Originatosi nel solco della cosiddetta «sinistra hegeliana», il pensiero di Ludwig Feuerbach – muovendo da una
serrata critica del sistema di Hegel (di cui denuncia l’astrattezza e il
formalismo) – approda, nelle opere più mature, a conclusioni ispirate da un
radicale realismo empirico e, in particolare, da un integrale umanesimo
materialistico. La sua celebre teoria dell’«Alienazione Religiosa» (l’uomo
attribuisce, oggettivandoli, ad un essere altro certe istanze e aspirazioni
alla perfezione e all’assoluto che sono
presenti in lui medesimo) costituirà una base importante per l’analisi di altri
tipi di «Alienazione» in campo politico ed economico, influenzando il percorso
filosofico del giovane Marx.
All’inizio
della sua riflessione protesta contro la velleità della «persona» di
mantenersi contro lo «spirito»: ciò sarebbe una prova della vanità della
coscienza contemporanea, incapace di dissolversi in Dio e nell’amore
dell’intero, di accettare la morte come il sigillo della propria finitezza. La
polemica contro la «persona» apre così la strada ad una critica della Religione
nel suo significato di «strumento di salvezza» per l’uomo, critica che investe
immediatamente anche gli attributi di Dio. E’ lo svuotamento del concetto di
Dio che porta Feuerbach a respingere ogni conciliazione tra Filosofia e
Dogmatica ed a porsi il problema della genesi del concetto di Dio, che egli
vede nella «esaltata soggettività» dei cristiani, i quali, dopo avere alienato
in Dio la loro «essenza umana», vogliono da lui riottenerla: «L’uomo nega se stesso,
ma soltanto per tornare a porsi, e in un aspetto tanto più glorioso; quanto più
egli si umilia, tanto più ascende agli occhi di Dio». E ancora: «L’uomo oggettiva a sé
la propria essenza, e poi torna a rendere se stesso oggetto di questa essenza
oggettivata, trasmutata in un soggetto».
Che un uomo faccia certe cose
dipende dalla sua «Volontà» di farle. E, questo, il principio in base al quale
Aristotele rifiuta il fatalismo. Ma che l'uomo voglia fare certe cose dipende
daccapo dalla sua «Volontà». Nella Filosofia classica tedesca già Kant aveva
risposto negativamente: la «Libertà del volere» e' sì qualcosa in cui chi
agisce moralmente deve credere, ma non e' una Verità che possa essere
conosciuta dalla ragione umana. In Schopenhauer, poi, la risposta negativa di
Kant abbandona ogni riserva. E appunto alla posizione di Schopenhauer si rifà ,
nonostante tutto, l' ultimo Feuerbach, nel suo scritto Spiritualismo e
Materialismo (1866). «Certamente io posso uccidermi quando voglio uccidermi; ma
che io lo voglia non dipende dal puro volere, non rientra nella mia libertà. Io
posso volere la morte solo quando essa e' per me una necessità, in quanto non
voglio, per la vita (cioè per il semplice rimanere in vita), sacrificare tutto
ciò che a mio giudizio rende la vita veramente vita».
Jacobi, Fichte, Hegel e molti altri vedono nel «suicidio» la
prova della «Libertà del volere», ossia, come dice Hegel, la possibilità che io mi liberi da tutto,
rinunci a ogni scopo, astragga da tutto, perfino dalla vita. Feuerbach ribatte
che l'istinto di conservazione dell'uomo non e' sfrenato e senza limiti e d'altra
parte l'uomo vuole la propria felicità, vi si identifica al punto che non può
rinunciare a essa senza rinunciare a se stesso. Quando se ne sente estromesso
si uccide. Ma questo significa, per Feuerbach, che il «suicidio» e' così poco
una prova della «Libertà», cioè della capacità di astrarre da tutto, che anzi
dimostra il contrario. Sarebbe libero chi, astraendo da tutto, continuasse a
esistere; non e' libero chi e' così legato alla propria felicità da non poter
continuare a esistere senza di essa.
La
cultura filosofico scientifica contemporanea ha messo sempre più in
discussione l' esistenza di leggi e cause che determinino necessariamente la
natura e quindi anche le scelte dell' uomo. Non solo ci si deve chiedere, con
Feuerbach, se e' proprio vero che dipenda dal «Puro Volere» il fatto che l'uomo
voglia questo o quello; ma ci si deve anche chiedere se e' proprio vero che l'uomo
riesca a ottenere ciò che vuole, e cioè che egli sia una causa che quando
agisce produce necessariamente certe conseguenze. E comunque difficile separare
la «Libertà» dal «Caso». Per i difensori della «Libertà» l' uomo agisce in base
a certe motivazioni, quindi non arbitrariamente e non casualmente.
Tuttavia l' uomo e' libero solo
se, anche di fronte alle motivazioni più imponenti e consistenti, che lo
spingono a una certa scelta, egli sceglie diversamente. E la «Volontà» stessa,
si dice, a dar peso alle motivazioni della sua scelta; ma se essa e' «Libera»,
questo suo dar peso non può più agire sotto il peso di alcuna motivazione. La
sua scelta e' senza perché . E il «Caso» non e' appunto l' assenza di ogni
perché?
Nessun commento:
Posta un commento