sabato 24 settembre 2016

PARMENIDE E IL SENTIERO DEL GIORNO


Tra i primi pensatori Greci, Parmenide occupa una posizione centrale che divide quanti lo precedono da quanti lo seguono, non solo nella storia della Filosofia antica, ma lungo l’ intera storia del pensiero filosofico. Egli porta alla luce un «Problema» che impegnerà tutta la Filosofia antica, per cui con ragione Platone lo nomina «Venerando e Terribile». 
Vissuto ad Elea, Parmenide scrisse un poema “Sulla natura” (perì phýseos) di cui possediamo 154 versi, dove sono descritte «tre» possibili «vie» della ricerca di cui una sola è la vera, l’altra è fallace, mentre la terza, che tenta di congiungere l’una con l’altra, non approda a verità. Vediamo di percorrere queste «vie» insieme a Parmenide, o meglio insieme alla dea di cui Parmenide si considera portavoce. 
La «Via della Verità» è tracciata dal principio che dice: l’«Essere è ed è Impossibile che non Sia». Il contrario di questo principio è l’ impercorribile assurdo che la «Verità» proibisce di affermare. Se l’ «Essere è», prosegue Parmenide, non può venir generato né andar distrutto, perché altrimenti prima di esser generato e dopo esser distrutto, «Non sarebbe», e affermare che l’«Essere Non è» è proibito dalla «Verità». Quindi l’«Essere è Immutabile ed Eterno», e la Giustizia proibisce che in qualsiasi modo divenga. 
Fin dall’ inizio la Filosofia pensa che l’ambito di ciò che nasce e che muore non nasce e non muore, è cioè «Eterno». A questo ambito la Filosofia ha dato il nome di «Phýsis» che i latini hanno tradotto con «natura». E perì phýseos (intorno alla natura) si intitolano le opere dei primi filosofi fra cui Parmenide. «Phýsis» è costruita sulla radice indoeuropea «bhu» che significa «essere», una radice strettamente legata alla radice «bha» che significa «luce». 
La parola «Phýsis» appartiene al linguaggio prefilosofico, ma con l’ avvento della Filosofia acquista quel nuovo significato che è l’«Essere» nel suo illuminarsi. Forse anche per questo Parmenide chiama La «Via della Verità», ove si dice che l’«Essere» è, «Sentiero del Giorno». Lungo questo «Sentiero» ciò che si fa luminoso è che l’«Essere» si oppone al «Niente» e che questa opposizione è «Eterna». 
Già Anassimandro aveva inteso la «Phýsis» come «áperiron», ossia come quell’illimitato al cui interno ogni cosa limitata nasce e muore, per cui dell’«áperiron», dell’illimitato, si deve dire che è «Eterno». Anassimene aveva cercato di dire che cosa fosse l’«áperiron» che, come Anassimandro aveva visto, non poteva essere una «determinazione» particolare, ma quell’«identico» da cui le determinazioni scaturiscono. Eraclito individuò tale identità nello stesso «opporsi» delle cose, mentre Pitagora l’aveva individuata nell’«uno»; infatti ogni cosa, solo in quanto si oppone alle altre, è una. 
Ma sia l’«Opposizione» sia l’«Unità» sono solo delle proprietà, sia pure essenziali, dell’elemento unificatore del molteplice che Parmenide nomina «Essere». L’«Essere», infatti, è ciò che è «identico» in ogni cosa che è, è ciò che, opponendosi al «Nulla», esprime il significato supremo dell’ «Opposizione» e, per effetto dell’ «Opposizione», si costituisce come «Unità». Si tratta di un’ «Unità» che non ospita né il «Divenire» delle cose, né la loro «molteplicità». 
Dire, infatti, che una «cosa diviene» significa dire che passa dall’«Essere» al «Non-Essere», e quindi significa affermare che il «Non-Essere è»; dire infine che ci sono molte «cose diverse»: albero, stella, animale, terra, acqua, aria, fuoco significa dire che ciascuna di esse «Non è Essere», e quindi di nuovo che il «Non-Essere è». La convinzione che il «Divenire» e il molteplice esistono è l’opinione illusoria (Dóxa) dei mortali da cui la dea, che invita a percorrere il sentiero del giorno, tiene lontani. 
Recita infatti il frammento 2 di Parmenide: 
«Orbene, io ti dirò – e tu ascolta la mia parola – quali vie di ricerche soltanto si possono pensare: una che l’essere è e che non è possibile che non sia – è il sentiero della persuasione, perché tien dietro a verità – l’altra che l’essere non è e che è necessario che non sia; e io ti dico che questa è una via preclusa ad ogni ricerca: infatti non potresti conoscere ciò che non è, giacché non è cosa possibile, né potresti esprimerlo». 
E il frammento 6: 
«È necessario dire e pensare che l’essere sia: infatti l’essere è, il nulla non è; queste cose ti esorto a considerare. Perciò da questa prima via di ricerca ti tengo lontano, ma, poi, anche da quella su cui i mortali che nulla sanno vanno errando, gente a due teste; infatti è l’incertezza che nei loro petti dirige la mente errante. Costoro sono trascinati, sordi e ciechi ad un tempo, sbalorditi: gente senza giudizio, secondo la quale essere e non-essere sono identici e non identici, e di ogni cosa vi è un cammino che è reversibile». 
Infine il frammento 8: 
«Una sola via resta al discorso: che l’essere è». 
Dal testo emerge chiaramente che Parmenide, portando alla luce la «Phýsis» come «Essere», e riflettendo sul «Senso» dell’«Essere» (che non può Non-Essere) è costretto a negare che la «Phýsis» sia l’elemento unificatore (Stoichéion) del molteplice e il principio (Arché) del «Divenire Cosmico». L’«Essere» è assolutamente indifferenziato, indeterminato, l’assolutamente semplice e puro, mentre il mondo che ci sta dinnanzi nella sua incessante mutazione e varietà è «Dóxa», ossia apparenza illusoria in cui i mortali pongono fiducia. 
Nota finale: 
Con Parmenide la Filosofia si presenta come sfida al comune modo di pensare degli uomini e, contrapponendo «La Via della Verità» (Alétheia) alla «Via dell’ Opinione» (Dóxa), apre quell’antitesi tra «Ragione ed Esperienza» che Empedocle, Anassagora e Democrito tenteranno, in modi diversi, di risolvere (vedi anche post pubbicato Genn. 2015 “Il Firmamento, Oltre Parmenide”)



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