giovedì 17 settembre 2015

I «4» PECCATI CHE GRIDANO VENDETTA AL COSPETTO DI DIO


































Questi peccati gridano vendetta al cospetto di Dio, perché lo dice lo “Spirito Santo” e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punirli con più severi castighi. Questi peccati, nel loro insieme o contesto, sono ritenuti molto gravi, sia per quanto ne dica la Bibbia, che la Chiesa di Cristo. Oltre ad offendere Dio, che è nostro Padre, Creatore ed Amore Infinito, questi peccati hanno anche tutte le carte in regola o le prerogative (facoltà – diritti) per chiedere al Signore che giustizia sia fatta. E sono:
  1. Omicidio volontario
  2. Atto impuro contro natura
  3. Oppressione dei poveri
  4. Frode nella mercede agli operai

Il primo: “Non uccidere è il comandamento di Dio, ed è precisamente il quinto, come si legge nel libro dell’Esodo (20,13). Questo vale per coloro che credono nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, quindi per noi cristiani. Lo stesso comando però è stato profondamente inciso dal Creatore nella mente e nel cuore di ogni creatura umana di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Il titolo di questo articolo, “omicidio volontario”, vuole fermare la nostra attenzione non tanto sull’omicidio in generale, quanto sulla sua volontarietà, come espressione di un vero atto libero, un atto di piena avvertenza e di deliberato consenso. 
La vita umana non è opera del caso, come del resto non è opera del caso tutto ciò che ci circonda. Tutto è stato da Dio messo nelle mani dell’uomo ma non la vita del nostro simile. La vita dell’uomo appartiene a Dio, dal suo concepimento fino alla morte naturale. È Dio che ha creato l’uomo! A sua immagine e somiglianza Egli lo ha creato! 
Per questo la vita umana è sacra e appartiene a Dio in assoluto, dall’alba della vita al suo tramonto. Nessuno e in nessun caso uno può rivendicare a se stesso la proprietà di una vita umana. Nessuno al mondo ha il diritto di distruggere una vita umana. Tanto è vero che nostro Signore Gesù Cristo, parlando di questo comandamento, lo ha confermato senza fronzoli: non uccidere e chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Poi ha incluso d’autorità, in questo comandamento, anche le offese, come: stupido, pazzo. 
Commettono “omicidio volontario” anche coloro che procurano volontariamente l’aborto, l’eutanasia. Si tratta sempre di interruzione violenta della vita umana, sacra a Dio. Su tutto ciò il Papa e i Vescovi non finiscono di parlarne e in tutti i toni. 
Il perdono di Dio; All’alba della storia umana ecco il primo terribile avvenimento: Caino uccide suo fratello Abele. Spuntano i primi fiori e un’improvvisa tempesta recide il più bello. Il peccato originale ha già affondato le sue radici nefaste, quali la cupidigia, l’invidia, la gelosia, la collera, in uno dei primi due nati: una catena che non finirà mai, e che arrecherà un dolore acutissimo al cuore di Dio nostro Padre. 
Il fratello nemico del fratello, è la negazione assoluta dell’amore, la negazione di Dio, la pretesa di non dipendere da lui e anzi di prendere il suo posto, e per questo il sangue ingiustamente sparso continua a gridare vendetta al suo cospetto. “Che hai fatto?”, dice Dio a Caino, “la voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo. Ora sii maledetto, lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello”. Riprese Caino: “Chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere”. Il Signore gli disse: “Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte” (Gn 4). Questa è dunque la volontà di Dio: Non uccidete Caino! 
E allora questi peccatori potranno salvarsi? Certamente sì, perché nulla è impossibile a Dio. Gesù, incarnandosi, ha proclamato: “Io sono venuto per i peccatori, sono venuto per salvarli”. Come si possono salvare? 
Dio è amore, misericordia, compassione e perdono. Per salvarsi bisogna entrare nella sfera dell’amore, è necessario riconoscere di avere sbagliato, è bello soprattutto rivolgersi a Dio e dire di cuore: Padre, abbi pietà di me peccatore. Non temere di convertirti, né per il tuo orgoglio, né per quello che dirà la gente. È Gesù che bussa al tuo cuore e ti viene incontro e ti butta le braccia al collo. Tu stringiti, in pianto, al suo petto squarciato, e digli: Signore Gesù, abbi pietà di me. Se è possibile riconciliati con la Chiesa per testimoniare a tutti la tua adesione a Cristo. 

