Circondato da un alone
leggendario, Pitagora fu complessa e singolare figura di filosofo e scienziato. A lui
vengono attribuite la «Dottrina della
Metempsicosi» e la «Dottrina del
Numero» concepito come essenza stessa delle cose e principio formatore
dell’universo.
Da Platone e,
soprattutto, da Aristotele abbiamo notizie circa la «Dottrina della Metempsicosi» (la trasmigrazione delle anime di
corpo in corpo) attribuibile con una certa sicurezza a Pitagora, e le teorie
matematiche e musicali della scuola.
A
proposito della filosofia del «Numero»
dei pitagorici, Aristotele dice che «per
primi si applicarono alle matematiche e le fecero progredire, e, nutriti delle
medesime, credettero che i principi di queste fossero principi di tutti gli
esseri. E, poiché nelle matematiche i numeri sono per loro natura i principi
primi, appunto nei numeri essi ritenevano di vedere, più che nel “Fuoco”, nella
“Terra” e nell’ “Acqua”, molte somiglianze con le cose che sono e che si
generano; e inoltre, poiché vedevano che le note e gli accordi musicali
consistevano nei numeri, e, infine, poiché tutte le altre cose, in tutta la
realtà, parevano a loro che fossero fatte a immagine dei numeri e che i numeri
fossero ciò che è primo in tutta quanta la realtà, pensarono che gli elementi
del “Numero” fossero elementi di tutte le cose, e che tutto quanto l’universo
fosse “Armonia” e “Numero”» (Metafisica, A. 5, 985-6). E poco dopo: «Pare che anche costoro, che pensavano che il
principio fosse il “Numero”, pensassero il principio e come “qualità
accidentale” e come “condizione delle cose che sono”. Elementi del numero
ponevano il “pari” e il “dispari”, l’uno pensato come “infinito” e l’altro come
“limitato”; l’unità la consideravano derivante da entrambi (dicevano quindi che
essa è “pari e dispari”); e dall’unità pensavano che nascesse il “Numero”, e
che nel “Numero” consistesse tutto il mondo» (Metafisica A. 986 a 15-20).
Il numero pitagorico non è solo
un’espressione quantitativa, ma, per l’identificazione operata tra significato
aritmetico e significato geometrico, i numeri assumevano un aspetto qualitativo
che i pitagorici esprimevano in figure, come ad esempio la «Tetraktys», su cui erano soliti giurare,
dove il numero 10 risulta dalla composizione del 4 (i punti di ogni lato) col 3
(i numeri dei lati). Se il “Numero” è
la sostanza di tutte le cose, tutte le opposizioni delle cose vanno ricondotte
a opposizione tra numeri. Fondamentale è l’opposizione del “pari e dispari” in cui tutti i numeri si
lasciano raggruppare, tranne l’«uno», capace di generare sia il “pari” che il “dispari”, perché aggiunto al numero “pari” genera il “dispari” e
viceversa. Il “pari” e il “dispari” sono a loro volta espressione
dell’illimitato e del limite perché, come dice un’antica testimonianza
riportata da Plutarco: «Quando il numero “dispari” è diviso in due parti rimane
una unità in mezzo; ma quando viene diviso in due parti il “pari”, resta un
campo vuoto senza determinazione e senza numero, dimostrando che è difettoso e
incompleto» ( Plutarco - La E di Delfi - De
E apud Delphos, 388 a-b).
Come
già Eraclito, anche i pitagorici ritenevano che la lotta tra gli «opposti»
fosse conciliata da un principio di «armonia» che il pitagorico Filolao
definisce: «unità del molteplice e
concordia del discordante» (frammenti 10). L’«armonia» trova la espressione
più alta nella musica i cui rapporti matematici sono assunti dai pitagorici
come modello di tutte le armonie del «cosmo»,
una parola, quest’ultima, che con i pitagorici acquista quel significato di «ordine» con cui verrà tramandata in
Occidente.
Ci riferisce
infatti Platone che i pitagorici «ritengono
che cielo e terra, dei e uomini sono tenuti insieme dall’ordine, dalla saggezza
e dalla rettitudine: ed è proprio per tale ragione… che essi chiamano questo
tutto “cosmo” (ossia “ordine”)» (Gorgia, 507 e 508 a).
Nota finale:
Con
l’introduzione di questo concetto, l’universo cessa di essere dominio
di oscure forze, campo di misteriose e indecifrabili potenze, per diventare
quell’«ordine» che, reso trasparente dal “Numero”,
diventa accessibile al pensiero e alla conoscenza. Afferma infatti il
pitagorico Filolao, che la tradizione vuole contemporaneo di Socrate: «Tutte le cose che si conoscono hanno
“Numero”: senza questo, nulla sarebbe possibile pensare, né conoscere»
(frammenti, 44 B 4).
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