venerdì 14 marzo 2014

IL FUTURO DELLA FILOSOFIA (CAP. 2)



Il Futuro della Filosofia non può quindi essere pensato indipendentemente dal futuro della Civiltà della Tecnica. Scienza e Tecnica si accingono a risolvere tutti i problemi che sinora hanno angosciato l’esistenza dell’uomo. Gli ostacoli maggiori non sono di natura Scientifico-Tecnologica, ma «Ideologica», legati cioè alla tradizione Metafisico-Teologico-Epistemica dell’Occidente. L’efficacia della Scienza è ridotta dalla circostanza che essa è oggi amministrata da due forze ideologiche contrastanti, il Mondo Capitalista (USA) e quello Comunista (URSS) (Vedi pubbl. Dicembre 2013)  e altre forze della tradizione Occidentale, come il Cristianesimo, tentano, con sempre minori possibilità di successo, di mettersi alla guida della «Potenza» sviluppata dalla Scienza. 
Ma se le forze ideologiche intendono assegnare dall’esterno i propri scopi all’«Apparato Scientifico-Tecnologico», e cioè servirsi di esso per realizzarli, d’altra parte esso mira di per se stesso a uno scopo supremo: l’incremento indefinito della propria «Potenza». E poiché le ideologie antagoniste non possono restare indifferenti di fronte a tale incremento, è inevitabile che gli scopi delle ideologie finiscano per essere subordinati allo scopo intrinseco di tale «Apparato»: l’indefinito aumento della «Potenza».  
In un Mondo sempre più affamato, dove i «Paesi poveri» premono su quelli «ricchi», cioè sia sul Mondo Capitalista (USA), sia su quello Comunista (URSS), per impadronirsi delle fonti del «potere» e della «ricchezza», è molto più probabile che i ricchi, prima di «Distruggersi» a vicenda, salvaguardino i propri privilegi scaricando sui «Paesi poveri» il loro «potenziale distruttivo». Anche la previsione che il sistema economico mondiale, e quindi L’«Apparato Scientifico-Tecnologico», sostanzialmente integrato a tale sistema, giungerà al «collasso» entro pochi decenni per l’«Incremento Demografico», il «Consumo delle Risorse» e, l’«Inquinamento» (Vedi pubbl. Marzo-Aprile 2013 Entropia, Inquinamento), non tiene conto della circostanza che gli attuali amministratori della «Potenza Planetaria» hanno la capacità di intervenire prima dell’approssimarsi del punto di «collasso», scaricando sui non privilegiati le conseguenze negative della terapia. 
Ma una volta che, sia per questa terapia, sia per il reperimento di forme alternative di energia, di sistemi di disinquinamento planetario e di riduzione del tasso di crescita demografico, non fosse più minacciata la sopravvivenza dell’«Apparato Scientifico-Tecnologico», esso avrebbe finalmente via libera per soddisfare i bisogni dell’intera umanità, «Materiali» e «Spirituali». Si intravede cioè la strada percorrendo la quale la Scienza e la Tecnica possono realizzare sulla terra, dopo una lunga storia di orrori, quel «Paradiso» che il Cristianesimo e altre forme di religione pongono nell’«al di là». 
Non ci sono motivi per escludere che esse possono non solo liberare l’uomo dai bisogni «Materiali» e allontanare sempre più l’incubo della morte, ma abbiano anche la capacità di predisporre le condizioni che consentono all’uomo di raffinare la propria sensibilità per la «Tolleranza», la «Gentilezza», la «Bellezza», l’«Amore», la «Felicità» e per ciò che sta sempre «al di là» di ogni orizzonte raggiunto e intravisto. 
La trascendenza  e la consapevolezza che ogni limite è provvisorio appartengono all’essenza dell’«Apparato Scientifico-Tecnologico», perché esso è «Volontà» di accrescere indefinitamente la propria «Potenza», cioè di portarsi sempre oltre lo stato di volta in volta raggiunto. La «disumanità», l’«aridità» e l’«ottusità» della Tecnica sono un pericolo del presente, non del futuro «Paradiso» Scientifico, riguardano cioè una fase storica in cui certi gruppi umani possono sopravvivere e mantenere i loro privilegi a scapito di altri gruppi. 
Il «Paradiso» della Scienza può dunque soddisfare tutti i bisogni dell’uomo, anche quello di inventare indefinitamente nuovi bisogni e di oltrepassare tutti i modi in cui essi vengono soddisfatti. La felicità che esso consente è la liberazione più radicale dall’angoscia e dal dolore. Tuttavia, tuttavia proprio quando il «Paradiso» della Scienza potrà realizzarsi, si farà innanzi e diventerà incombente una «privazione», tanto più angosciosa quanto più essa tenderà a restare l’unica «privazione» nella vita dell’uomo. Il «Paradiso» della Scienza è infatti fondato sulla logica della Scienza, cioè su una logica «ipotetica», che ha rinunciato a presentarsi come «Verità» definitiva e incontrovertibile. 
