venerdì 14 marzo 2014

IL FUTURO DELLA FILOSOFIA (CAP. 1)


La Distruzione di ogni Struttura Immutabile è anche distruzione della prima grande forma di «rimedio» che l’uomo Occidentale ha escogitato per difendersi dal pericolo e dall’angoscia. Oggi, il «rimedio» è la Scienza e la Tecnica. Ma prima di chiedersi quale possa essere la forma futura del «rimedio» e ,quindi, come possa configurarsi il «Futuro della Filosofia», si deve comprendere il «Senso» della logica del «rimedio». Si ama ripetere che per Platone e Aristotele gli uomini incominciarono a filosofare spinti dalla «meraviglia» che essi provano quando, di fronte agli eventi del mondo, ne ignorano le «cause». Tutte le «cause» sono poi riconducibili alla «Causa Prima», in cui è custodito appunto il «Senso» definitivo di tutta la realtà. 
La parola Greca «Tha’uma» viene tradotta con «meraviglia» e ha un significato molto più intenso: indica anche lo stupore attonito di fronte a ciò che è strano, imprevedibile, orrendo, mostruoso. Se infatti non si conoscono le «cause» di ciò che accade, se non se ne possiede la spiegazione, l’accadere del mondo diventa imprevedibile, minaccioso, pericoloso, diventa cioè l’«Origine» di ogni inquietudine, terrore, angoscia. Anche se evita di sottolinearlo, Aristotele, affermando che la Filosofia nasce dalla «meraviglia», intende dire che la Filosofia nasce dal terrore suscitato dall’ imprevedibilità del «Divenire della Vita». Conoscendo le «cause»del «Divenire», la Filosofia rende prevedibile ciò che non si lascia prevedere, lo inserisce in una spiegazione stabile, cioè lo vede alla luce del «Senso» Immutabile della totalità dell’«Ente» e, quindi, appronta il «rimedio» contro il terrore della vita. La contemplazione disinteressata della «Verità» è stata cioè il primo formidabile strumento con cui l’uomo, nella Civiltà Occidentale, ha soddisfatto il proprio fondamentale interesse: la difesa contro la minaccia del «Divenire», la liberazione dal terrore e dall’angoscia provocata dall’imprevedibilità degli eventi. 
Lungo i millenni che precedono la nascita della Filosofia, anche il mito raccoglie gli eventi del mondo all’interno di una spiegazione unitaria, di un «Senso» che elimina la loro imprevedibilità e quindi è un «rimedio» contro il terrore da essa prodotto. Ma il mito ignora il «Senso» radicale che la «Verità» possiede all’interno dell’«Epistéme». E’ la Filosofia a evocare per prima l’idea di una «Verità» assolutamente definitiva e incontrovertibile e a proporsi di riempire tale idea con un sistema di conoscenze concrete. Poiché il «Senso» del mondo, costruito dal mito, non appare all’interno della «Verità» dell’«Epistéme», è inevitabile che, al di sotto della sicurezza offerta all’uomo da esso, serpeggi l’inquietudine e l’insicurezza. Esse vengono allo scoperto quando la Filosofia evoca la «Verità»: agli occhi degli scopritori dell’idea definitiva della «Verità» il «rimedio» approntato dal mito contro il terrore deve apparire inaffidabile, insicuro, inefficace. Il terrore sorge dall’imprevedibilità del «Divenire», e quindi il «rimedio» contro di esso può essere dato soltanto da una previsione vera, incontrovertibile, definitiva di tutto ciò che può sopraggiungere. 
