sabato 12 settembre 2015

IL PECCATO IMPERDONABILE


«Qualunque peccato e bestemmia saranno perdonati agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata» (Matteo 12,31)
«In verità io vi dico: “Ai figli degli uomini saranno rimessi tutti i peccati e qualunque bestemmia avranno proferita; ma chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha remissione in eterno, ma è reo d’un peccato eterno”. Or egli parlava così perché dicevano: “Ha uno spirito immondo”» (Marco 3,28-30).
E: «A chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato» (Luca 12,10). 

Questa frasi di Gesù, già di loro natura sorprendenti, si fanno quasi sconcertanti nel loro prosieguo che suona così: «A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata, né in questo mondo né in quello futuro» (Matteo 12,32). 

Per sciogliere l’imbarazzo di queste dichiarazioni partiamo innanzitutto dalla realtà della «bestemmia» che, nel linguaggio biblico, ha un’accezione differente da quella comune per noi. Il famoso comandamento: «Non nominare il nome di Dio invano», certo, indirettamente può essere applicato alla «bestemmia» come imprecazione infamante contro la divinità, ma il suo valore primario va in ben altra direzione, marcata da quell’ “invano”. 

In ebraico il termine rimanda alla “vanità dell’idolo"; quindi in causa è la degenerazione della religione e l’arrogarsi da parte dell’uomo di decidere a suo piacimento quale sia il vero Dio, modellandolo a proprio vantaggio e appropriandosi, così, di una tipica qualità divina. Perciò la «bestemmia contro lo Spirito» è un peccato superiore a una semplice parolaccia o insulto contro la divinità. È un attacco radicale e consapevole alla realtà intima e profonda di Dio rappresentata dal suo Spirito. Non è un peccato di debolezza come quello dell’adultera che può pentirsi ed è perdonata da Cristo (Giovanni 8,1-11). È, invece, una sfida cosciente scagliata contro Dio. È a questo punto che dobbiamo interpretare l’applicazione successiva. 

Da un lato, si afferma la possibilità di remissione del peccato di negazione nei confronti del Figlio dell’uomo. La giustificazione è nel fatto che la sua dignità è per così dire velata dalla sua apparenza umana che può generare incertezza, sospetto o reazione negativa. Si ricordi, per esempio, la replica di Natanaele all’apostolo Filippo che lo invitava a conoscere Gesù di Nazaret: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (Giovanni 1,46). 

D’altro lato c’è, invece, l’atteggiamento soprattutto degli scribi e dei farisei che vedono gli atti gloriosi di Cristo, i suoi miracoli, le liberazioni dal male demoniaco, ma chiudono coscientemente gli occhi della mente e del cuore, perché il riconoscimento di questa “diversità” di Gesù infrangerebbe il loro sistema di potere e le loro elaborazioni teologiche. 

Essi, dunque, negano l’evidenza delle opere che lo Spirito di Dio manifesta in Cristo: la «bestemmia contro lo Spirito » è, allora, il rifiuto consapevole della verità conosciuta come tale, è il rigetto cosciente della parola e dell’opera di Gesù, pur sapendola vera e santa, per proprio interesse “blasfemo”. 

In questa luce, è comprensibile la conclusione logica: a costoro non è possibile concedere il perdono «né in questo mondo né il quello futuro», perché manca il presupposto fondamentale del pentimento e della confessione della colpa. Essi si mettono fuori dell’orizzonte della salvezza di propria scelta. Il commento ideale a tale dichiarazione di Gesù è in queste parole di quella grandiosa omelia che è la Lettera agli Ebrei: «Se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per quel peccato, ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli» (Ebrei 10,26-27). 

I miracoli compiuti da Gesù provavano che in lui agiva la potenza di Dio, cioè la forza dello «Spirito». Attribuire, invece, ciò alla potenza di Satana è quanto Matteo 12,31 chiama «Bestemmia contro lo Spirito». Chi valuta in questo modo l’opera di Gesù si chiude alla salvezza. «Né in questo mondo, Né in quello futuro» significa “Mai”. 

Facciamo un esempio: affermare che «Medjugorie è un fenomeno assolutamente diabolico, intorno al quale girano numerosi interessi sotterranei» equivale ad un giudizio senza appello: sono 30 anni che la Madonna si manifesta a Medjugorje compiendo miracoli (riconosciuti e documentati ufficialmente anche dalla Scienza) per opera della potenza di Dio, cioè la forza dello «Spirito» e riconoscere in tutto questo l’opera del «Demonio» equivale a “Bestemmiare lo Spirito” e a comportarsi proprio come gli “Scribi e i Farisei” ai tempi dei miracoli di Gesù. 

Questo peccato, essendo dichiarato «imperdonabile» dal Signore, dev’essere senz’altro il più tremendo fra quelli che un uomo possa mai commettere. Poiché in molte delicate coscienze il solo dubbio d’averlo commesso sveglia una sensazione di terrore, il primo passo è certamente l’accertamento della vera natura di tale trasgressione. 