Questo vuol dire che, per quanto elevata e crescente, la felicità del «Paradiso» della Scienza è «ipotetica», ossia può presentarsi da un momento all’altro come «illusoria» ed è inevitabilmente accompagnata dalla consapevolezza di questa possibilità. Ma un «Paradiso» in cui è possibile chiedersi se esso non sia un’«illusione» è un «inferno». Quanto più si è felici, tanto più il terrore di perdere la felicità rende infelici. Nietzsche ha rilevato che, nella società moderna, le migliori condizioni di vita e la sicurezza raggiunta riducono o eliminano l’angoscia per l’imprevedibilità del «Divenire» e danno il piacere dell’imprevisto e dell’avventura. 
E si può pensare che questo fenomeno raggiunga il culmine con le condizioni di vita rese possibili dal«Paradiso» della Scienza e della Tecnica. Ma quando, come in questo «Paradiso», la sicurezza della vita è così sviluppata da rendere desiderabile l’imprevisto e l’avventura, è inevitabile che divenga sempre più lucida e pressante la consapevolezza che, per quanto confermata dalle procedure scientifiche più raffinate, quella sicurezza ha pur sempre un valore «ipotetico» che può essere improvvisamente smentito. Si ama l’avventura e l’imprevisto se si è sostanzialmente sicuri; ma non li si ama più quando la felicità è così alta da crescere sempre e tuttavia ci si rende conto che la sicurezza del suo possesso rimane nonostante tutto un’«ipotesi» e che quindi il «Paradiso» può essere improvvisamente perduto. 
Il «Paradiso» della Scienza è inevitabilmente privo di «Verità», perché la nostra cultura ha abbandonato da tempo la pretesa di conoscere la «Verità». E l’ha dovuta abbandonare, perché la «Verità», come evocazione degli immutabili, è stata un «rimedio» peggiore del male. E tuttavia, una volta che l’uomo ha attraversato l’epoca che lo separa dal «Paradiso» della Scienza, l’epoca in cui ha ancora «senso» il piacere dell’avventura e dell’imprevisto, perché tale piacere può riuscire superiore al dolore del naufragio, l’imprevedibilità del «Divenire» torna a farsi angosciosa e anzi spinge al punto più alto dell’angoscia, perché ora ciò che il «Divenire» può tenere in serbo è il naufragio del «Paradiso». Anche il «rimedio» della Scienza fallisce. 
E’ a questo punto che la Filosofia potrà avere un Futuro. Fino a questo punto la Filosofia, come evento sociale, è destinata a non mutare, ossia ad allargare e a rafforzare il suo carattere presente, il suo compito di proteggere il «Divenire» dalle incursioni e dai ritorni della tradizione, rendendolo disponibile all’azione Scientifico-Tecnologica. Quando invece, con l’avvento del «Paradiso» della Scienza, ci si renderà conto che il «Paradiso» in cui si abita non ha «Verità», e l’angoscia diventerà insopportabile, la Filosofia potrà trovarsi di fronte a un bivio. O si rivolgerà nuovamente alla «Verità» della tradizione epistemica occidentale, oppure, finalmente, incomincerà a mettere in questione lo «spazio», portato alla luce dal pensiero greco, in cui cresce l’intera storia dell’Occidente fino all’avvento del «Paradiso» della Scienza: lo «spazio» che è comune all’evocazione degli immutabili, alla loro distruzione e al «Paradiso» della Scienza, lo «spazio» costituito dalla «Fede nell’Esistenza del Divenire». 
Nel primo caso, si riaprirebbe il circolo che dal «rimedio» epistemico conduce al «rimedio» scientifico e al loro fallimento. Nel secondo caso, la Filosofia, come evento corale e voce dei popoli, incomincerebbe a rendersi conto che la «suprema evidenza» del «Divenire» è appunto una «Fede», anzi la più indiscussa delle fedi, e che lo «spirito critico» del passato, del presente e del futuro della Civiltà Occidentale discute tutto, ma non discute l’essenziale, cioè la «Fede» di fondo in cui l’ Occidente si muove, la «Fede» che le «cose» escono dal «Niente» e ritornano nel «Niente». 
Per quanto sconcertanti possano apparire queste affermazioni, è però possibile sin d’ora comprendere che l’uomo va alla ricerca del «rimedio» contro l’angoscia del «Divenire», perché, innanzitutto, crede che il «Divenire» esista; e che quando si incomincia a mettere in questione questa «Fede», si incomincia a mettere in questione la logica del «rimedio». Per Nietzsche il «Superuomo» non sente il bisogno di un «rimedio» e di un riparo contro il «Divenire». Ma quanto stiamo dicendo accenna a un «Senso» radicalmente diverso del «Superuomo»: ci si porta «Oltre L’uomo» (appare ciò che da sempre noi siamo oltre il nostro «Esser-Uomo») quando ci si libera dalla «Fede nel Divenire», e quindi dall’angoscia che essa produce, e quindi dal bisogno di costruire un riparo contro di essa.


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