Monaco cistercense, tenace avversario di ogni eresia e deviazione dottrinale, Bernardo di Clairvaux fu detto per la sua eloquenza “Doctor Mellifluus”. Grande tempra di mistico, combatté contro le «scienze profane» del suo tempo (la Grammatica e la Logica di Abelardo) nell’intento di ricondurle in posizione di assoluta «subordinazione» alla «pura fede».
Questo monaco cistercense, che fu una delle maggiori personalità del suo secolo, fu un tenace avversario di filosofi come Abelardo e Gilberto de la Porrée (Porretano) a cui rimproverava la nuova concezione delle funzioni della «grammatica» e della «logica» applicata alla tematica «teologica» ed «etica». Il grande mistico non condivideva il fatto che la «dialettica» fosse divenuta nei due filosofi lo strumento idoneo per illustrare i contenuti della rivelazione cristiana.
Al
metodo «dialettico» di Abelardo egli oppone il principio di fede in una
verità che coincide con l’«amore» e la dedizione verso
Cristo, dedizione che ha il suo punto supremo nel paradosso della «croce». La via attraverso cui si giunge alla verità è quella dell’«umiltà», considerata come l’unica virtù che permette all’uomo di avere una
profonda coscienza del peccato e del male. Questa coscienza apre la strada alla
radicale consapevolezza della nullità dell’essere umano. L’insegnamento di
Bernardo procede attraverso dodici stadi dell’«umiltà», contrapposti ai dodici
stadi dell’«orgoglio». Sono i «due» schemi della vita «spirituale» e della vita «carnale» che si fronteggiano.
Dalla coscienza della vanità e
dell’errore della vita umana l’anima viene spinta nel suo itinerario
verso la seconda tappa della virtù, quella della «carità». A questa succede, mediante l’aspirazione alla giustizia e alla purezza
dello spirito, quella della «contemplazione», che è il culmine e il
punto di arrivo di ogni conoscenza. La contemplazione, a sua volta, ha il
proprio compimento nell’«estasi», dove l’anima si libera da ogni aspetto corporeo e si solleva sino ad
identificarsi completamente in Dio. Nel rapporto di fusione con Dio avviene una deificazione dell'anima; scrive in un celebre brano Bernardo: «...Come potrebbe, infatti, Dio, essere tutto in tutte le cose se nell'uomo restasse qualcosa dell'uomo? Indubbiamente la sua "sostanza" permarrà, ma sotto un'altra forma, un'altra potenza e un'altra gloria».
Commentando
questo passo del Cistercense, Etienne Gilson fa notare come la sostanza
dell’uomo resterà distinta dalla sostanza divina, così come quella di Dio, dice
Bernardo, resterà distinta da quella umana. È la «carità» ad operare l’unione
perfetta in una distinzione radicale degli esseri. Dice lo stesso Bernardo che
si tratta di accordo di volontà, ma non confusione di sostanze.
La «Deificatio» è uno dei punti
più alti della riflessione di Bernardo, che lo obbliga a far uso di tutto il
suo apparato di conoscenze filosofiche e teologiche per mostrare come sia
possibile l’accordo delle volontà e la libertà delle stesse. Le opere
principali di Bernardo sono gli ottantasei sermoni di commento del “Cantico dei Cantici” (Sermones in Cantica
Canticorum Salomonis), composti per predicare alla piccola assemblea dei suoi
monaci, e il “De diligendo Deo”, dove il processo di «ascesi
mistica» è analizzato con
maggior ampiezza.
Nel documento
principale della sua dottrina mistica, il “Sermones”, il Cistercense comincia il suo commento dalle parole
iniziali del Cantico - «Oh, baciami coi baci della tua bocca!» - per mostrare
il percorso che l’anima deve compiere secondo le «tre» vie: quella «purgativa», quella «illuminativa» e quella «unitiva». Raggiungere la
contemplazione significa esercitare la «pietà», la «devozione» e la
«preghiera»; l’atto contemplativo, poi, si distingue in «due» specie: L’«intellettuale» e l’«affettiva». Quella affettiva occupa, ovviamente, il posto centrale nella mistica di
Bernardo. Essa consiste nella infusione dello “Spirito”; nella presenza di Dio;
nella partecipazione alla dolcezza celeste.
Il Cistercense elabora anche una complessa teoria della conoscenza
mistica. La contemplazione è paragonata al sonno dell’anima nelle braccia di
Dio, un sonno profondo che non ottunde (offusca, intorpidisce) i «sensi» ma li rapisce. Nel momento in cui l’anima è in Dio, essa non può vederlo
faccia a faccia: «l’anima, addormentandosi, vede Dio in sogno: non, ancora,
faccia a faccia, ma in enigma e come in uno specchio. E per questo Dio, più
intuito che visto veramente, colto solo di sfuggita, come una accensione
momentanea di una scintilla, essa s’incendia d’amore» (Sermones in Cantica Canticorum). (Ora vediamo come in uno specchio,
in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia dirà l’apostolo Paolo
nella prima lettera ai Corinzi 13, versetto 12).
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