Muovendo,così come
Gentile, dal confronto con l’Idealismo
hegeliano, Croce opera a sua volta una propria revisione della dialettica,
basata sulla distinzione di quattro «Forme» fondamentali dello «Spirito». Un
nesso molto stretto viene posto inoltre tra la «Filosofia dello Spirito» e la
Storia, fino a configurare uno storicismo «Assoluto» e onnicomprensivo. Sul
piano politico, inoltre, la sua figura ha rappresentato un punto di riferimento
esemplare per l’antifascismo durante gli anni della dittatura. l’intuizione
capitale del Croce consiste appunto nell’identità di Storia e di Filosofia (e,
vorremmo aggiungere, nella sciagurata riduzione della Filosofia alla Storia).
Croce, infatti, intende la
«teoria», che culmina nella Filosofia, come un lato solo della vita dello
«Spirito». L’altro lato è la «pratica», o se si vuole, l’«azione». Lo spirito
universale e storico deve, cioè, essere rappresentato come la sinergia vivente
di «teoria e prassi». Propriamente, secondo Croce, «con la forma teoretica
l’uomo comprende le cose, con la forma pratica le viene mutando; con l’una si
appropria dell’universo, con l’altra lo crea». Croce riconosce, in altri termini, ne
– La Storia come pensiero e come azione
– che «L’antica distinzione di conoscenza e volontà, di pensiero e azione, rimane
intatta».
Ma questa distinzione
dello «Spirito» in teoretico e pratico non è l’unica. V’è un’ulteriore
distinzione, che attraversa tanto la «teoria» quanto la «pratica», a seconda
che lo «Spirito» prenda a proprio contenuto il particolare o l’universale.
Secondo Croce, quando lo «Spirito» teoretico si volge all’universale, produce
il «vero», quando si volge al particolare, produce il «bello». Quando è poi lo
«Spirito» pratico a volgersi all’universale, si fa il «bene» e quando tale
«Spirito» si volge al particolare si persegue l’«utile». Il «vero» è studiato dalla Logica,
il «bello» dall’Estetica; il «bene» è studiato dall’Etica,
l’«utile» infine dall’Economia. Fra queste quattro «Forme» (o «distinti»
o «categorie») dello Spirito, Croce stabilisce anche un ordine di precedenza. La
sfera del conoscere o teoretica precede la sfera pratica; all’interno di
ciascuna di queste due sfere, la relazione dello «Spirito» al particolare precede
la relazione all’universale.
Benedetto
Croce si faceva beffe non già
della «Logica» (o della matematica), ma della pretesa che la «Logica» (o la
matematica) sia una forma di conoscenza (o addirittura la forma suprema). Per
Croce, infatti, la «Logica» non e' «Conoscenza», ed egli parla della «Nullità
filosofica» della «Logica», ma e' un'azione «Utile», ha cioè un carattere
«Pratico». Prima ancora di aiutare l'azione dell'uomo, la «Logica» e' essa
stessa azione. In generale, il compito proprio delle scienze «non e' teoretico
ma pratico ed economico».
La «Logica»
non e' «conoscenza», perché «conoscenza», per Croce, e' sinonimo di Verità
universale e necessaria, e la «Logica» non e' una Verità siffatta. Ricordiamo
che la posizione di Croce rispetto alla «Logica» e alla Scienza e'
sostanzialmente identica, ma in modo autonomo, a quella di gran parte della
epistemologia contemporanea: di quella epistemologia in nome della quale si usa
collocare la Filosofia di Croce, e in generale l'idealismo, nel novero degli
atteggiamenti incivili.
La Scienza
stessa, oggi, non intende essere «conoscenza» di Verità assolute. Ne
viene che il motivo ultimo e decisivo, sebbene a volte inconfessato, per il
quale le ipotesi scientifico, tecnologiche e gli assiomi logico, matematici
sono adottati, non e' dato dalla loro Verità universale e necessaria, ma dal
fatto che la loro adozione consente una «Potenza» sul mondo, superiore a quella
di altre forme culturali (o addirittura di tutte), come ad esempio la Magia,
l'Arte, la Divinazione, la Religione.
Quelle
ipotesi ed assiomi sono adottati, cioè, appunto per il loro carattere «pratico o economico». In questa prospettiva, e, certo, con accentuazioni e
consapevolezze diverse, si muovevano, conosciuti da Croce, Mach e Poincare' (e
il filosofo Bergson), e poi si muoveranno il neopositivismo logico e l'intuizionismo
matematico di Brouwer, e poi Wittgenstein e Popper e i postpopperiani. Lo
stesso Russell riconosce che nella fondazione «Logica» della matematica «Non si
può mai arrivare all'infallibilità» e perciò qualche elemento di dubbio rimane
sempre legato a tutti gli assiomi e alle loro conseguenze; ed egli allude
spesso al carattere pratico di certe sue tesi.
La differenza tra Croce e la maggior parte di queste
posizioni non riguarda tanto il modo in cui esse intendono la Scienza, ma la
gerarchia in cui la Scienza viene collocata. La differenza e' data cioè
dall'idealismo di Croce. Per l'idealismo, alla Scienza non compete una Verità
assoluta (Heidegger avrebbe detto, con qualche analogia, che «la scienza non
pensa»); ma, per l'idealismo, al di sopra della Scienza c'e' la Filosofia, che,
essa sì, e' la conoscenza della Verità assoluta. Per Croce, daccapo in sintonia
con la maggior parte del pensiero contemporaneo, e spesso in anticipo, la Verità
assoluta affermata dalla Filosofia non e' poi altro che il «divenire» e la
distruzione di ogni conoscenza che presuma essere una Verità assoluta , e
dunque e' il «divenire» e la distruzione di ogni Verità Scientifica, Logica,
Matematica e Filosofica (Vedi Post Marzo 2014 - Il Divenire - e Maggio 2014 - la Fede nel Divenire).
Tale «divenire»
e' chiamato da Croce e da Gentile «Spirito»; ed entrambi, ancora sulla scorta
di Hegel, chiamano «Logica» la comprensione dell'essenza dello «Spirito». Una
logica certo molto diversa da quella dei logici matematici. Ma, tirate le
somme, bisogna dire che Croce e Gentile , e innanzitutto Hegel , della Logica
formale o matematica sapessero molto di più di quanto i logici matematici e gli
storici della Scienza oggi non sappiano della grande «Logica» dell'idealismo.
Ma da noi che si fa? Prima si riduce la nostra Filosofia a un fantoccio, poi,
con la solita genuflessione, si conclude che Filosofia interessante e originale
e' quella degli altri.
Ma chi giudica
così, non considera forse sé stesso come il super esperto in Filosofia e
dunque come il super filosofo mondiale? Che se invece riconosce, come in effetti
e' accaduto, di essere un «chiacchierone», perché non dovrebbe essere una
chiacchierata il suo discorso su quel che e' originale e su quel che non lo e'?
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