La Filosofia di Gentile è fondata su un recupero critico del pensiero di
Hegel e, in particolare, su una «riforma» della dialettica, volta a ristabilire
la priorità dello «Spirito», concepito come Pensiero in atto: da ciò la
denominazione di «Attualismo», assunta per designare questa posizione.
Il suo Idealismo si qualifica come «attualistico»
perché «non concepisce lo Spirito come una sostanza (allusione alla metafisica
antica, ma anche alla metafisica moderna, certamente a Cartesio) né il Pensiero
come attributo di una sostanza (allusione a Spinoza), ma lo Spirito fa
coincidere appunto col Pensiero e il Pensiero intende non come quel Pensiero
che l’uomo possa o debba pensare, ma come quello che pensa attualmente, e che è
tutto nello stesso atto di pensare. Atto che realizza il nostro essere
spirituale, come il solo essere di cui si possa in concreto parlare». Si può
dire che tutta la riflessione gentiliana sia l’analisi di questo nucleo
decisivo, cioè appunto dell’attività del pensare.
I rapporti tra Gentile e il regime fascista sono stati oggetto di molte discussioni, polemiche e interpretazioni spesso discordanti. Il filosofo ebbe un ruolo rilevante nel fornire una giustificazione ideologica allo «Stato Totalitario» e nel definirne le linee della politica «culturale e scolastica». Come organizzatore di iniziative culturali (Enciclopedia Italiana), Gentile mostrò, tuttavia, una certa apertura e liberalità. Dopo il 25 luglio 1943 il filosofo si lasciò convincere a prendere posizione e ad operare a favore della repubblica fascista di Salò: un impegno che avrebbe pagato con la vita.
I rapporti tra Gentile e il regime fascista sono stati oggetto di molte discussioni, polemiche e interpretazioni spesso discordanti. Il filosofo ebbe un ruolo rilevante nel fornire una giustificazione ideologica allo «Stato Totalitario» e nel definirne le linee della politica «culturale e scolastica». Come organizzatore di iniziative culturali (Enciclopedia Italiana), Gentile mostrò, tuttavia, una certa apertura e liberalità. Dopo il 25 luglio 1943 il filosofo si lasciò convincere a prendere posizione e ad operare a favore della repubblica fascista di Salò: un impegno che avrebbe pagato con la vita.
Il Fascismo volle essere un
«Ordinamento Assoluto» capace di resistere all'azione demolitrice della
storia. L' illusione di ogni Assolutismo. Ma nell' Enciclopedia Italiana
Mussolini scriveva di non avere avuto all'inizio nessuno specifico piano
dottrinale e che la sua era la dottrina dell'«Azione»: il Fascismo nacque da un
bisogno di «Azione» e fu «Azione». Ora, i piani dottrinali prescrivono le norme
dell' «Azione» e quindi mirano a dominarla. Tendono a dar vita a «Ordinamenti Assoluti».
L' «Azione», invece, e' cambiamento, tanto più incisivo quanto più la realtà da
cambiare e' il prodotto di un piano dottrinale e quanto più quest'ultimo
pretende di essere un «Ordinamento Assoluto» e inoltrepassabile.
L' «Azione del Fascismo» che,
come tale, doveva essere il rovesciamento di ogni piano, ha finito così col
concepire se stessa come un piano, un «Ordinamento», un regime «Assoluto». Se il
regime fascista e' una forma di Assolutismo, il principio fondamentale della Filosofia
di Giovanni Gentile, l' «Attualismo», e' invece la negazione più radicale di
ogni Assolutismo. Con pochi altri, Gentile, e indubbiamente con Heidegger, il
cui rapporto col nazionalsocialismo e' profondamente simile a quello di Gentile
col Fascismo, si trova al culmine del processo lungo il quale la cultura
contemporanea, innanzi tutto quella filosofica, perviene alla distruzione di
ogni «Assoluto». Il rifiuto di ogni «Assoluto» e' il tratto più
caratteristico della cultura contemporanea. L'«Assoluto» e' ciò che si ritiene sciolto
da ogni dipendenza dal divenire del mondo. La Filosofia contemporanea, nella
sua essenza, afferma che il divenire ha la capacità di travolgere ogni «Assoluto».
In ogni campo: Sociale, Morale, Religioso, Economico, Politico e Giuridico, Artistico,
Scientifico, Filosofico.
