domenica 27 settembre 2015

DIO E’ AMORE


La “benedizione” del Salmo 103 sembra essere un’anticipazione del «Dio è amore» della prima lettera di Giovanni (4,8): «Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore». Inno di celebrazione a Dio, canto di ringraziamento, meditazione sapienziale sulla caducità umana, comparata all’eterna misericordia di Dio, si fondono armonicamente in questo canto che è ordinato in «due» grandi momenti. Nel primo (versetti 4-10) si esaltano l’«amore» e il «perdono» di Dio. Il suo volto è quello della tenerezza e della pietà e i suoi “nomi” sono: colui che perdona, che guarisce, che salva, che corona di grazia, che sazia di beni, che rinnova la vita, che opera la salvezza e la giustizia per gli oppressi, che si rivela, che è buono, pietoso, lento all’ira e grande nell’amore. 

La seconda parte del canto (versetti 11-19) accosta amore eterno di Dio e fragilità umana. Tre paragoni parlano della tenerezza del Signore (il vocabolo ebraico parla delle “viscere” materne di Dio). I primi due definiscono le dimensioni dello spazio, la verticale e l’orizzontale, come avvolte dalla misericordia divina (versetti 11-12). La terza immagine rimanda alla profondità psicologica dell’amore paterno (versetto 13). Appare, così, l’idea della paternità di Dio anche nei confronti del singolo e non solo di tutto Israele. 

Due sono,invece, i paragoni usati per descrivere la fragilità creaturale dell’uomo. Innanzitutto si ricorre all’immagine classica della creta plasmata dal vasaio (versetto 14), usata anche nella creazione dell’uomo (Genesi 2,7). Nota è anche  la seconda comparazione, già incontrata nel Salmo 90,5-6: «sono come l’erba che germoglia al mattino: al mattino fiorisce, germoglia». Un fiore meraviglioso è sbocciato in un campo verdeggiante. Il vento del deserto gli piomba addosso col suo soffio infuocato e il fiore si dissecca  riducendosi a un po’ di polvere irriconoscibile. Dio, però, si china su questo essere caduco che è l’uomo e lo avvolge con la sua benignità che «dura in eterno per quanti lo temono» (versetto 17). Fondandoci sulla fede in Dio – suggerisce il salmista –, noi usciamo dal limite creaturale e ci immergiamo nell’«infinito» e nell’«eterno».    

La nostra riflessione, ora, si concentra sulla Prima Lettera di Giovanni che proprio nell’’«amore» ha il filo d’oro che intesse quasi tutti i suoi cinque capitoli. Il testo dei versetti 7-12 del capitolo 4 è una vera e propria guida dell’amore cristiano. Il verbo «amare» e i suoi derivati risuonano tredici volte in poche righe quasi come un ritornello musicale e spirituale. L’amore nella visione di Giovanni si presenta con due dimensioni intimamente intrecciate. 

La prima è quella «verticale» ed è la fondamentale: «L’amore è da Dio», anzi per definizione «Dio è amore». L’azione essenziale di Dio è l’amore. E il suo amore precede ogni altro amore, è lui che ama per primo e questo suo amore è visibile, sperimentabile, palpabile (1Giovanni 1,1-2), si è fatto persona nel Figlio Gesù. Commentando questa Lettera, sant’Agostino afferma: «Se niente altro a lode dell’amore fosse stato scritto nel resto della Lettera, o meglio nel resto della Scrittura, e noi avessimo udito dalla bocca dello Spirito di Dio solo quella dichiarazione “Dio è amore”, non dovremmo cercare nient’altro». 

Questo amore viene rivelato nel Figlio di Dio. Questo non significa che in Dio non vi fosse amore prima della venuta del Cristo in mezzo a noi. Dio è sempre amore, ma nell’incarnazione di Gesù Dio rivela in modo diretto ed esplicito ciò che sempre egli è, era e sarà. 

La seconda dimensione dell’amore è «orizzontale» e nasce dalla precedente. Chi ama rivela di essere stato amato da Dio ed è come se fosse stato da lui generato, è suo figlio, è in un rapporto di intimità. E chi è amato, a sua volta ama: «Se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri». L’amore di Dio incarnato in Gesù deve incarnarsi anche nei cristiani. L’apostolo non si accontenta di chiudere il cerchio dell’amore in Dio («Se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amare Dio») ma lo apre verso nuovi orizzonti, quelli dei fratelli. In questo senso c’è perfetta armonia con le parole del testamento lasciatoci da Gesù nell’ultima sera della sua vita terrena: «Questo è il mio comandamento: amatevi l’un l’altro come io vi ho amati» (Gv 15,12). 

L’amore così descritto può essere rappresentato simbolicamente come una grande croce. L’asse verticale ha la cima nei cieli di Dio, si perde nell’infinito ma l’altro estremo è piantato nella terra, sul Calvario: l’amore divino discende nell’umanità, nello spazio e nel tempo e dimora in Gesù. L’asse orizzontale ha due bracci che abbracciano tutto il nostro orizzonte: è l’amore per i fratelli senza limiti, distinzioni, riserve. 

Anche l’amore nuziale partecipa di questa croce gloriosa: è scintilla accesa da Dio nel cuore umano ed è comunione concreta di cuori, di esistenze, di destini terreni. Ancora una volta l’amore umano è paradigma per conoscere Dio, e Dio sceglie l’amore umano, visibile e sperimentabile nel Figlio come perfetta definizione di sé. Isaia cantava: «Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo Creatore; come gioisce lo sposo con la sua sposa, così il tuo Dio gioirà con te» (62,5)



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