La Bibbia descrive la graduale rivelazione di Dio e la risposta dell’uomo all’auto-comunicarsi divino, soprattutto mediante il termine «alleanza», traduzione abituale dell’ebraico “Berît”. Questa parola attestata 287 volte nell’Antico Testamento significa «impegno, promessa» avvalorata da «giuramento», obbligazione che Dio prende con se stesso o richiede all’uomo: solo quando l’obbligazione è reciproca e accettata come vincolante, per cui l’infedeltà di uno libera l’altro dalla promessa fatta, si parla propriamente di «alleanza», cioè di un patto bilaterale condizionato dall’agire dei contraenti.
Il termine «alleanza» traduce pertanto due diverse concezioni bibliche, quella di impegno
unilaterale preso da Dio in favore dell’uomo per sola bontà, per puro dono, e quello
di reciprocità, dove la risposta umana all’iniziativa divina è richiesta
come condizione vincolante perché il patto continui ad esistere: delineiamo
innanzitutto i momenti relativi a questa seconda prospettiva del testo sacro.
L’«alleanza» come trattato bilaterale trova la sua realizzazione prima ed esemplare
nell’esperienza vissuta al Sinai dal Popolo.
Questi, uscito dalla schiavitù egiziana e sollevato su ali
di aquila (cfr. Esodo 19,4), solo dopo l’accettazione libera e corale (Esodo
19,8; 24,3.7) degli impegni proposti da Dio (decalogo e codice), giunge
all’alleanza mediata da Mosè: «Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha contratto con
voi in base a tutte queste parole» (24,8). Un accresciuto impegno del popolo è
evidenziato in quella meditazione/approfondimento dell’esperienza dell’esodo
che è il Deuteronomio: «Egli sarà il tuo Dio, se tu cammini per le sue vie, osservi i
suoi comandamenti, i precetti e ascolti la sua voce» (26,17).
Altri due momenti significativi
vedono un simile rinnovamento: all’inizio della monarchia con Davide, sulla
base di qualche elemento del patto (cfr. 2Samuele 7; Salmo 89), e verso la fine
dell’epoca regia, durante la riforma di Giosia del 622 (cfr. 2Re 22), sulla base dell’osservanza
piena di un testo della legge, ritrovato durante gli scavi nel tempio. «Il re concluse alla
presenza del Signore l’alleanza che gli imponeva di seguire il Signore, di
custodire i suoi comandamenti, le sue leggi e i suoi precetti con tutto il
cuore e con tutta l’anima, al fine di attuare le clausole dell’alleanza scritte
in questo libro. Tutto il popolo aderì all’alleanza» (2Re 23,3).
Il rapporto Dio/uomo concepito
come patto bilaterale, dove l’agire umano condiziona il rapporto con Dio, è
miseramente fallito, poiché è sfociato in quella perdita di tutti i doni divini
rappresentata dall’esilio. Eppure i sette secoli di questo regime hanno visto
il perdono (Esodo 34,6-7), il sostegno di grazie e di istituzioni (sacerdozio,
monarchia, profetismo) e soprattutto lo slancio impressogli da Osea, seguito da
altri profeti, di una concezione sponsale (coniugale) dove i rapporti non sono
più regolati da rigidi e stereotipati trattati politico-militari, ma vivificati
da una tenerezza fedele e creativa.
La
riflessione di Geremia sull’infedeltà secolare del popolo (capitoli
2-3) e approfondita in suggestive pagine da Ezechiele (capitoli 16-20.23) porta
a concludere alla necessità di una “Berît” «nuova» (Geremia 31,31). La novità consiste nel primato assoluto attribuito
all’agire di Dio impegnato a trasformare l’uomo senza lasciarsi condizionare
dalla sua condotta negativa. Così Geremia si riallaccia all’«alleanza» patriarcale, innanzitutto a Noè (Genesi 9,8-17) gratificato di un segno,
l’«arcobaleno», con cui Dio si impegna unilateralmente a non mandare più il Diluvio.
Mentre si riallaccia ad Abramo, rinnovando l’«alleanza» sinaitica senza
abolirla, Geremia annuncia un intervento divino in quella sede dei pensieri,
della volontà, in quell’io profondo, singolare e irripetibile che è il cuore
umano.
Qui dove regnava il peccato
sarà scritta la volontà divina, capace di trasformare il dovere in bisogno e la
legge in desiderio del cuore. La conclusione di Geremia (31,31-34) è l’ultimo
momento di una lunga riflessione su che cosa deve accadere nell’uomo, perché
non rifiuti ulteriormente («non violi più») la comunione con Dio.
Il passaggio dalla prescrizione esteriore all’iscrizione
interiore implica quella sintonia di «mente» e di «cuore» che è il «conoscere», e l’abbattimento di
quella barriera che è il peccato. La «nuova alleanza» è il cambiamento della
modalità di conoscenza della volontà divina, capace do donare all’uomo un «cuore nuovo» e di rinnovarlo continuamente con lo «Spirito»: è una proiezione verso quel «compimento» dell’ultima cena dove
Gesù si impegna verso l’uomo con il suo sangue, il «sangue della nuova alleanza» (cfr. Luca 22,20).
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