Proprio perché afferma l' inseparabilità di «Pensiero» e «Linguaggio», la Filosofia
contemporanea e' spinta ad attribuire al «Linguaggio» i caratteri che la Filosofia
moderna, da Cartesio a Hegel, ha attribuito al «Pensiero». Heidegger scrive che
dappertutto ci si fa incontro il «Linguaggio». La grande scoperta di Cartesio
e' che dappertutto ci si fa incontro il «Pensiero», giacché il «Pensiero» e'
tutte le cose, in quanto sono in noi, accadono in noi e in noi vi e' coscienza
di esse. Quel che dappertutto ci viene incontro, anche il dolore, il piacere,
le cose sensibili, sono cioè «Idee».
Aristotele
non lo avrebbe mai detto, perché per lui quel che dappertutto incontriamo sono «Cose»,
«Enti». La casa, l' albero, il monte sono «Cose»; e le nostre «Idee», per
Aristotele, sono la via lungo la quale le «Cose» ci vengono incontro.
Ma Cartesio scopre che l'
albero, il monte e tutte le «Cose» di cui abbiamo coscienza sono appunto
qualcosa di «Pensato», di «Conosciuto», e quindi non possono essere le «Cose»
reali che esistono indipendentemente dal «Pensiero». Alberi, monti e tutto il
resto sono cioè soltanto «Idee» (sì che l' Idea non e' più ciò mediante cui si
conosce, ma e' ciò che si conosce). Da qui prende inizio il grande sviluppo del
Pensiero moderno, che conduce a Kant e poi all'Idealismo.
Il rifiuto della separazione di «Pensiero» e «Linguaggio» e'
continuamente ribadito dalla Filosofia contemporanea. Ma nella Filosofia
contemporanea la fondazione di tale rifiuto tende a restare in ombra. Cioè l'
inseparabilità di «Pensiero» e «Linguaggio» può essere mostrata con una
radicalità superiore a quella messa in atto dalla stessa Filosofia che oggi
pone il «Linguaggio» al centro dell'attenzione. La Necessità non resta cioè travolta
dal divenire del «Linguaggio», a differenza di quanto afferma la Filosofia
contemporanea.
Proviamo dunque,
volgendoci al «Linguaggio», a non dimenticare Cartesio e quel che ne e' seguito.
La separazione di «Realtà» e «Linguaggio» (sostenuta dall' intera tradizione
filosofica) sembra la cosa più evidente del mondo. Le «Cose» non sono le parole
con cui le indichiamo. Per il «Pensiero» pre-moderno e' altrettanto evidente
che le «Cose» non sono le «idee» con cui le pensiamo. Ma poi, si e' visto,
Cartesio scorge che queste «Cose» sono «Idee». Ebbene, per quanto possa
sembrare strano e assurdo, si tratta di rendersi conto che tutte le «Cose» che
ci vengono incontro sono «Parole».
Ma
come e' possibile dir questo? Questa casa non sta forse qui davanti in
tutta la sua massiccia consistenza, e quindi come qualcosa di ben diverso da
una semplice «parola»? Si , certamente. Eppure noi comprendiamo di aver a che
fare con questa consistenza massiccia della casa , comprendiamo di aver a che
fare con una casa , solo se quanto ci sta dinanzi si presenta come casa, cioè
come un significato che appare all' interno di una «Parola» ben determinata,
una «Parola» della lingua italiana: la «Parola» casa. Se facciamo a meno di
questa «Parola», quanto ci sta dinanzi non e' più una casa, ma qualcosa d'
altro , che però può venirci incontro e farsi comprendere solo presentandosi a
sua volta all'interno di un'altra «Parola». Certo, la casa non viene sempre incontro
come casa, ma, presso i Greci antichi, come «Oikia», e ai Latini come «Domus»,
e come «Haus» e «Maison» per Tedeschi e Francesi; ma, sempre, la massiccia
consistenza della casa si fa incontro nella luce di una «Parola», e' una «Parola».
Se si ritiene che la Realtà
non sia fatta di «Parole», si dovrà dire allora che la Realtà vera , il vero «Essere», e' indicibile, inesprimibile, ineffabile. In modi diversi, Schlick,
Wittgenstein, Heidegger sono giunti ad affermarlo. Ma come l'affermazione che
la «Cosa» si identifica alla «Parola» ripete, sul piano del «Linguaggio», l'
affermazione cartesiana che la «Cosa» e' «Idea», così l' affermazione che la «Cosa»
e' indicibile ripete, su quel piano, la tesi kantiana che la «Cosa» in sé ,
cioè come distinta dalle nostre «Idee» (o fenomeni), e' inconoscibile.
L' idealismo, poi, si e' reso
conto che anche la «Cosa» in sé e' pur
sempre qualcosa di conosciuto, di pensato, e che dunque non se ne sta chiusa in
sé al di là del «Pensiero». Non esiste Nulla al di là del «Pensiero», e quindi
ciò che il «Pensiero» Pensa non e' più una semplice Idea o immagine della
Realtà vera, ma e' esso stesso la Realtà vera e propria, la «Cosa» in sé.
Ma non accade lo stesso per il «Linguaggio»? In relazione alla tesi di Wittgenstein
e Heidegger che l' «Essere» e' indicibile, ci si deve render conto che l'
indicibile e' pur sempre qualcosa di detto e che dunque non può costituirsi al
di là del «Linguaggio»: così come l' idealismo aveva visto che la «Cosa» non
può costituirsi al di là del «Pensiero». Il «Linguaggio» non può essere
oltrepassato, perché non e' più semplice «Parola», ma e' l' «Essere» stesso.
La Filosofia contemporanea tende a questo risultato. Ma nel carattere storico
del «Linguaggio» essa vede il segno inequivocabile del «Divenire» al quale l' «Essere»
e l' uomo sarebbero definitivamente consegnati. Ma e' così indiscutibile che il
«Linguaggio» dica solo «Cose» che vengono da esso continuamente trasformate,
prodotte dal «Nulla» e risospinte nel «Nulla»? Che l' «Essere» sia «Divenire»
e' la Fede fondamentale dell'Occidente (Vedi Post Marzo 2014 Il Divenire evidenza suprema e Post Maggio 2014 la Fede nel Divenire) e dunque anche della riflessione
contemporanea sul «Linguaggio», che identifica l' «Essere» e il «Linguaggio».
Mettere in discussione questa Fede significa dunque mettere in discussione il
modo in cui il «linguaggio» e' inteso dalla Filosofia contemporanea. Solo
scendendo nel cuore più profondo del «Linguaggio» dell'Occidente e' possibile
stare oltre il «Linguaggio».
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