Tutta la
cultura laica antifascista e' profondamente imbevuta di questo spirito
anti assolutistico. Anche e soprattutto in Italia ogni forma di laicismo
antifascista dovrebbe rendersi conto di avere le proprie radici più profonde ed
autentiche nel principio essenziale della Filosofia di Gentile. La mia dottrina
era la dottrina dell' «Azione», scriveva Benito Mussolini. Ma e' stato Gentile
a dire al Fascismo come dovesse intendere l'«Azione».
Sul piano pratico, Gentile e' stato poco ascoltato, ma su
quello teorico non e' stato lui a essere fascista, ma e' stato il Fascismo a
tentare, fallendo, di essere gentiliano. Gentile dice al Fascismo che, nella
sua essenza, l' «Azione» e' l'atto dello «Spirito». L' atto, soltanto nel quale
il divenire del mondo e' reale. L' «Azione» autentica e' l'atto del pensiero
umano, che come la luce del giorno apre lo spazio all'interno del quale si
producono tutte le opere e tutti gli eventi, e che dunque non ha nulla a che
vedere col pensiero che la Scienza assume come oggetto di indagine.
E l'atto e' la Liberta' , il
processo in cui l' uomo si libera da ogni tirannia. Inevitabile, quindi, che
Gentile non attribuisse un valore «Assoluto» alle forme dogmatiche del Cristianesimo
e quindi all'insegnamento della Chiesa cattolica. Con i Patti Lateranensi
Mussolini tradì la riforma che Gentile, ministro della Pubblica Istruzione,
aveva realizzato nel 1923, introducendo l'insegnamento della Religione nelle
scuole elementari, ma solo in quelle, perché poi la scuola avrebbe dovuto far
maturare nei giovani la coscienza critica che si porta oltre la fase mitico
religiosa dell'educazione.
Mussolini
volle invece che l'educazione cattolica fosse estesa a tutta la scuola
media superiore. La forte reazione di Giovanni Gentile contribuì, forse in modo
determinante, a impedire che in quella occasione prendesse piede la proposta di
padre Agostino Gemelli di rendere cattolico tutto l'insegnamento della Filosofia
in Italia.
Ma intanto il Fascismo
non era più «Azione»: era diventato un sistema Assolutistico, nel cui
ordinamento rientrava anche la riaffermazione della Religione cattolica come
sola Religione dello Stato (articolo 1 del Trattato col Vaticano). Gentile si
e' legato al Fascismo perché ha creduto di vedere in esso lo strumento più idoneo
per rispondere alle tendenze e ai bisogni degli individui, secondo i loro
effettivi interessi. Che non sono quelli dell'individualismo illuministico, ma
quelli in cui la vita dell'individuo non rimane separata, ma si unisce alla
vita dello «Spirito».
Un esperimento,
per Gentile, il Fascismo, i cui sforzi di liberare l'individuo nel
divenire dello «Spirito» non sarebbero andati perduti, per Gentile, ma che
intanto si presentavano a lui viziati nelle forme provvisorie di applicazione
dalle necessità transeunti del momento politico. Nell'esperimento in cui
restavano negate le Libertà della democrazia parlamentare, egli vedeva lo
strumento per spianare la strada alla Libertà autentica. Ma il Fascismo ha
posto il proprio centro proprio in quelle forme provvisorie e transeunti, che
sono rimaste attaccate al pensiero di Gentile e alla sua persona come al ramo
possono restare attaccate le foglie secche. Pensando forse alla propria
vicenda, così simile a quella di Gentile, Heidegger ha scritto che solo «chi pensa
con grandezza si trova costretto a errare grandemente».
Giovanni Gentile fu assassinato perché era la voce più
autorevole e convincente del Fascismo. Eppure la sua Filosofia è la negazione
più radicale di ciò che il Fascismo ha inteso essere. Non solo. Essa è tra le
forme più potenti , non è esagerato dire la più potente, del pensiero del
nostro tempo. Di tale potenza lo stesso Lenin si era accorto. Forse gli
assassini di Gentile non lo sapevano neppure.
Tanto meno lo sa la cultura filosofica oggi dominante, che
mai riconoscerebbe a un italiano un così alto rilievo. Non solo. Contrariamente
agli stereotipi che vedono in Gentile un avversario della scienza, l’«Attualismo»
gentiliano è l’autentica filosofia della civiltà della Tecnica: rende possibile
il dominio planetario della tecno-scienza, ancora frenato dai valori della
tradizione.
