martedì 24 febbraio 2015

BENEDETTO CROCE



Muovendo,così come Gentile, dal confronto con l’Idealismo hegeliano, Croce opera a sua volta una propria revisione della dialettica, basata sulla distinzione di quattro «Forme» fondamentali dello «Spirito». Un nesso molto stretto viene posto inoltre tra la «Filosofia dello Spirito» e la Storia, fino a configurare uno storicismo «Assoluto» e onnicomprensivo. Sul piano politico, inoltre, la sua figura ha rappresentato un punto di riferimento esemplare per l’antifascismo durante gli anni della dittatura. l’intuizione capitale del Croce consiste appunto nell’identità di Storia e di Filosofia (e, vorremmo aggiungere, nella sciagurata riduzione della Filosofia alla Storia). 
Croce, infatti, intende la «teoria», che culmina nella Filosofia, come un lato solo della vita dello «Spirito». L’altro lato è la «pratica», o se si vuole, l’«azione». Lo spirito universale e storico deve, cioè, essere rappresentato come la sinergia vivente di «teoria e prassi». Propriamente, secondo Croce, «con la forma teoretica l’uomo comprende le cose, con la forma pratica le viene mutando; con l’una si appropria dell’universo, con l’altra lo crea». Croce riconosce, in altri termini, ne – La Storia come pensiero e come azione – che «L’antica distinzione di conoscenza e volontà, di pensiero e azione, rimane intatta». 
Ma questa distinzione dello «Spirito» in teoretico e pratico non è l’unica. V’è un’ulteriore distinzione, che attraversa tanto la «teoria» quanto la «pratica», a seconda che lo «Spirito» prenda a proprio contenuto il particolare o l’universale. Secondo Croce, quando lo «Spirito» teoretico si volge all’universale, produce il «vero», quando si volge al particolare, produce il «bello». Quando è poi lo «Spirito» pratico a volgersi all’universale, si fa il «bene» e quando tale «Spirito» si volge al particolare si persegue l’«utile». Il «vero» è studiato dalla Logica, il «bello» dall’Estetica; il «bene» è studiato dall’Etica, l’«utile» infine dall’Economia. Fra queste quattro «Forme» (o «distinti» o «categorie») dello Spirito, Croce stabilisce anche un ordine di precedenza. La sfera del conoscere o teoretica precede la sfera pratica; all’interno di ciascuna di queste due sfere, la relazione dello «Spirito» al particolare precede la relazione all’universale. 
Benedetto Croce  si faceva beffe non già della «Logica» (o della matematica), ma della pretesa che la «Logica» (o la matematica) sia una forma di conoscenza (o addirittura la forma suprema). Per Croce, infatti, la «Logica» non e' «Conoscenza», ed egli parla della «Nullità filosofica» della «Logica», ma e' un'azione «Utile», ha cioè un carattere «Pratico». Prima ancora di aiutare l'azione dell'uomo, la «Logica» e' essa stessa azione. In generale, il compito proprio delle scienze «non e' teoretico ma pratico ed economico». 
La «Logica» non e' «conoscenza», perché «conoscenza», per Croce, e' sinonimo di Verità universale e necessaria, e la «Logica» non e' una Verità siffatta. Ricordiamo che la posizione di Croce rispetto alla «Logica» e alla Scienza e' sostanzialmente identica, ma in modo autonomo, a quella di gran parte della epistemologia contemporanea: di quella epistemologia in nome della quale si usa collocare la Filosofia di Croce, e in generale l'idealismo, nel novero degli atteggiamenti incivili. 
La Scienza stessa, oggi, non intende essere «conoscenza» di Verità assolute. Ne viene che il motivo ultimo e decisivo, sebbene a volte inconfessato, per il quale le ipotesi scientifico, tecnologiche e gli assiomi logico, matematici sono adottati, non e' dato dalla loro Verità universale e necessaria, ma dal fatto che la loro adozione consente una «Potenza» sul mondo, superiore a quella di altre forme culturali (o addirittura di tutte), come ad esempio la Magia, l'Arte, la Divinazione, la Religione. 
Quelle ipotesi ed assiomi sono adottati, cioè, appunto per il loro carattere «pratico o economico». In questa prospettiva, e, certo, con accentuazioni e consapevolezze diverse, si muovevano, conosciuti da Croce, Mach e Poincare' (e il filosofo Bergson), e poi si muoveranno il neopositivismo logico e l'intuizionismo matematico di Brouwer, e poi Wittgenstein e Popper e i postpopperiani. Lo stesso Russell riconosce che nella fondazione «Logica» della matematica «Non si può mai arrivare all'infallibilità» e perciò qualche elemento di dubbio rimane sempre legato a tutti gli assiomi e alle loro conseguenze; ed egli allude spesso al carattere pratico di certe sue tesi. 
La differenza tra Croce e la maggior parte di queste posizioni non riguarda tanto il modo in cui esse intendono la Scienza, ma la gerarchia in cui la Scienza viene collocata. La differenza e' data cioè dall'idealismo di Croce. Per l'idealismo, alla Scienza non compete una Verità assoluta (Heidegger avrebbe detto, con qualche analogia, che «la scienza non pensa»); ma, per l'idealismo, al di sopra della Scienza c'e' la Filosofia, che, essa sì, e' la conoscenza della Verità assoluta. Per Croce, daccapo in sintonia con la maggior parte del pensiero contemporaneo, e spesso in anticipo, la Verità assoluta affermata dalla Filosofia non e' poi altro che il «divenire» e la distruzione di ogni conoscenza che presuma essere una Verità assoluta , e dunque e' il «divenire» e la distruzione di ogni Verità Scientifica, Logica, Matematica e Filosofica (Vedi Post Marzo 2014 - Il Divenire -  e  Maggio 2014 - la Fede nel Divenire). 
Tale «divenire» e' chiamato da Croce e da Gentile «Spirito»; ed entrambi, ancora sulla scorta di Hegel, chiamano «Logica» la comprensione dell'essenza dello «Spirito». Una logica certo molto diversa da quella dei logici matematici. Ma, tirate le somme, bisogna dire che Croce e Gentile , e innanzitutto Hegel , della Logica formale o matematica sapessero molto di più di quanto i logici matematici e gli storici della Scienza oggi non sappiano della grande «Logica» dell'idealismo. Ma da noi che si fa? Prima si riduce la nostra Filosofia a un fantoccio, poi, con la solita genuflessione, si conclude che Filosofia interessante e originale e' quella degli altri. 
Ma chi giudica così, non considera forse sé stesso come il super esperto in Filosofia e dunque come il super filosofo mondiale? Che se invece riconosce, come in effetti e' accaduto, di essere un «chiacchierone», perché non dovrebbe essere una chiacchierata il suo discorso su quel che e' originale e su quel che non lo e'?







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