sabato 14 febbraio 2015

FEUERBACH


Originatosi nel solco della cosiddetta «sinistra hegeliana», il pensiero di Ludwig Feuerbach – muovendo da una serrata critica del sistema di Hegel (di cui denuncia l’astrattezza e il formalismo) – approda, nelle opere più mature, a conclusioni ispirate da un radicale realismo empirico e, in particolare, da un integrale umanesimo materialistico. La sua celebre teoria dell’«Alienazione Religiosa» (l’uomo attribuisce, oggettivandoli, ad un essere altro certe istanze e aspirazioni alla perfezione e all’assoluto  che sono presenti in lui medesimo) costituirà una base importante per l’analisi di altri tipi di «Alienazione» in campo politico ed economico, influenzando il percorso filosofico del giovane Marx. 
All’inizio della sua riflessione protesta contro la velleità della «persona» di mantenersi contro lo «spirito»: ciò sarebbe una prova della vanità della coscienza contemporanea, incapace di dissolversi in Dio e nell’amore dell’intero, di accettare la morte come il sigillo della propria finitezza. La polemica contro la «persona» apre così la strada ad una critica della Religione nel suo significato di «strumento di salvezza» per l’uomo, critica che investe immediatamente anche gli attributi di Dio. E’ lo svuotamento del concetto di Dio che porta Feuerbach a respingere ogni conciliazione tra Filosofia e Dogmatica ed a porsi il problema della genesi del concetto di Dio, che egli vede nella «esaltata soggettività» dei cristiani, i quali, dopo avere alienato in Dio la loro «essenza umana», vogliono da lui riottenerla: «L’uomo nega se stesso, ma soltanto per tornare a porsi, e in un aspetto tanto più glorioso; quanto più egli si umilia, tanto più ascende agli occhi di Dio». E ancora: «L’uomo oggettiva a sé la propria essenza, e poi torna a rendere se stesso oggetto di questa essenza oggettivata, trasmutata in un soggetto». 
Che un uomo faccia certe cose dipende dalla sua «Volontà» di farle. E, questo, il principio in base al quale Aristotele rifiuta il fatalismo. Ma che l'uomo voglia fare certe cose dipende daccapo dalla sua «Volontà». Nella Filosofia classica tedesca già Kant aveva risposto negativamente: la «Libertà del volere» e' sì qualcosa in cui chi agisce moralmente deve credere, ma non e' una Verità che possa essere conosciuta dalla ragione umana. In Schopenhauer, poi, la risposta negativa di Kant abbandona ogni riserva. E appunto alla posizione di Schopenhauer si rifà , nonostante tutto, l' ultimo Feuerbach, nel suo scritto Spiritualismo e Materialismo (1866). «Certamente io posso uccidermi quando voglio uccidermi; ma che io lo voglia non dipende dal puro volere, non rientra nella mia libertà. Io posso volere la morte solo quando essa e' per me una necessità, in quanto non voglio, per la vita (cioè per il semplice rimanere in vita), sacrificare tutto ciò che a mio giudizio rende la vita veramente vita». 
Jacobi, Fichte, Hegel e molti altri vedono nel «suicidio» la prova della «Libertà del volere», ossia, come dice Hegel, la possibilità che io mi liberi da tutto, rinunci a ogni scopo, astragga da tutto, perfino dalla vita. Feuerbach ribatte che l'istinto di conservazione dell'uomo non e' sfrenato e senza limiti e d'altra parte l'uomo vuole la propria felicità, vi si identifica al punto che non può rinunciare a essa senza rinunciare a se stesso. Quando se ne sente estromesso si uccide. Ma questo significa, per Feuerbach, che il «suicidio» e' così poco una prova della «Libertà», cioè della capacità di astrarre da tutto, che anzi dimostra il contrario. Sarebbe libero chi, astraendo da tutto, continuasse a esistere; non e' libero chi e' così legato alla propria felicità da non poter continuare a esistere senza di essa. 
La cultura filosofico scientifica contemporanea ha messo sempre più in discussione l' esistenza di leggi e cause che determinino necessariamente la natura e quindi anche le scelte dell' uomo. Non solo ci si deve chiedere, con Feuerbach, se e' proprio vero che dipenda dal «Puro Volere» il fatto che l'uomo voglia questo o quello; ma ci si deve anche chiedere se e' proprio vero che l'uomo riesca a ottenere ciò che vuole, e cioè che egli sia una causa che quando agisce produce necessariamente certe conseguenze. E comunque difficile separare la «Libertà» dal «Caso». Per i difensori della «Libertà» l' uomo agisce in base a certe motivazioni, quindi non arbitrariamente e non casualmente. 
Tuttavia l' uomo e' libero solo se, anche di fronte alle motivazioni più imponenti e consistenti, che lo spingono a una certa scelta, egli sceglie diversamente. E la «Volontà» stessa, si dice, a dar peso alle motivazioni della sua scelta; ma se essa e' «Libera», questo suo dar peso non può più agire sotto il peso di alcuna motivazione. La sua scelta e' senza perché . E il «Caso» non e' appunto l' assenza di ogni perché? 

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