La speculazione degli
ionici
culmina nella dottrina di Eraclito di Efeso che, invece di limitarsi al
«principio» di tutte le cose e al problema della loro genesi, tematizza i
problemi connessi al loro «divenire» e alla loro identità raggiunta per
reciproca «Opposizione». Il perenne «divenire»
di tutte le cose trova la sua esposizione in immagini divenute celebri: «A chi discende nello stesso fiume
sopraggiungono acque sempre diverse» (frammenti B 12). «Non si può discendere due volte nello stesso
fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato,
ma, a causa dell’impetuosità e della velocità del movimento si disperde e si
raccoglie, viene e va» (frammenti B 91). «Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e
non siamo» (frammenti B 49).
Il
senso è chiaro: il fiume è sempre lo stesso, ma non sempre le stesse sono
le acque che lo percorrono, così come chi si immerge in momenti diversi non è
più lo stesso, perciò «siamo e non siamo»
e a nessuno è concesso discendere due volte nella stessa acqua.
Ma la filosofia di Eraclito, ben
lungi dal ridursi alla semplice proclamazione del flusso universale delle cose,
del «tutto scorre» (pánta rei),
individua nel «divenire» gli «opposti»
entro cui il «divenire» stesso accade. «Le
cose fredde si riscaldano, le cose calde si raffreddano, le cose umide si
disseccano, le cose secche si inumidiscono» (frammenti B 126).
L’identità delle cose, che
Talete aveva individuato nell’«Acqua»,
Anassimandro nell’«Ápeiron»,
Anassimene nell’«Aria», viene colta
da Eraclito nell’«Opposizione» come
tale, che consente alle cose di diversificarsi dalle altre, trovando in questa
diversificazione la loro identità. In questo senso la guerra (pólemos), in cui ogni cosa consiste e da
cui è generata, può ben dirsi: «Madre di
tutte le cose e di tutte regina» (frammenti B 53).
Ciò che le cose hanno di identico è la contrapposizione
stessa di ogni cosa alle altre, ciò che hanno in comune è questa contesa che
consente ad ogni cosa di essere ciò che è. Infatti, se la vita non si opponesse
alla morte, il caldo al freddo, il giorno alla notte, la sazietà alla fame, non
esisterebbero vita, caldo, giorno, sazietà. Ed è per questo che Eraclito può
dire che l’«Opposizione» è il «principio»
stesso dell’armonia di tutte le cose: «Ciò
che è opposizione si concilia, e dalle cose differenti nasce l’armonia più
bella, e tutto si genera per via di contrasto» (frammenti B 8). E ancora: «Essi, gli ignoranti, non capiscono che ciò
che è differente concorda con se medesimo: armonia di contrari, come l’armonia
dell’arco e della lira» (frammenti B 53).
Se dunque le cose hanno realtà in quanto divengono, e se il
«divenire» è dato dagli opposti che, contrastandosi, si pacificano in superiore
armonia, nella sintesi degli opposti sta quel «principio» che spiega tutta la
realtà e che Eraclito chiama DIO: «il DIO
è giorno-notte, è inverno-estate, è guerra-pace, è sazietà-fame» (frammenti
B 67).
Con la parola «DIO»
non si deve intendere il creatore del mondo, come il pensiero occidentale ha
sempre pensato sotto l’influsso della cultura ebraica, perché per Eraclito: «Questo mondo, che è lo stesso per tutti,
nessuno degli dei o degli uomini l’ha creato, ma sempre fu, è e sarà “Fuoco”
eternamente vivo che con ordine regolare si accende e con ordine regolare si
spegne» (frammenti B 30). Il «Fuoco»
di cui parla Eraclito, a differenza dell’«Acqua»
di Talete e dell’«Aria» di
Anassimene, ha perso ogni carattere corporeo per diventare un’espressione che,
in modo paradigmatico, dice le caratteristiche del perenne «divenire»,
dell’«Opposizione» e dell’«Armonia». «Col
Fuoco si cambiano tutte le cose e il Fuoco si scambia con tutte, come l’oro si
scambia con le merci e le merci con l’oro» (frammenti B 90).
Il «Fuoco»
allora diventa la metafora dell’«Uno»
inteso come quella dinamica unità per cui «Da
tutte le cose l’Uno e dall’Uno tutte le cose» (frammenti B 10). Questa è la
legge che il «Logos», la parola che
ha in vista la «Verità» (Alétheia) e
non le «opinioni» (Dóxa) degli
uomini, enuncia: «Non ascoltando me, ma
ascoltando il Logos è saggio ammettere che tutte le cose sono uno». Il «Logos» è la parola che si offre
all’ascolto di tutti, ma i più non la sentono, perché, invece di rivolgere il
loro sguardo, da desti, a ciò che è comune, come dormienti si concedono alle
loro «opinioni» private che, come «Trastulli
di Bimbi», lasciano fuori dalla «verità» delle cose. Nel loro sogno i più
non comprendono che il «contrasto» tra le cose è la stessa condizione della
loro «armonia».
In questo modo
Eraclito dà lo statuto del filosofo che dice cose vere perché sta in ascolto
del «Logos», a differenza di coloro
che conoscono un gran numero di cose, ma non la legge che le governa. Con ciò
Eraclito non riduce i confini dell’anima che, in presenza del «Logos», non può più abbandonarsi a quei
sogni e a quelle fantasie di cui i poeti sono espressione, perché lo sfondo
sconfinato dell’anima è restituito al filosofo dalla profondità del «Logos»: «I confini dell’anima non li potrai mai trovare, per quanto tu percorra
le sue vie; così profondo è il suo Logos» (frammenti B 45).
Nota finale: Con Eraclito
diventa esplicito per la prima volta che la cura per l’unità che tutto connette
è legge fondamentale che deve guidare la vita filosofica, perché cogliere la
«connessione» è origine della «conoscenza».
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