Tra i
primi pensatori Greci, Parmenide occupa una posizione centrale che divide quanti lo
precedono da quanti lo seguono, non solo nella storia della Filosofia antica,
ma lungo l’ intera storia del pensiero filosofico. Egli porta alla luce un «Problema»
che impegnerà tutta la Filosofia antica, per cui con ragione Platone lo nomina
«Venerando e Terribile».
Vissuto ad
Elea, Parmenide scrisse un poema “Sulla natura” (perì phýseos)
di cui possediamo 154 versi, dove sono descritte «tre» possibili «vie» della
ricerca di cui una sola è la vera, l’altra è fallace, mentre la terza, che
tenta di congiungere l’una con l’altra, non approda a verità. Vediamo di percorrere
queste «vie» insieme a Parmenide, o meglio insieme alla dea di cui Parmenide si
considera portavoce.
La «Via della
Verità» è tracciata dal principio che dice: l’«Essere è ed è
Impossibile che non Sia». Il contrario di questo principio è l’ impercorribile assurdo che la
«Verità» proibisce di affermare. Se l’ «Essere è», prosegue Parmenide, non
può venir generato né andar distrutto, perché altrimenti prima di esser generato e dopo esser distrutto, «Non sarebbe», e affermare che l’«Essere Non è» è proibito dalla
«Verità». Quindi l’«Essere è Immutabile ed Eterno», e la Giustizia proibisce che in qualsiasi modo
divenga.
Fin dall’ inizio la
Filosofia pensa che l’ambito di ciò che nasce e che muore non
nasce e non muore, è cioè «Eterno». A questo ambito la Filosofia
ha dato il nome di «Phýsis» che i latini hanno tradotto con «natura».
E perì phýseos (intorno alla natura) si intitolano le opere dei
primi filosofi fra cui Parmenide. «Phýsis» è costruita sulla radice
indoeuropea «bhu» che significa «essere», una radice strettamente
legata alla radice «bha» che significa «luce».
La parola «Phýsis»
appartiene al linguaggio prefilosofico, ma con l’ avvento della Filosofia
acquista quel nuovo significato che è l’«Essere» nel suo illuminarsi. Forse anche per questo
Parmenide chiama La «Via della Verità», ove si dice che l’«Essere» è, «Sentiero del Giorno». Lungo questo «Sentiero» ciò che si fa luminoso è che l’«Essere» si oppone al «Niente» e
che questa opposizione è «Eterna».
Già Anassimandro aveva inteso la «Phýsis» come «áperiron»,
ossia come quell’illimitato al cui interno ogni cosa limitata nasce e muore,
per cui dell’«áperiron», dell’illimitato, si deve dire che è «Eterno».
Anassimene aveva cercato di dire che cosa fosse l’«áperiron» che, come
Anassimandro aveva visto, non poteva essere una «determinazione» particolare,
ma quell’«identico» da cui le determinazioni scaturiscono. Eraclito
individuò tale identità nello stesso «opporsi» delle cose, mentre
Pitagora l’aveva individuata nell’«uno»; infatti ogni cosa, solo in
quanto si oppone alle altre, è una.
Ma
sia l’«Opposizione» sia l’«Unità» sono solo delle
proprietà, sia pure essenziali, dell’elemento unificatore del molteplice che
Parmenide nomina «Essere». L’«Essere», infatti, è ciò che è «identico»
in ogni cosa che è, è ciò che, opponendosi al «Nulla», esprime il significato supremo
dell’ «Opposizione» e, per effetto dell’ «Opposizione», si
costituisce come «Unità». Si tratta di un’ «Unità» che non ospita
né il «Divenire» delle cose, né la loro «molteplicità».
Dire, infatti, che una «cosa diviene» significa dire che passa dall’«Essere» al «Non-Essere», e quindi significa
affermare che il «Non-Essere è»; dire
infine che ci sono molte «cose diverse»: albero, stella, animale, terra, acqua,
aria, fuoco significa dire che ciascuna di esse «Non è Essere», e quindi di nuovo che il
«Non-Essere è». La
convinzione che il «Divenire» e il molteplice esistono è l’opinione
illusoria (Dóxa) dei mortali da cui la dea, che invita a percorrere il
sentiero del giorno, tiene lontani.
Recita
infatti il frammento 2 di Parmenide:
«Orbene, io ti dirò – e tu
ascolta la mia parola – quali vie di ricerche soltanto si possono pensare: una
che l’essere è e che non è possibile che non sia – è il sentiero della
persuasione, perché tien dietro a verità – l’altra che l’essere non è e che è
necessario che non sia; e io ti dico che questa è una via preclusa ad ogni
ricerca: infatti non potresti conoscere ciò che non è, giacché non è cosa
possibile, né potresti esprimerlo».
E il frammento 6:
«È necessario dire
e pensare che l’essere sia: infatti l’essere è, il nulla non è; queste cose ti
esorto a considerare. Perciò da questa prima via di ricerca ti tengo lontano,
ma, poi, anche da quella su cui i mortali che nulla sanno vanno errando, gente
a due teste; infatti è l’incertezza che nei loro petti dirige la mente errante.
Costoro sono trascinati, sordi e ciechi ad un tempo, sbalorditi: gente senza
giudizio, secondo la quale essere e non-essere sono identici e non identici, e
di ogni cosa vi è un cammino che è reversibile».
Infine il frammento 8:
«Una
sola via resta al discorso: che l’essere è».
Dal testo emerge chiaramente che Parmenide, portando alla
luce la «Phýsis» come «Essere», e riflettendo sul «Senso» dell’«Essere» (che non può Non-Essere)
è costretto a negare che la «Phýsis» sia l’elemento unificatore (Stoichéion)
del molteplice e il principio (Arché) del «Divenire Cosmico». L’«Essere» è assolutamente indifferenziato,
indeterminato, l’assolutamente semplice e puro, mentre il mondo che ci sta
dinnanzi nella sua incessante mutazione e varietà è «Dóxa», ossia
apparenza illusoria in cui i mortali pongono fiducia.
Nota finale:
Con Parmenide la Filosofia si
presenta come sfida al comune modo di pensare degli uomini e, contrapponendo
«La Via della Verità» (Alétheia) alla «Via dell’ Opinione» (Dóxa), apre
quell’antitesi tra «Ragione ed Esperienza» che Empedocle, Anassagora e
Democrito tenteranno, in modi diversi, di risolvere (vedi anche post
pubbicato Genn. 2015 “Il Firmamento, Oltre Parmenide”)
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