venerdì 5 dicembre 2014

PENSIERO E LINGUAGGIO


Proprio perché afferma l' inseparabilità di «Pensiero» e «Linguaggio», la Filosofia contemporanea e' spinta ad attribuire al «Linguaggio» i caratteri che la Filosofia moderna, da Cartesio a Hegel, ha attribuito al «Pensiero». Heidegger scrive che dappertutto ci si fa incontro il «Linguaggio». La grande scoperta di Cartesio e' che dappertutto ci si fa incontro il «Pensiero», giacché il «Pensiero» e' tutte le cose, in quanto sono in noi, accadono in noi e in noi vi e' coscienza di esse. Quel che dappertutto ci viene incontro, anche il dolore, il piacere, le cose sensibili, sono cioè «Idee». 
Aristotele non lo avrebbe mai detto, perché per lui quel che dappertutto incontriamo sono «Cose», «Enti». La casa, l' albero, il monte sono «Cose»; e le nostre «Idee», per Aristotele, sono la via lungo la quale le «Cose» ci vengono incontro. 
Ma Cartesio scopre che l' albero, il monte e tutte le «Cose» di cui abbiamo coscienza sono appunto qualcosa di «Pensato», di «Conosciuto», e quindi non possono essere le «Cose» reali che esistono indipendentemente dal «Pensiero». Alberi, monti e tutto il resto sono cioè soltanto «Idee» (sì che l' Idea non e' più ciò mediante cui si conosce, ma e' ciò che si conosce). Da qui prende inizio il grande sviluppo del Pensiero moderno, che conduce a Kant e poi all'Idealismo. 
Il rifiuto della separazione di «Pensiero» e «Linguaggio» e' continuamente ribadito dalla Filosofia contemporanea. Ma nella Filosofia contemporanea la fondazione di tale rifiuto tende a restare in ombra. Cioè l' inseparabilità di «Pensiero» e «Linguaggio» può essere mostrata con una radicalità superiore a quella messa in atto dalla stessa Filosofia che oggi pone il «Linguaggio» al centro dell'attenzione. La Necessità non resta cioè travolta dal divenire del «Linguaggio», a differenza di quanto afferma la Filosofia contemporanea. 
Proviamo dunque, volgendoci al «Linguaggio», a non dimenticare Cartesio e quel che ne e' seguito. La separazione di «Realtà» e «Linguaggio» (sostenuta dall' intera tradizione filosofica) sembra la cosa più evidente del mondo. Le «Cose» non sono le parole con cui le indichiamo. Per il «Pensiero» pre-moderno e' altrettanto evidente che le «Cose» non sono le «idee» con cui le pensiamo. Ma poi, si e' visto, Cartesio scorge che queste «Cose» sono «Idee». Ebbene, per quanto possa sembrare strano e assurdo, si tratta di rendersi conto che tutte le «Cose» che ci vengono incontro sono «Parole». 
Ma come e' possibile dir questo? Questa casa non sta forse qui davanti in tutta la sua massiccia consistenza, e quindi come qualcosa di ben diverso da una semplice «parola»? Si , certamente. Eppure noi comprendiamo di aver a che fare con questa consistenza massiccia della casa , comprendiamo di aver a che fare con una casa , solo se quanto ci sta dinanzi si presenta come casa, cioè come un significato che appare all' interno di una «Parola» ben determinata, una «Parola» della lingua italiana: la «Parola» casa. Se facciamo a meno di questa «Parola», quanto ci sta dinanzi non e' più una casa, ma qualcosa d' altro , che però può venirci incontro e farsi comprendere solo presentandosi a sua volta all'interno di un'altra «Parola». Certo, la casa non viene sempre incontro come casa, ma, presso i Greci antichi, come «Oikia», e ai Latini come «Domus», e come «Haus» e «Maison» per Tedeschi e Francesi; ma, sempre, la massiccia consistenza della casa si fa incontro nella luce di una «Parola», e' una «Parola». 
Se si ritiene che la Realtà non sia fatta di «Parole», si dovrà dire allora che la Realtà vera , il vero «Essere», e' indicibile, inesprimibile, ineffabile. In modi diversi, Schlick, Wittgenstein, Heidegger sono giunti ad affermarlo. Ma come l'affermazione che la «Cosa» si identifica alla «Parola» ripete, sul piano del «Linguaggio», l' affermazione cartesiana che la «Cosa» e' «Idea», così l' affermazione che la «Cosa» e' indicibile ripete, su quel piano, la tesi kantiana che la «Cosa» in sé , cioè come distinta dalle nostre «Idee» (o fenomeni), e' inconoscibile. 
L' idealismo, poi, si e' reso conto che anche la «Cosa» in sé  e' pur sempre qualcosa di conosciuto, di pensato, e che dunque non se ne sta chiusa in sé al di là del «Pensiero». Non esiste Nulla al di là del «Pensiero», e quindi ciò che il «Pensiero» Pensa non e' più una semplice Idea o immagine della Realtà vera, ma e' esso stesso la Realtà vera e propria, la «Cosa» in sé. 
Ma non accade lo stesso per il «Linguaggio»? In relazione alla tesi di Wittgenstein e Heidegger che l' «Essere» e' indicibile, ci si deve render conto che l' indicibile e' pur sempre qualcosa di detto e che dunque non può costituirsi al di là del «Linguaggio»: così come l' idealismo aveva visto che la «Cosa» non può costituirsi al di là del «Pensiero». Il «Linguaggio» non può essere oltrepassato, perché non e' più semplice «Parola», ma e' l' «Essere» stesso.

La Filosofia contemporanea tende a questo risultato. Ma nel carattere storico del «Linguaggio» essa vede il segno inequivocabile del «Divenire» al quale l' «Essere» e l' uomo sarebbero definitivamente consegnati. Ma e' così indiscutibile che il «Linguaggio» dica solo «Cose» che vengono da esso continuamente trasformate, prodotte dal «Nulla» e risospinte nel «Nulla»? Che l' «Essere» sia «Divenire» e' la Fede fondamentale dell'Occidente (Vedi Post Marzo 2014 Il Divenire evidenza suprema e Post Maggio 2014 la Fede nel Divenire)  e dunque anche della riflessione contemporanea sul «Linguaggio», che identifica l' «Essere» e il «Linguaggio». Mettere in discussione questa Fede significa dunque mettere in discussione il modo in cui il «linguaggio» e' inteso dalla Filosofia contemporanea. Solo scendendo nel cuore più profondo del «Linguaggio» dell'Occidente e' possibile stare oltre il «Linguaggio».

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