Il secondo: In che consiste questo peccato? Questo tema, conosciuto e dibattuto oggi con il suo nome proprio di “omosessualità”, suscita grossi dibattiti e differenti soluzioni nelle varie religioni e nelle molteplici tendenze politiche degli Stati. Un campo molto vasto e minato. Il nostro compito è conoscere che cosa dice la Bibbia su questo argomento e quali sono gli insegnamenti dei successori degli Apostoli di Gesù Cristo: il Papa e i Vescovi. Partiamo della creazione dell’uomo. Nel primo libro della Bibbia, e nelle primissime battute troviamo scritto: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”». La volontà di Dio è chiara: i due formeranno una carne sola per la contentezza dell’unità e per la gioia di dar vita a nuove creature. Splendida l’esclamazione di Adamo quando si vide davanti la sua donna: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa” (cf Gn 2-3). 
Un episodio narrato in questo stesso libro della Bibbia, Dio colpisce l’abominio delle due città, Sodoma e Gomorra, perché i suoi abitanti si erano pervertiti seguendo l’unione tra persone dello stesso sesso (Gn 18-19). II peccato di Sodomia viene descritto come “omosessualità” (Gn 19,5), come autogiustificazione (Is 3,9) e anche come orgoglio e comportamento poco sociale (Ez 16,49). 
Possiamo dunque affermare che secondo la Bibbia la tendenza omosessuale non è condannata in se stessa, ma vi è condannato l’«atto» omosessuale che è decisamente un «abominio» davanti a Dio, perché contrario alla legge naturale, infatti sbarra la via alla vita e al vero profondo amore. 
Anche la Chiesa cattolica ha sempre dichiarato che gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso sono intrinsecamente disordinati, cioè contrari alla legge naturale. 
Come comportarci con gli omosessuali? Una distinzione necessaria. 
Tutte le volte che ci troviamo di fronte a un’infrazione, più o meno grave, della legge di Dio, dobbiamo fare una netta distinzione tra il peccato e il peccatore: il primo va condannato a differenza del secondo. Noi infatti non conosciamo quale grado di responsabilità ha colui che infrange la legge. 
La stessa distinzione dobbiamo tenere nel valutare il comportamento omosessuale o, come scriveva il Catechismo di Pio X, il «peccato impuro contro natura». In questo caso noi dobbiamo sempre stabilire una netta e doverosa differenza tra il giudizio di un’azione cattiva in se stessa, da condannare, e il giudizio morale sulla persona che la commette, giudizio che deve essere molto cauto, perché nessuno può valutare il grado di responsabilità della persona che ha compiuto quell’azione. 
Gesù ordina senza mezzi termini: non giudicate e non condannate, perdonate, la stessa misura che usate con gli altri, sarà usata con voi. Certo l’inclinazione omosessuale costituisce per la persona umana una dura prova. Essi vanno accolti con rispetto, con delicatezza, senza ingiusta discriminazione, dice il Catechismo della Chiesa Cattolica. Per conservarsi casti essi devono attingere con fede alla preghiera e alla grazia sacramentale. 

