martedì 30 dicembre 2014

L'AMICIZIA, SECONDO ARISTOTELE


Quante volte ci è capitato di sentirci traditi da quelli che pensavamo fossero nostri amici? Quante volte abbiamo investito sentimenti ed energie in un rapporto che poi si è rivelato avere un peso ben diverso per l’altra persona? Più spesso di quanto si creda, nelle opere dei filosofi antichi vengono prese in considerazione tematiche che si rivelano fortemente attuali e, nonostante la distanza temporale, le «lucide analisi e i consigli» di questi pensatori sono più che mai moderni ed applicabili nella nostra vita. E’ il caso di Aristotele, che affronta il tema dell’ «Amicizia» nell’ambito di una serie di riflessioni sull’«etica» e sulla «politica», a riprova del fatto che nell’antichità l’«Amicizia» veniva considerata come fonte di arricchimento personale e come bene per l’intera comunità, tanto che il filosofo afferma che anche l’uomo felice ha bisogno di amici: sembra assurdo attribuire all’uomo felice tutti i beni e non attribuirgli gli amici, il che è ritenuto generalmente il più grande dei beni esteriori.

Aristotele classifica minuziosamente le «forme» di amicizia, i motivi che portano al «crearsi» di nuove amicizie e quelli che ne determinano la «rottura». La prima forma di amicizia tra due persone è quella che nasce a causa dell’«utilità», che porta a ricercare la compagnia dell’altro in quanto questi ci permette di raggiungere un determinato fine; la seconda è quella che nasce a causa del «piacere», per cui la compagnia dell’altro ci è gradevole; la terza, quella che si fonda sulla «bontà», è definita come amicizia perfetta, poiché in questo caso due persone si amano per se stesse, per il loro intrinseco valore morale.

Nei primi due casi, Aristotele parla di «Amicizia accidentale», poiché la piacevolezza e l’utilità del rapporto ne rappresentano «qualità temporanee e mutevoli». Dunque , coloro che amano a causa dell’ «utile», amano a causa di quello che è bene per loro, e quelli che amano per il «piacere» lo fanno per ciò che è piacevole per loro, e non in quanto l’amato è quello che è, ma in quanto è utile o piacevole. Per conseguenza queste amicizie sono «accidentali». Per conseguenza le amicizie di tale natura si dissolvono facilmente. Al contrario se l’«Amicizia» si fonda sulla «bontà», allora il rapporto sarà durevole e profondo. L’«Amicizia» perfetta, invece, è l’amicizia degli uomini buoni e simili per virtù: costoro, infatti, vogliono il bene dell’altro, in modo simile in quanto sono buoni, ed essi sono buoni per se stessi. Coloro che vogliono il bene degli amici per loro stessi sono i più grandi amici.

Parole come queste ci inducono a riflettere sui legami che abbiamo attualmente. Prima di tutto per prendere coscienza di quelle persone che possiamo realmente definire nostri amici e chiederci se ci stiamo comportando correttamente, coltivando l’amicizia verso di loro come una virtù, assumendoci la responsabilità di mostrare loro dove sbagliano e cercando noi stessi per primi di trarre dai loro pregi nuovi stimoli per migliorarci.

Essere amici non significa far credere all’altro che abbia sempre ragione, ma cercare insieme di prendere atto dei propri limiti e dei propri sbagli per evitare, se possibile, di ripeterli in futuro!


Viceversa dobbiamo anche prepararci ad affrontare eventuali allontanamenti da parte di persone con cui abbiamo condiviso un certo tratto della nostra vita, ma con le quali eravamo legati solo dalla piacevolezza della loro compagnia, magari dalle uscite del fine settimana, ma con cui non abbiamo intrapreso un percorso di evoluzione intellettuale o spirituale.

Ancora una volta Aristotele ci viene in aiuto. Innanzitutto ricorda che l’«Amicizia» implica la consapevolezza del tipo di rapporto da parte di entrambi i membri e spesso è proprio una mancanza di chiarezza circa i motivi che ci legano all’altra persona che può dar luogo a fraintendimenti e delusioni; quindi ci fa riflettere sul fatto che le vere amicizie, quelle perfette, si possono coltivare solo con un «ristretto numero di persone», con le quali instaurare un legame autentico e profondo, che implica anche lo stimolarsi e il crescere insieme: si ritiene poi che diventino anche migliori col mettere in atto l’«Amicizia», cioè correggendosi a vicenda.

Proprio per questo il filosofo afferma che la vera amicizia possa essere rotta solo se le due persone arrivano a livelli di maturazione molti diversi, per cui risulta difficile mantenere una comunanza di intenti e favorire la crescita reciproca. D’altra parte è dovere del «buon amico», nel rispetto dell’amicizia stessa, fare ogni sforzo per aiutare l’altro nel suo percorso evolutivo. Non così negli altri due casi, poiché se l’amico non è più in grado di offrire «utilità o piaceri», causa dell’«Amicizia» stessa, questa sarà destinata a finire naturalmente.

All'amicizia sono interamente dedicati «l'ottavo e il nono libro dell'Etica Nicomachea», uno dei capolavori di Aristotele. Il filosofo la considera «non solo necessaria, ma anche bella», al punto che «nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se fosse provvisto in abbondanza di tutti gli altri beni». L'amicizia, che è «una virtù» o s'accompagna alla «virtù», è dunque indispensabile in ogni fase della vita umana. Ma, mentre l'amicizia fondata sul «piacere» e sulla «convenienza» inevitabilmente finisce, quella fondata sulla «virtù» è destinata a durare e i suoi effetti benefici si fanno sentire anche nella comunità politica, il cui solo scopo è il «Bene comune».





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