«Qualunque peccato e bestemmia saranno perdonati agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata» (Matteo 12,31)
«In verità io vi dico: “Ai figli degli uomini saranno
rimessi tutti i peccati e qualunque bestemmia avranno proferita; ma chiunque
avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha remissione in eterno, ma è reo
d’un peccato eterno”. Or egli parlava così perché dicevano: “Ha uno spirito
immondo”» (Marco 3,28-30).
E: «A chiunque parlerà contro
il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo
Spirito Santo, non sarà perdonato» (Luca 12,10).
Questa frasi di Gesù, già di loro natura
sorprendenti, si fanno quasi sconcertanti nel loro prosieguo che suona così: «A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà
perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata, né in
questo mondo né in quello futuro» (Matteo 12,32).
Per sciogliere
l’imbarazzo di queste dichiarazioni partiamo innanzitutto dalla realtà della «bestemmia» che, nel linguaggio
biblico, ha un’accezione differente da quella comune per noi. Il famoso
comandamento: «Non nominare il nome di Dio invano», certo, indirettamente può
essere applicato alla «bestemmia» come imprecazione infamante contro la divinità,
ma il suo valore primario va in ben altra direzione, marcata da quell’
“invano”.
In ebraico il
termine rimanda alla “vanità dell’idolo"; quindi in causa è la degenerazione
della religione e l’arrogarsi da parte dell’uomo di decidere a suo piacimento
quale sia il vero Dio, modellandolo a proprio vantaggio e appropriandosi, così,
di una tipica qualità divina. Perciò la «bestemmia contro lo Spirito» è un
peccato superiore a una semplice parolaccia o insulto contro la divinità. È un attacco radicale e consapevole alla realtà intima e profonda di Dio
rappresentata dal suo Spirito. Non è un peccato di debolezza come quello
dell’adultera che può pentirsi ed è perdonata da Cristo (Giovanni 8,1-11). È,
invece, una sfida cosciente scagliata contro Dio. È a questo punto che dobbiamo
interpretare l’applicazione successiva.
Da
un lato, si afferma la possibilità di remissione del peccato di
negazione nei confronti del Figlio dell’uomo. La giustificazione è nel fatto
che la sua dignità è per così dire velata dalla sua apparenza umana che può
generare incertezza, sospetto o reazione negativa. Si ricordi, per esempio, la
replica di Natanaele all’apostolo Filippo che lo invitava a conoscere Gesù di
Nazaret: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (Giovanni 1,46).
D’altro lato c’è, invece,
l’atteggiamento soprattutto degli scribi e dei farisei che vedono
gli atti gloriosi di Cristo, i suoi miracoli, le liberazioni dal male
demoniaco, ma chiudono
coscientemente gli occhi della mente e del cuore, perché il riconoscimento
di questa “diversità” di Gesù infrangerebbe il loro sistema di potere e le loro
elaborazioni teologiche.
Essi,
dunque, negano l’evidenza delle opere che lo Spirito di Dio manifesta
in Cristo: la «bestemmia contro lo Spirito » è, allora, il rifiuto consapevole
della verità conosciuta come tale, è il rigetto cosciente della parola e
dell’opera di Gesù, pur sapendola vera e santa, per proprio interesse
“blasfemo”.
In questa luce, è
comprensibile la conclusione logica: a costoro non è possibile concedere il
perdono «né in questo mondo né
il quello futuro», perché manca il presupposto
fondamentale del pentimento e della confessione della colpa. Essi si mettono
fuori dell’orizzonte della salvezza di propria scelta. Il commento
ideale a tale dichiarazione di Gesù è in queste parole di quella grandiosa
omelia che è la Lettera agli Ebrei: «Se pecchiamo
volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più
alcun sacrificio per quel peccato, ma soltanto una terribile attesa del giudizio
e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli» (Ebrei 10,26-27).
I
miracoli compiuti da Gesù
provavano che in lui agiva la potenza di Dio, cioè la forza dello «Spirito».
Attribuire, invece, ciò alla potenza di Satana è quanto Matteo 12,31 chiama
«Bestemmia contro lo Spirito». Chi valuta in questo modo l’opera di Gesù si
chiude alla salvezza. «Né in questo mondo, Né in quello futuro» significa
“Mai”.
Facciamo un esempio:
affermare che «Medjugorie è un fenomeno assolutamente diabolico, intorno al
quale girano numerosi interessi sotterranei» equivale ad un giudizio senza appello: sono 30 anni che la
Madonna si manifesta a Medjugorje compiendo miracoli (riconosciuti e
documentati ufficialmente anche dalla Scienza) per opera della potenza di Dio,
cioè la forza dello «Spirito» e riconoscere in tutto questo l’opera del
«Demonio» equivale a “Bestemmiare lo Spirito” e a comportarsi proprio come gli
“Scribi e i Farisei” ai tempi dei miracoli di Gesù.
Questo
peccato, essendo dichiarato «imperdonabile»
dal Signore, dev’essere senz’altro il più tremendo fra quelli che un uomo possa
mai commettere. Poiché in molte delicate coscienze il solo dubbio d’averlo
commesso sveglia una sensazione di terrore, il primo passo è certamente
l’accertamento della vera natura di tale trasgressione.
Nell’interpretazione di questi brani, si fa bene a tener sempre presente
le circostanze e le persone che diedero luogo a una così solenne dichiarazione
di Gesù.