Il terzo: chi sono i poveri? Nella seconda parte della preghiera che il Signore ci ha insegnato, noi diciamo: Padre nostro, dacci oggi il nostro pane quotidiano. Gesù ci mette nel cuore e sulle labbra la richiesta più umana di tutte, quella degli affamati: Abbiamo fame, chiediamo un boccone di pane. È il grido dei bambini: Mamma, ho fame. In questa supplica al Padre, il Signore mette l’accento su ciò che è essenziale alla vita dell’uomo sulla terra: il pane, che comprende anche il companatico e l’acqua, il vestito e le medicine, il lavoro e la casa, senza dimenticare l’istruzione e la sicurezza. Queste sono le cose necessarie per vivere e coloro che, in parte o tutte, non le hanno, sono poveri. 
Dunque noi ci rivolgiamo a Dio come figli. Diciamo infatti: Padre nostro. E osiamo dirgli con molta confidenza: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, quel pane che ci è dovuto da un Padre buono come sei tu. Questa richiesta rivolta a Dio, viene ribaltata, in ogni famiglia, sul padre e sulla madre. A loro infatti i figli chiedono il cibo quotidiano. Il dramma scoppia quando essi non hanno nulla da dare ai loro figli. Ricordo: eravamo bambini e più di una volta in casa nostra, a mezzogiorno, il fuoco era spento e la tavola spoglia e noi ci guardavamo in faccia, silenziosi. Ma a sera abbiamo sempre trovato, appesa al portone, una sporta con il necessario per quel giorno. 
Dio bussa con insistenza al cuore di chi ha in abbondanza, perché doni il superfluo a chi non ha. Siamo tutti responsabili, gli uni gli altri, infatti preghiamo così: dacci il nostro pane. Allarghiamo l’orizzonte: coloro che hanno fame si rivolgono ai responsabili della cosa pubblica. A loro la richiesta pressante di pane e di lavoro e anche della casa, perché gli affitti sono troppo cari. Questa non è prepotenza ma giustizia e quanti non fanno di tutto per alleviare la condizione dei poveri, meritano il nome di oppressori della gente. 
Oggi un grosso rischio colpisce la nostra terra: all’interno di molte nazioni si stanno evidenziando regioni ricche, molto industrializzate e quelle povere. La stessa cosa avviene a raggio mondiale: nazioni ricche e ben sviluppate e nazioni sottosviluppate, quasi o del tutto ridotte alla fame. 
Il grido dei poveri sale al cielo e le loro rivendicazioni toccano la coscienza dei ricchi, dei responsabili delle grandi concentrazioni del potere economico, senza mancare di scuotere i capi delle nazioni industrializzate. Bisogna fare giustizia, perché avvenimenti irreparabili non avvolgano la nostra terra. Noi invochiamo Dio: “Padre nostro”, e non “Padre mio”, così chiediamo il “pane nostro” e non il “pane mio”. 
Dio non ci ha creati come tante isole, ma ci ha legati insieme, l’uno all’altro. Così non posso pensare solo a me stesso, egoisticamente, dicendo: “oggi ho mangiato e tutto va bene, gli altri s’arrangino”. Chi ha pane in abbondanza deve in coscienza pensare concretamente alla condivisione. San Giovanni Crisostomo dice che ogni boccone di pane è in qualche modo un boccone di quel pane che appartiene a tutti. Che cosa dice la Bibbia? 
Opprimere i poveri è un peccato gravissimo di fronte a Dio. Un peccato che grida vendetta, come si esprime il Catechismo di Pio X: Un peccato che è un abominio al cospetto del Creatore, il quale offre i prodotti della terra a tutti gli uomini. La difesa dei poveri e la condanna di ogni oppressione stanno sommamente a cuore al Dio d’Israele. Lo dimostra la visione del Roveto ardente. Mosè si prostrò a terra e udì una voce che diceva: “Ho udito il lamento degli Israeliti asserviti dagli Egiziani e mi sono ricordato della mia alleanza. Per questo di’ agli Israeliti: Io sono il Signore! Vi sottrarrò ai gravami degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi libererò con braccio teso e con grandi castighi” (Es 6,5-6).
Il Profeta Isaia (6,17) usa parole chiare e forti in favore dei poveri: “Imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”. 
Dice ancora Isaia che l’oppressione del forestiero, della vedova e dell’orfano provoca l’ira di Dio e attira la sua punizione (cf Is 1,10-17). Credenti e non credenti, tutti i responsabili della cosa pubblica devono prendersi cura, prima di tutto e in modo pratico e serio, dei poveri, dei senza lavoro, dei senza tetto, degli anziani e dei bambini, dei malati, delle famiglie che non sanno come arrivare alla fine del mese: si tratta sempre di oppressione dei poveri: un grido che dalla terra sale verso Dio. 

