Il Futuro della Filosofia non può
quindi essere pensato indipendentemente dal futuro della Civiltà della Tecnica.
Scienza e Tecnica si accingono a risolvere tutti i problemi che sinora hanno
angosciato l’esistenza dell’uomo. Gli ostacoli maggiori non sono di natura
Scientifico-Tecnologica, ma «Ideologica», legati cioè alla tradizione
Metafisico-Teologico-Epistemica dell’Occidente. L’efficacia della Scienza è
ridotta dalla circostanza che essa è oggi amministrata da due forze ideologiche
contrastanti, il Mondo Capitalista (USA) e quello Comunista (URSS) (Vedi pubbl. Dicembre 2013) e altre forze della tradizione Occidentale,
come il Cristianesimo, tentano, con sempre minori possibilità di successo, di
mettersi alla guida della «Potenza» sviluppata dalla Scienza.
Ma se le forze ideologiche
intendono assegnare dall’esterno i propri scopi all’«Apparato
Scientifico-Tecnologico», e cioè servirsi di esso per realizzarli, d’altra
parte esso mira di per se stesso a uno scopo supremo: l’incremento indefinito
della propria «Potenza». E poiché le ideologie antagoniste non possono restare
indifferenti di fronte a tale incremento, è inevitabile che gli scopi delle
ideologie finiscano per essere subordinati allo scopo intrinseco di tale
«Apparato»: l’indefinito aumento della «Potenza».
In
un Mondo sempre più affamato, dove i «Paesi poveri» premono su quelli «ricchi»,
cioè sia sul Mondo Capitalista (USA), sia su quello Comunista (URSS), per
impadronirsi delle fonti del «potere» e della «ricchezza», è molto più
probabile che i ricchi, prima di «Distruggersi» a vicenda, salvaguardino i
propri privilegi scaricando sui «Paesi poveri» il loro «potenziale distruttivo».
Anche la previsione che il sistema economico mondiale, e quindi L’«Apparato
Scientifico-Tecnologico», sostanzialmente integrato a tale sistema, giungerà al
«collasso» entro pochi decenni per l’«Incremento Demografico», il «Consumo
delle Risorse» e, l’«Inquinamento» (Vedi
pubbl. Marzo-Aprile 2013 Entropia, Inquinamento), non tiene conto della
circostanza che gli attuali amministratori della «Potenza Planetaria» hanno la
capacità di intervenire prima dell’approssimarsi del punto di «collasso»,
scaricando sui non privilegiati le conseguenze negative della terapia.
Ma una volta che, sia per questa
terapia, sia per il reperimento di forme alternative di energia, di sistemi di
disinquinamento planetario e di riduzione del tasso di crescita demografico,
non fosse più minacciata la sopravvivenza dell’«Apparato Scientifico-Tecnologico»,
esso avrebbe finalmente via libera per soddisfare i bisogni dell’intera
umanità, «Materiali» e «Spirituali». Si intravede cioè la strada percorrendo la
quale la Scienza e la Tecnica possono realizzare sulla terra, dopo una lunga
storia di orrori, quel «Paradiso» che il Cristianesimo e altre forme di
religione pongono nell’«al di là».
Non
ci sono motivi per escludere che esse possono non solo liberare l’uomo
dai bisogni «Materiali» e allontanare sempre più l’incubo della morte, ma
abbiano anche la capacità di predisporre le condizioni che consentono all’uomo
di raffinare la propria sensibilità per la «Tolleranza», la «Gentilezza», la «Bellezza»,
l’«Amore», la «Felicità» e per ciò che sta sempre «al di là» di ogni orizzonte
raggiunto e intravisto.
La
trascendenza e la consapevolezza
che ogni limite è provvisorio appartengono all’essenza dell’«Apparato
Scientifico-Tecnologico», perché esso è «Volontà» di accrescere indefinitamente
la propria «Potenza», cioè di portarsi sempre oltre lo stato di volta in volta
raggiunto. La «disumanità», l’«aridità» e l’«ottusità» della Tecnica sono un pericolo
del presente, non del futuro «Paradiso» Scientifico, riguardano cioè una fase
storica in cui certi gruppi umani possono sopravvivere e mantenere i loro
privilegi a scapito di altri gruppi.
Il
«Paradiso» della Scienza può dunque soddisfare tutti i bisogni
dell’uomo, anche quello di inventare indefinitamente nuovi bisogni e di
oltrepassare tutti i modi in cui essi vengono soddisfatti. La felicità che esso
consente è la liberazione più radicale dall’angoscia e dal dolore. Tuttavia,
tuttavia proprio quando il «Paradiso» della Scienza potrà realizzarsi, si farà
innanzi e diventerà incombente una «privazione», tanto più angosciosa quanto
più essa tenderà a restare l’unica «privazione» nella vita dell’uomo. Il
«Paradiso» della Scienza è infatti fondato sulla logica della Scienza, cioè su
una logica «ipotetica», che ha rinunciato a presentarsi come «Verità»
definitiva e incontrovertibile.
