Un posto a parte nell’Illuminismo francese occupa Rousseau, figura enigmatica e controversa, il
cui pensiero appare, sotto molti aspetti, un irripetibile amalgama di elementi
diversi e contrastanti tra loro. Dietro la singolarità del pensiero e
dell’opera del ginevrino, sta la singolarità dell’uomo, la cui storia personale
– il suo disturbato «io» profondo – non ha mancato di interessare vivamente
anche studiosi di Psicologia e Psicanalisi.
Rousseau è uno dei padri della Democrazia Moderna; ma ben
pochi suscitano come lui la diffidenza della cultura liberale, che continua a
considerarlo, non senza ragione, come l'iniziatore di tutte le dottrine di
Dittatura e di Tirannia, da quella Giacobina del 1793 fino alle dottrine
Bolsceviche del 1920.
Banditore di un
Individualismo radicale da un lato (Discorsi e Nuova Eloisa 1762), per
il quale l’uomo non può e non deve riconoscere altra guida che il suo
«sentimento interiore», dall’altro (Contratto Sociale 1762) Rousseau propugna
un «Assolutismo politico» radicale per il quale l’individuo è sottoposto interamente
alla volontà generale del corpo politico. Le conseguenze ricavabili dalla «Teoria
della Sovranità Popolare» avranno una portata politica notevole, ispirando i
più accesi protagonisti della Rivoluzione.
Nel
vagheggiamento di un’età d’innocenza, presente in molti scritti di
Rousseau, oltre all’elemento mitico, indubbiamente presente, opera anche un
preciso ideale politico incarnato dalle «Città-Stato» dell’antichità. La
perfetta armonia tra individuo e comunità, cultura e politica che fu di Atene e
Sparta, secondo il ginevrino dovrebbe essere il traguardo ambito anche dalle
nazioni moderne.
Una profonda
passione etico-antropologico-politica governa e dirige lo stringente
argomentare razionale-scientifico delle pagine rousseauiane. Bisogna creare una
società finalmente «Libera e Ugualitaria» per «rigenerare» l’essere umano. Il
problema più arduo è connesso con la difficile mediazione tra due realtà che
Rousseau ritiene assolutamente certe e oggettive. La prima è che l’uomo
è e deve restare un essere «Libero»: «rinunciare alla propria libertà significa
rinunciare alla propria qualità d’uomo». La seconda è che la società, di
cui l’individuo non può fare a meno per ragioni di tutela e sviluppo personale,
implica un «ordine» e quindi delle «rinunce».
Il
Contratto Sociale (1762) assume come fondamento la «Libertà» dello
stato di natura e su queste premesse teorizza un tipo di società, basata su un
patto d’«unione», che garantisca la «Libertà» e la conservazione
dell’individuo. La «volontà» propria del corpo sociale è la «Volontà Generale»,
che tende sempre all’«utilità» di tutti e che, quindi, non può sbagliare.
Frutto di un lavoro assai travagliato
e durato quasi un decennio, l’«Emilio» (1762) è uno dei vertici assoluti della
riflessione rousseauiana e una delle grandi opere del pensiero moderno.
L’«Emilio», se certamente è un testo di importanza capitale dal punto di vista
pedagogico-educativo, contiene anche qualcosa di più: una psicologia,
un’antropologia, una nuova (o innovata) meditazione sociale. L’«educazione» si
configura per Rousseau come l’intervento teorico-pratico attraverso il quale si
può plasmare un’umanità capace di vivere – anzi, di con-vivere – secondo i
dettami della giustizia e della «raison». Da questo punto di vista occorre
anche rivedere (o reinterpretare in modo più equilibrato) uno dei principi
centrali dell’«Emilio», che ha creato non pochi equivoci. Si allude al
principio che l’«educazione» dovrebbe avvenire, per Rousseau, «fuori e
indipendentemente» dalla società.
Nell’«Emilio»,
dunque, Rousseau delinea un tipo di «educazione» che mira a rispettare
nell’individuo l’«istinto naturale», di per sé buono, evitando le deformazioni
di solito prodotte dalle convenzioni della così detta società civile. Il
maestro deve favorire il libero sviluppo della natura del«fanciullo» che,
gradualmente e spontaneamente, potrà acquisire la sua più profonda e intima
personalità.
Sulla «Libertà» dell' Uomo:
e' il fondamento e lo scopo della cultura moderna rompere le catene che tengono
fermo l' uomo. I morti non stanno fermi perché sono legati, ma perché sono
morti. E’ dunque il «Divenire» della vita che viene immobilizzato; perché e'
legato dai suoi nemici. Il «Divenire», cioè la «Libertà» originaria dell'uomo,
Rousseau lo percepisce con straordinaria «Potenza». Le catene sono per lui il
Potere Politico ed Economico, e innanzitutto la Proprietà Privata, i Dogmi
della Morale, la Religione, gli Ordinamenti giuridici, le Arti e le Scienze che
tentano di giustificare il dominio dei prepotenti e degli astuti.
Soffocare la Libertà e', prima
ancora che un male, un «Errore»; l' «Errore» più grande, perché e' come gettare
reti per fermare il moto ondoso del mare. I prepotenti e gli astuti alla fine
sono degli illusi. Il Popolo non ha quindi un sovrano al di sopra di sé : il
Popolo e il Sovrano sono una stessa persona. E siamo al grande crocevia rispetto
alla cultura liberale, perché per Rousseau, questa «Persona» e' quanto di più
profondo e di autentico c' e' in ogni individuo: e' il suo «Io Comune», e a cui
dunque l' «Io Particolare» di ognuno va subordinato, e per il bene stesso
dell' individuo, quel che l' «Io comune» vuole , (la «Volontà Generale») , e'
dunque la «Volontà» più vera dell' individuo. Sottomettendosi ad essa egli non
diventa schiavo di un «Potere Esterno», ma si sottomette a se stesso, e dunque
diventa «Libero». L' autentica «Libertà» e' la sottomissione a se stessi.
Si può capire quanto questo
discorso affascini pensatori che, come Kant, Fichte, Hegel, pongono al centro
la relazione tra il nostro «Io Particolare» e il nostro «Io più grande», più
vero e universale («Io Trascendentale»). Ma si capisce anche come quella
relazione continui ad apparire, agli occhi del liberalismo, come la premessa
che conduce inevitabilmente allo Stato Totalitario e Assoluto, e che sotto l' apparenza
di promuovere la vera «Libertà» degli individui, ne e' invece la negazione più
radicale. E in effetti nella «Volontà Generale» si ripresentano i vecchi
padroni. Ancora più insidiosi e pericolosi, proprio perché non dicono più all'
uomo: «Obbediscimi», ma «Obbedisci a te stesso».
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