L’ultimo: se il lavoro è l’esercizio di un’arte, di un mestiere, possiamo dire che il primo lavoro al mondo è stato l’esercizio dell’amore, quando, sospinto dal suo grande amore, Dio creò il cielo e la terra. E Dio fece quanto aveva in mente di fare. E così avvenne e vide che era cosa bella. Dicendo una parola sola, tutto fu fatto e tutto dal nulla. 
A prima vista sembrerebbe che Dio sia rimasto fuori e distaccato dal mondo che creò. Ma nel libro della Genesi notiamo altri interventi, come se Dio fosse sceso in terra a lavorare. Egli separò il cielo dalla terra, fece brillare il sole di giorno e la luna di notte. 
E poi eccolo intervenire in tutti i particolari: la terra produca germogli, erbe e piante; le acque brulichino di esseri viventi; gli uccelli volino per l’aria e sulla terra vivano bestiame, rettili e bestie selvatiche. 
E poi quando si trattò di creare l’uomo, l’azione di Dio è stata come quella di un padre e di una madre che vogliono dare tutto, anche se stessi ai loro figli. Egli disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci, sugli uccelli e su tutto il bestiame”. E aggiunse: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela”. 
E ora notiamo l’insistenza dello scrittore sacro. Egli non si accontenta del “facciamo”, ma descrive Dio che con le sue stesse mani, al pari di un grande artista, modella e “plasma l’uomo con polvere del suolo e soffia nelle sue narici un alito di vita”. Questa scena graziosa la troviamo in una formella del portale di Nôtre Dame di Parigi. Nella sua bontà Dio non volle che Adamo fosse solo e da una sua costola “plasmò” anche Eva perché fossero una carne sola. Per sei giorni Dio lavorò alla creazione e nel settimo si riposò. 
Dio creò l’uomo per amore e volle essere ripagato solo con amore. Ma un brutto giorno il suo capolavoro amò se stesso e volle essere un “qualcuno”, per competere con il suo creatore... e si trovò nudo. Allora Dio annunciò al Serpente Antico la venuta e la vittoria del Salvatore, e all’uomo disse: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!» (Gn 1-3).
Il lavoro;
Il lavoro è l’azione e l’effetto del lavorare. È l’esercizio di un’arte, di un mestiere. Uno vive del lavoro delle sue braccia, della sua mente. Tutte le famiglie cercano pane e lavoro. Una buona occupazione e la giusta mercede realizza l’animo umano e fa crescere la compagine familiare. 
Lavorare vuol dire fare, impiegare le proprie forze, usare il proprio ingegno, vuol dire produrre, commerciare. Sarà un’arte, una professione. Senza dimenticare il significato della parola latina “laborare” che vuol dire “faticare”, proprio come dice la Bibbia: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane». 
Fatto a immagine di Dio, l’uomo considera il lavoro come un punto fondamentale della sua vita. Dio stesso infatti gli ha dato questa consegna: «Soggiogate la terra».
Soggiogate la terra: un comando dalla portata quasi infinita: i primi strumenti di lavoro, la ruota, la scrittura, una scoperta dopo l’altra, fino al viaggio sulla Luna e oltre. Ogni traguardo diventa un punto di partenza. Il lavoro, in tutte le sue svariate dimensioni, ha soprattutto lo scopo di produrre beni materiali e culturali per la crescita umana, nella libertà e nella pace, perché ogni persona possa vivere e realizzarsi pienamente. 
Il giusto salario; «Se uno ha ricchezze in questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?» (1 Gv 3). Ogni creatura umana dal suo concepimento fino alla morte naturale ha il diritto sacrosanto a vivere e vivere dignitosamente. Con il sudore della tua fronte mangerai il tuo pane che ti mantiene in vita. Dunque per vivere è necessario lavorare: lavoro del braccio e lavoro della mente, con forte volontà e intelligenza. 
Il lavoro del braccio e della mente può essere esercitato in proprio oppure sotto un datore di lavoro. Oggi, nell’era della globalizzazione la più alta percentuale di lavoro avviene sotto padrone. In questo caso l’operaio ha diritto a una retribuzione che rispecchi la giustizia di un dignitoso mantenimento della sua famiglia. Parliamo dunque dei doveri che ogni datore di lavoro ha verso gli operai e gli impiegati. Vanno stipulati i contratti che si devono rinnovare a ogni loro scadenza, perché l’inflazione è sempre in agguato. 
Ogni contratto deve rispettare la giustizia che riguarda prima di tutto il dare a ogni dipendente il giusto compenso secondo il caro vita. La giustizia chiede inoltre di non pesare sull’operaio, di non opprimerlo per l’utile proprio. Bisogna avere un’attenzione particolare ai più bisognosi, ai meno dotati, agli sfortunati: siamo tutti egualmente figli di uno stesso Padre, sebbene di lingue e religioni diverse e tutti dobbiamo vivere. Non bisogna guadagnare sulla pelle degli altri. 
Defraudare la dovuta mercede agli operai è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio (cf Gc 5,4). Sappiamo bene che Dio si è sempre impegnato a difendere i deboli e gli oppressi. La società e lo Stato devono assicurare all’operaio un livello salariale adeguato al mantenimento sia del lavoratore che della sua famiglia. 
E sorvegliare per stroncare ogni sfruttamento, in questo e in altri casi particolari sarà sempre decisivo l’intervento dei sindacati addetti al controllo dei contratti, della sicurezza e del trattamento. Fa parte della giusta ricompensa all’operaio e all’impiegato, il comportamento dei padroni e dei dirigenti verso i loro subalterni. Essi non devono ridurre i loro collaboratori a puri esecutori materiali, perché non sono macchine, ma persone intelligenti, con sicura esperienza, capacità, competenza e vanno ascoltati per il bene dell’azienda stessa. 





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