Nell’interpretazione di questi brani, si fa bene a tener sempre presente le circostanze e le persone che diedero luogo a una così solenne dichiarazione di Gesù.
Costoro avevano disonorato il Padre, poiché stavano rigettando il Figlio. Così facendo, incominciavano a resistere allo Spirito Santo, attribuendo l’opera di Gesù alla potenza di Satana. Il Signore non li accusò d’aver già effettivamente commesso tale terribile peccato, ma li avvertì del pericolo in cui si trovavano: persistendo in quella via, lo Spirito avrebbe cessato di fare in loro la sua opera d’illuminamento e convincimento, i loro cuori si sarebbero induriti, rischiando così di non poter mai più credere. 

Ora chi non credeva in Gesù quale Messia, non poteva essere perdonato dai suoi peccati. La bestemmia significa diffamazione, maldicenza, parlare a danno d’una persona e quindi ingiuriarla. Nel Nuovo Testamento questo vocabolo s’applica all’arroganza e al disprezzo diretti contro Dio, come pure contro l’uomo, e in questo senso è una forma di peccato assai grave.

Notiamo che in Marco 16,16, il Signore medesimo indicò l’unico principio essenziale, invariabile, della salvezza o della dannazione d’ogni anima: «Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato» «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui» (Gv 3,36). 

Nessuna eccezione, nessun caso particolare sfugge a questo gran principio dell’Evangelo, incluse tutte le persone che gli uomini possano ritenere detentori di particolari meriti. Qualunque sia la natura e la gravità del peccato di un uomo, sarà liberalmente e pienamente perdonato, se egli credendo nel Figlio di Dio, si ravvede e accetta la giustizia di Cristo. 

Dall’altro lato, però, diventa chiaro che lo Spirito Santo è il solo che possa agire nel cuore del peccatore e mettere in lui la fede salvatrice, che gli permetterà di essere unito a Cristo. Pertanto, chi respinge sistematicamente e coscientemente gli appelli dello Spirito Santo, resistendo alla sua influenza e persistendo nella miscredenza, pone se stesso deliberatamente fuori d’ogni speranza di perdono. 

Bisogna tener conto che fu ai Farisei e alle guide del popolo giudaico, ai quali il nostro Signore diresse primieramente quelle parole. Perciò il contrasto fra «una parola detta contro il Figlio dell’uomo» e «la bestemmia contro lo Spirito» può riferirsi al disprezzo gettato da loro contro la persona di Gesù, quando la sua vera condizione di Messia era ancora velata e la sua opera incompiuta; la loro «bestemmia» divenne però persistente, quando conobbero pienamente la sua rivendicazione di essere il Messia e videro come lo Spirito Santo confermava ciò mediante la sua presenza nella persona di Gesù e nelle sue opere miracolose. 

Una prima «bestemmia» fu perdonata a Saulo di Tarso perché operava — come in seguito ammise — «ignorantemente, non avendo la fede» (1 Tm 1,13); quando incontrò Gesù nella sua gloria, capitolò. Una seconda «bestemmia» non gli sarebbe stata perdonata, perché avrebbe significato nutrire contro la luce sfolgorante un odio crescente e fuggirla deliberatamente; ciò sarebbe equivalso a precludersi la via della salvezza. 

Da quanto abbiamo detto fin qui diventa chiaro che questo terribile peccato consiste nel resistere in modo cosciente, deliberato e pienamente deciso allo “Spirito”, il quale intende rivelare Gesù Cristo all’uomo. Stando così le cose, il peccatore impenitente viene abbandonato a se stesso. Da una parte, chi crede viene «suggellato con lo Spirito Santo della promessa, il quale è la caparra della nostra eredità» (Ef 1,13s); dall’altra, chi rifiuta di credere costringe lo Spirito a ritirarsi, e il peccatore impenitente rimane sotto l’ira di Dio e, per così dire è suggellato per la perdizione. 

Ora, però, se tutti i mezzi di grazia, coi i quali egli circonda e stimola il peccatore, vengono rigettati, ostacolati e soffocati, non resta più alcun rimedio per un peccato del genere. Non vi è altra persona che possa intervenire a favore del peccatore. E perché un tale rimedio non esiste, il peccato di colui che resiste allo Spirito Santo (e fintantoché durerà questa resistenza), sarà tale da escludere per lui ogni perdono; anzi, come dice Marco, è «colpevole d’un peccato eterno» (Marco 3,29). 

Le parole di Gesù, secondo cui tale peccato d’incredulità «non sarà perdonato né in questo mondo né in quello a venire» (Matteo 12,32), non lasciano nessuna scappatoia né danno appiglio alla sedicente dottrina del "Purgatorio", poiché non è mai in mano dell’uomo la capacità d’espiare i propri peccati. Chi è nemico della luce dell’Evangelo e della bontà divina e resta tale, non ha possibilità d’essere perdonato né in questo né nell’altro mondo.



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