza tra parole
e atti di Gesù. Subito dopo le controversie, ecco un altro trittico di
guarigioni. Il primo quadro comprende, in realtà, «due» miracoli intrecciati
tra loro: quello della donna che soffriva di emorragie e quindi – secondo le
norme rituali – era impura, e quello della figlia di «uno dei capi» (Marco
parlerà del capo della sinagoga), che Gesù riporta in vita. Si noti il rilievo
dato alla fede per comprendere il miracolo e il fatto che, agli occhi
dell’evangelista, la morte con Gesù presente diventa solo un sonno da cui egli
ci risveglia (è l’immagine e la terminologia della risurrezione).
Segue poi la guarigione dei due ciechi
(un parallelo è in 20,29-34): anche in questo caso si menziona la fede e i due
la testimoniano con l’invocazione: «Figlio di Davide» e «Signore» rivolta a
Cristo. Infine, ecco il terzo quadro con lo scioglimento della parola in un
muto nel quale si intravede anche una presenza satanica, forse secondo la concezione
biblica per cui a ogni malattia
corrisponde in radice un peccato, concezione che Cristo supererà. Certo è che
chi non crede, come i “farisei”, non sa intuire nell’episodio l’azione
liberatrice di Dio ma, al contrario, vede solo uno scontro perverso
nell’orizzonte del male, a cui anche Gesù è relegato. Un sommario finale, che
descrive le parole e le opere molteplici di Cristo, prepara il successivo
grande “Discorso Missionario”.
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