domenica 1 febbraio 2015

ROUSSEAU


Un posto a parte nell’Illuminismo francese occupa Rousseau, figura enigmatica e controversa, il cui pensiero appare, sotto molti aspetti, un irripetibile amalgama di elementi diversi e contrastanti tra loro. Dietro la singolarità del pensiero e dell’opera del ginevrino, sta la singolarità dell’uomo, la cui storia personale – il suo disturbato «io» profondo – non ha mancato di interessare vivamente anche studiosi di Psicologia e Psicanalisi. 
Rousseau è uno dei padri della Democrazia Moderna; ma ben pochi suscitano come lui la diffidenza della cultura liberale, che continua a considerarlo, non senza ragione, come l'iniziatore di tutte le dottrine di Dittatura e di Tirannia, da quella Giacobina del 1793 fino alle dottrine Bolsceviche del 1920. 
Banditore di un Individualismo radicale da un lato (Discorsi e Nuova Eloisa 1762), per il quale l’uomo non può e non deve riconoscere altra guida che il suo «sentimento interiore», dall’altro (Contratto Sociale 1762) Rousseau propugna un «Assolutismo politico» radicale per il quale l’individuo è sottoposto interamente alla volontà generale del corpo politico. Le conseguenze ricavabili dalla «Teoria della Sovranità Popolare» avranno una portata politica notevole, ispirando i più accesi protagonisti della Rivoluzione. 
Nel vagheggiamento di un’età d’innocenza, presente in molti scritti di Rousseau, oltre all’elemento mitico, indubbiamente presente, opera anche un preciso ideale politico incarnato dalle «Città-Stato» dell’antichità. La perfetta armonia tra individuo e comunità, cultura e politica che fu di Atene e Sparta, secondo il ginevrino dovrebbe essere il traguardo ambito anche dalle nazioni moderne. 
Una profonda passione etico-antropologico-politica governa e dirige lo stringente argomentare razionale-scientifico delle pagine rousseauiane. Bisogna creare una società finalmente «Libera e Ugualitaria» per «rigenerare» l’essere umano. Il problema più arduo è connesso con la difficile mediazione tra due realtà che Rousseau ritiene assolutamente certe e oggettive. La prima è che l’uomo è e deve restare un essere «Libero»: «rinunciare alla propria libertà significa rinunciare alla propria qualità d’uomo». La seconda è che la società, di cui l’individuo non può fare a meno per ragioni di tutela e sviluppo personale, implica un «ordine» e quindi delle «rinunce». 
Il Contratto Sociale (1762) assume come fondamento la «Libertà» dello stato di natura e su queste premesse teorizza un tipo di società, basata su un patto d’«unione», che garantisca la «Libertà» e la conservazione dell’individuo. La «volontà» propria del corpo sociale è la «Volontà Generale», che tende sempre all’«utilità» di tutti e che, quindi, non può sbagliare. 
Frutto di un lavoro assai travagliato e durato quasi un decennio, l’«Emilio» (1762) è uno dei vertici assoluti della riflessione rousseauiana e una delle grandi opere del pensiero moderno. L’«Emilio», se certamente è un testo di importanza capitale dal punto di vista pedagogico-educativo, contiene anche qualcosa di più: una psicologia, un’antropologia, una nuova (o innovata) meditazione sociale. L’«educazione» si configura per Rousseau come l’intervento teorico-pratico attraverso il quale si può plasmare un’umanità capace di vivere – anzi, di con-vivere – secondo i dettami della giustizia e della «raison». Da questo punto di vista occorre anche rivedere (o reinterpretare in modo più equilibrato) uno dei principi centrali dell’«Emilio», che ha creato non pochi equivoci. Si allude al principio che l’«educazione» dovrebbe avvenire, per Rousseau, «fuori e indipendentemente» dalla società. 
Nell’«Emilio», dunque, Rousseau delinea un tipo di «educazione» che mira a rispettare nell’individuo l’«istinto naturale», di per sé buono, evitando le deformazioni di solito prodotte dalle convenzioni della così detta società civile. Il maestro deve favorire il libero sviluppo della natura del«fanciullo» che, gradualmente e spontaneamente, potrà acquisire la sua più profonda e intima personalità. 
Sulla «Libertà» dell' Uomo: e' il fondamento e lo scopo della cultura moderna rompere le catene che tengono fermo l' uomo. I morti non stanno fermi perché sono legati, ma perché sono morti. E’ dunque il «Divenire» della vita che viene immobilizzato; perché e' legato dai suoi nemici. Il «Divenire», cioè la «Libertà» originaria dell'uomo, Rousseau lo percepisce con straordinaria «Potenza». Le catene sono per lui il Potere Politico ed Economico, e innanzitutto la Proprietà Privata, i Dogmi della Morale, la Religione, gli Ordinamenti giuridici, le Arti e le Scienze che tentano di giustificare il dominio dei prepotenti e degli astuti. 
Soffocare la Libertà e', prima ancora che un male, un «Errore»; l' «Errore» più grande, perché e' come gettare reti per fermare il moto ondoso del mare. I prepotenti e gli astuti alla fine sono degli illusi. Il Popolo non ha quindi un sovrano al di sopra di sé : il Popolo e il Sovrano sono una stessa persona. E siamo al grande crocevia rispetto alla cultura liberale, perché per Rousseau, questa «Persona» e' quanto di più profondo e di autentico c' e' in ogni individuo: e' il suo «Io Comune», e a cui dunque l' «Io Particolare» di ognuno va subordinato, e per il bene stesso dell' individuo, quel che l' «Io comune» vuole , (la «Volontà Generale») , e' dunque la «Volontà» più vera dell' individuo. Sottomettendosi ad essa egli non diventa schiavo di un «Potere Esterno», ma si sottomette a se stesso, e dunque diventa «Libero». L' autentica «Libertà» e' la sottomissione a se stessi. 
Si può capire quanto questo discorso affascini pensatori che, come Kant, Fichte, Hegel, pongono al centro la relazione tra il nostro «Io Particolare» e il nostro «Io più grande», più vero e universale («Io Trascendentale»). Ma si capisce anche come quella relazione continui ad apparire, agli occhi del liberalismo, come la premessa che conduce inevitabilmente allo Stato Totalitario e Assoluto, e che sotto l' apparenza di promuovere la vera «Libertà» degli individui, ne e' invece la negazione più radicale. E in effetti nella «Volontà Generale» si ripresentano i vecchi padroni. Ancora più insidiosi e pericolosi, proprio perché non dicono più all' uomo: «Obbediscimi», ma «Obbedisci a te stesso».


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