Va facendosi largo nel
mondo la convinzione che l’uomo non possa mai raggiungere una verità
assolutamente innegabile; che, prima o poi, ogni verità siffatta resti travolta
da altri modi di pensare, da altri costumi, cioè si trasformi, muoia: divenga .
Travolta, anche la certezza che esistano le cose che ci stanno attorno; essa è
innegabile solo fino a che esse non vanno distrutte: era innegabile solo
provvisoriamente. (Vedi Post Marzo 2014
Il Tramonto della Verità assoluta)
Esser
convinti dell’inesistenza di ogni «verità assoluta» è quindi, insieme,
esser convinti dell’inesistenza di ogni Essere «immutabile» ed «Eterno». «Dio è
morto», si dice (Vedi Post Marzo 2014 I Responsabili della morte di Dio). La negazione di ogni verità assoluta e innegabile non investe
dunque l’esistenza del divenire del mondo. Anzi, proprio perché si fa largo la
convinzione che il divenire di ogni cosa e di ogni stato sia assolutamente
innegabile (ed Eterno), proprio per questo è inevitabile che ci si convinca
dell’impossibilità di ogni altro innegabile e di ogni altro «Eterno». Gentile lo
mostra nel modo più rigoroso (mentre il Fascismo, come ogni assolutismo
politico, intendeva essere la configurazione inamovibile dello Stato).
Che Il dolore, l’agonia, la morte
dell’uomo (e il perire dei viventi e delle cose) sia un «fatto»
significa che se ne fa esperienza. Ma chi crede che la morte sia un andare nel
«nulla» non crede (è impossibile che creda) che l’uomo vada nel «nulla» ma,
insieme, continui ad essere un «fatto» che appartiene al contenuto
dell’esperienza: gli appartenga nello stesso modo in cui gli apparteneva prima
di annientarsi. Nell’esperienza rimane il ricordo di coloro che sono andati nel
«nulla», e il ricordo è un «fatto»; ma non rimane il «fatto» in cui consisteva
il loro esser vivi, non si fa più esperienza del loro esser stati vivi. Chi, dunque, crede che la morte
sia annientamento crede che, pur avendo avuto esperienza dell’agonia e del
cadavere, ciò che è diventato «niente» sia diventato anche qualcosa che non
appartiene più all’esperienza, che non è un «fatto». Ma allora è impossibile
che l’esperienza mostri che sorte abbia avuto ciò che è uscito dall’esperienza,
e quindi mostri che esso è diventato «niente» . Di questa sorte l’esperienza
non può che tacere. Cioè l’annientamento non può essere un «fatto». (E se il
cadavere viene bruciato e, come si dice, «diventa cenere»; allora anch’esso,
come tutta la vita passata di chi è morto, esce dall’esperienza, anche se ne
rimane il ricordo. Daccapo: che esso, diventando cenere, sia diventato «niente»
non può essere l’esperienza ad attestarlo) (Vedi anche Post Gennaio 2015 Senso del Tutto e problema del Nulla).
Ci si convince dunque che la morte è annientamento non sulla
base dell’esperienza, ma sulla base di teorie più o meno consistenti.
All’inizio i vivi si fermano atterriti di fronte alle configurazioni orrende
della morte dei loro simili e restano colpiti dalla loro assenza; i morti non
ritornano, vivi, come invece il sole torna a risplendere al mattino. Anche su
questa base, quando si fa avanti la riflessione filosofica sul «nulla», si
pensa che ciò che non ritorna sia diventato «niente» e si crede di
sperimentarne l’annientamento.
Gentile sta al culmine di tale fede e, con la propria «Teoria generale dello Spirito», dimostra nel modo più radicale l’impossibilità di ogni realtà esterna all’esperienza, sì che l’uscire dall’esperienza è per ciò stesso l’andare nel «niente». Ma, appunto, si tratta di una dimostrazione, di una «Teoria», non della constatazione di un «fatto».
Gentile sta al culmine di tale fede e, con la propria «Teoria generale dello Spirito», dimostra nel modo più radicale l’impossibilità di ogni realtà esterna all’esperienza, sì che l’uscire dall’esperienza è per ciò stesso l’andare nel «niente». Ma, appunto, si tratta di una dimostrazione, di una «Teoria», non della constatazione di un «fatto».
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