Questo
vuol dire che, per quanto elevata e crescente, la felicità del
«Paradiso» della Scienza è «ipotetica», ossia può presentarsi da un momento
all’altro come «illusoria» ed è inevitabilmente accompagnata dalla
consapevolezza di questa possibilità. Ma un «Paradiso» in cui è possibile
chiedersi se esso non sia un’«illusione» è un «inferno». Quanto più si è
felici, tanto più il terrore di perdere la felicità rende infelici. Nietzsche
ha rilevato che, nella società moderna, le migliori condizioni di vita e la
sicurezza raggiunta riducono o eliminano l’angoscia per l’imprevedibilità del
«Divenire» e danno il piacere dell’imprevisto e dell’avventura.
E si può pensare che questo
fenomeno raggiunga il culmine con le condizioni di vita rese possibili
dal«Paradiso» della Scienza e della Tecnica. Ma quando, come in questo
«Paradiso», la sicurezza della vita è così sviluppata da rendere desiderabile l’imprevisto
e l’avventura, è inevitabile che divenga sempre più lucida e pressante la
consapevolezza che, per quanto confermata dalle procedure scientifiche più
raffinate, quella sicurezza ha pur sempre un valore «ipotetico» che può essere
improvvisamente smentito. Si ama l’avventura e l’imprevisto se si è
sostanzialmente sicuri; ma non li si ama più quando la felicità è così alta da
crescere sempre e tuttavia ci si rende conto che la sicurezza del suo possesso
rimane nonostante tutto un’«ipotesi» e che quindi il «Paradiso» può essere
improvvisamente perduto.
Il
«Paradiso» della Scienza è inevitabilmente privo di «Verità», perché la
nostra cultura ha abbandonato da tempo la pretesa di conoscere la «Verità». E
l’ha dovuta abbandonare, perché la «Verità», come evocazione degli immutabili,
è stata un «rimedio» peggiore del male. E tuttavia, una volta che l’uomo ha
attraversato l’epoca che lo separa dal «Paradiso» della Scienza, l’epoca in cui
ha ancora «senso» il piacere dell’avventura e dell’imprevisto, perché tale
piacere può riuscire superiore al dolore del naufragio, l’imprevedibilità del
«Divenire» torna a farsi angosciosa e anzi spinge al punto più alto
dell’angoscia, perché ora ciò che il «Divenire» può tenere in serbo è il
naufragio del «Paradiso». Anche il «rimedio» della Scienza fallisce.
E’ a questo punto che la Filosofia potrà
avere un Futuro. Fino a questo punto la Filosofia, come evento sociale,
è destinata a non mutare, ossia ad allargare e a rafforzare il suo carattere
presente, il suo compito di proteggere il «Divenire» dalle incursioni e dai
ritorni della tradizione, rendendolo disponibile all’azione
Scientifico-Tecnologica. Quando invece, con l’avvento del «Paradiso» della
Scienza, ci si renderà conto che il «Paradiso» in cui si abita non ha «Verità»,
e l’angoscia diventerà insopportabile, la Filosofia potrà trovarsi di fronte a
un bivio. O si rivolgerà nuovamente alla «Verità» della tradizione epistemica
occidentale, oppure, finalmente, incomincerà a mettere in questione lo
«spazio», portato alla luce dal pensiero greco, in cui cresce l’intera storia
dell’Occidente fino all’avvento del «Paradiso» della Scienza: lo «spazio» che è
comune all’evocazione degli immutabili, alla loro distruzione e al «Paradiso»
della Scienza, lo «spazio» costituito dalla «Fede nell’Esistenza del Divenire».
Nel primo caso, si
riaprirebbe il circolo che dal «rimedio» epistemico conduce al «rimedio»
scientifico e al loro fallimento. Nel secondo caso, la Filosofia, come evento
corale e voce dei popoli, incomincerebbe a rendersi conto che la «suprema
evidenza» del «Divenire» è appunto una «Fede», anzi la più indiscussa delle
fedi, e che lo «spirito critico» del passato, del presente e del futuro della
Civiltà Occidentale discute tutto, ma non discute l’essenziale, cioè la «Fede»
di fondo in cui l’ Occidente si muove, la «Fede» che le «cose» escono dal «Niente»
e ritornano nel «Niente».
Per quanto
sconcertanti possano apparire queste affermazioni, è però possibile sin
d’ora comprendere che l’uomo va alla ricerca del «rimedio» contro l’angoscia
del «Divenire», perché, innanzitutto, crede che il «Divenire» esista; e che quando
si incomincia a mettere in questione questa «Fede», si incomincia a mettere in
questione la logica del «rimedio». Per Nietzsche il «Superuomo» non sente il
bisogno di un «rimedio» e di un riparo contro il «Divenire». Ma quanto stiamo
dicendo accenna a un «Senso» radicalmente diverso del «Superuomo»: ci si porta
«Oltre L’uomo» (appare ciò che da sempre noi siamo oltre il nostro
«Esser-Uomo») quando ci si libera dalla «Fede nel Divenire», e quindi dall’angoscia
che essa produce, e quindi dal bisogno di costruire un riparo contro di essa.
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