Costoro avevano disonorato il Padre,
poiché stavano rigettando il Figlio. Così facendo, incominciavano a resistere
allo Spirito Santo, attribuendo l’opera di Gesù alla potenza di Satana. Il
Signore non li accusò d’aver già effettivamente commesso tale terribile
peccato, ma li avvertì del pericolo in cui si trovavano: persistendo in
quella via, lo Spirito avrebbe cessato di fare in loro la sua opera
d’illuminamento e convincimento, i loro cuori si sarebbero induriti, rischiando
così di non poter mai più credere.
Ora
chi non credeva in Gesù quale Messia, non poteva essere perdonato dai suoi
peccati. La bestemmia significa diffamazione, maldicenza, parlare a danno d’una
persona e quindi ingiuriarla. Nel Nuovo Testamento questo vocabolo s’applica
all’arroganza e al disprezzo diretti contro Dio, come pure contro l’uomo, e in
questo senso è una forma di peccato assai grave.
Notiamo che in Marco 16,16, il Signore medesimo indicò
l’unico principio essenziale, invariabile, della salvezza o della dannazione
d’ogni anima: «Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvato; ma chi non
avrà creduto sarà condannato» «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non
vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui» (Gv 3,36).
Nessuna eccezione, nessun caso particolare sfugge a questo gran principio dell’Evangelo, incluse tutte le persone che gli uomini possano ritenere detentori di particolari meriti. Qualunque sia la natura e la gravità del peccato di un uomo, sarà liberalmente e pienamente perdonato, se egli credendo nel Figlio di Dio, si ravvede e accetta la giustizia di Cristo.
Nessuna eccezione, nessun caso particolare sfugge a questo gran principio dell’Evangelo, incluse tutte le persone che gli uomini possano ritenere detentori di particolari meriti. Qualunque sia la natura e la gravità del peccato di un uomo, sarà liberalmente e pienamente perdonato, se egli credendo nel Figlio di Dio, si ravvede e accetta la giustizia di Cristo.
Dall’altro
lato, però, diventa chiaro che lo Spirito Santo è il solo che possa
agire nel cuore del peccatore e mettere in lui la fede salvatrice, che gli
permetterà di essere unito a Cristo. Pertanto, chi respinge sistematicamente e
coscientemente gli appelli dello Spirito Santo, resistendo alla sua influenza e
persistendo nella miscredenza, pone se stesso deliberatamente fuori d’ogni
speranza di perdono.
Bisogna tener
conto che fu ai Farisei e alle guide del popolo giudaico, ai quali il
nostro Signore diresse primieramente quelle parole. Perciò il contrasto fra «una
parola detta contro il Figlio dell’uomo» e «la bestemmia contro lo
Spirito» può riferirsi al disprezzo gettato da loro contro la persona di
Gesù, quando la sua vera condizione di Messia era ancora velata e la sua opera
incompiuta; la loro «bestemmia» divenne però persistente, quando conobbero
pienamente la sua rivendicazione di essere il Messia e videro come lo Spirito
Santo confermava ciò mediante la sua presenza nella persona di Gesù e nelle sue
opere miracolose.
Una prima «bestemmia»
fu perdonata a Saulo di Tarso perché operava — come in seguito ammise — «ignorantemente,
non avendo la fede» (1 Tm 1,13); quando incontrò Gesù nella sua gloria,
capitolò. Una seconda «bestemmia» non gli sarebbe stata perdonata, perché avrebbe
significato nutrire contro la luce sfolgorante un odio crescente e fuggirla
deliberatamente; ciò sarebbe equivalso a precludersi la via della salvezza.
Da quanto abbiamo detto fin qui
diventa chiaro che questo terribile peccato consiste nel resistere in modo
cosciente, deliberato e pienamente deciso allo “Spirito”, il quale intende
rivelare Gesù Cristo all’uomo. Stando così le cose, il peccatore impenitente
viene abbandonato a se stesso. Da una parte, chi crede viene «suggellato con
lo Spirito Santo della promessa, il quale è la caparra della nostra eredità»
(Ef 1,13s); dall’altra, chi rifiuta di credere costringe lo Spirito a
ritirarsi, e il peccatore impenitente rimane sotto l’ira di Dio e, per così
dire è suggellato per la perdizione.
Ora,
però, se tutti i mezzi di grazia, coi i quali egli circonda e stimola il
peccatore, vengono rigettati, ostacolati e soffocati, non resta più alcun
rimedio per un peccato del genere. Non vi è altra persona che possa intervenire
a favore del peccatore. E perché un tale rimedio non esiste, il peccato di
colui che resiste allo Spirito Santo (e fintantoché durerà questa resistenza),
sarà tale da escludere per lui ogni perdono; anzi, come dice Marco, è «colpevole d’un peccato
eterno» (Marco 3,29).
Le parole di Gesù, secondo cui tale peccato d’incredulità «non sarà perdonato né
in questo mondo né in quello a venire»
(Matteo 12,32), non lasciano nessuna scappatoia né danno appiglio alla
sedicente dottrina del "Purgatorio", poiché non è mai in mano dell’uomo la capacità
d’espiare i propri peccati. Chi è nemico della luce dell’Evangelo e della bontà
divina e resta tale, non ha possibilità d’essere perdonato né in questo né
nell’altro mondo.
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