Il «Senso» stabile e unitario del «Tutto» è appunto la previsione della sostanza  e dell’essenza di ogni evento (appunto perché l’evento, sopraggiungendo, deve adeguarsi a quel «Senso»); ma solo l’«Epistéme» si è proposta di essere la previsione vera e incontrovertibile, rispetto alla quale la previsione mitica appare quindi come un «rimedio» illusorio. Solo la «Verità» può salvare dal dolore del «Divenire». Che è affermazione diversa da quella di Nietzsche, per il quale ciò che è stato chiamato «Verità» aveva in effetti il compito di salvare dal dolore. Per i Greci e l’intera tradizione filosofica, dal dolore può salvare solo ciò che è veramente la «Verità», e se ciò che si qualifica come «Verità» non lo è davvero, esso non può salvare dal dolore, non può renderlo sopportabile all’interno del «Senso» della realtà in cui il dolore è veramente spiegato. 
La Filosofia scopre il supremo «rimedio» contro il dolore e il terrore proprio nell’atto in cui porta alla luce la forma estrema del dolore e del terrore: il «Divenire», inteso come l’uscire e ritornare nel «Niente». Se l’«Origine» del terrore è l’imprevedibile, il terrore diventa estremo quando estrema diventa l’imprevedibilità; ed estrema essa diventa quando, con i Greci, si incomincia a pensare che gli eventi irrompono nel mondo provenendo da «Niente» Non vi è infatti nulla di più imprevedibile del «Niente». La Filosofia dunque, nascendo, è tesa in due direzioni contrastanti. Come «Epistéme», in cui sono svelati il «Senso» e l’«Origine» del «Divenire», è suprema previsione e anticipazione del «Divenire», perché gli eventi devono adeguarsi alla «Legge Immutabile» costituita da quel «Senso» e da quell’«Origine». Ma come evocazione del significato ontologico del «Divenire», la Filosofia evoca insieme l’imprevedibilità estrema, l’estrema impossibilità di anticipare in una «Legge» il «Divenire del Mondo». Non solo la storia della Filosofia, ma l’intera storia dell’Occidente è sostanzialmente lo sviluppo del contrasto tra queste due istanze irriducibilmente incompatibili. 
Uno scontro dove il «Senso» greco del «Divenire» finisce col distruggere il suo antagonista, cioè la «Volontà» epistemica di dare un «Ordine», un «Senso», un’«Origine» assoluti e immutabili al «Divenire». Uno scontro, dunque, dove il «Senso» greco del «Divenire» finisce col distruggere la prima grande forma di «rimedio» che l’Occidente ha escogitato contro la minaccia del «Divenire». Il «rimedio» è  l’evocazione dell’immutabile; ma l’immutabile rende inconcepibile ciò che per altro è evidente: l’innovazione imprevedibile del «Divenire». Certo, il «Divenire» è il pericolo, ma è anche la libertà creatrice della vita dell’uomo: per la vita, il pericolo è la vita stessa; essa è, insieme, ciò che è minacciato e la minaccia, ciò che si angoscia e la fonte dell’angoscia. Molte le cose inquietanti, dice Sofocle, ma nessuna più inquietante dell’uomo. Soffocando il «Divenire», l’immutabile soffoca la vita, per proteggere la quale era stato evocato. 
La Liberazione dell’uomo moderno è la distruzione di un «rimedio» grandioso, che però, come avverte Nietzsche, è stato peggiore del male. Certo, liberandosi dalla protezione dell’immutabile, l’uomo moderno si espone nuovamente al rischio del «Divenire». Ma se all’inizio della nostra civiltà la capacità dell’uomo di trasformare e dominare il mondo è ancora ridotta, si che il supremo «rimedio», dopo il mito, non può consistere in altro che in un atteggiamento «conoscitivo», in un modo di interpretare il mondo, che presenta sé come «Verità Assoluta», con la Scienza e la Tecnica moderne l’uomo acquista un potere sulle «cose», una capacità di controllare la loro oscillazione tra l’«Essere e il Niente» che non fa rimpiangere il dominio epistemico-filosofico del «Divenire», accessibile soltanto a una «élite» e incapace di essere percepibile dalle masse e dalle nuove classi sociali in ascesa. Si è cioè diffuso un «Senso» di sicurezza che fa dimenticare l’antico terrore del «Divenire». Lo stesso Cristianesimo stabilisce un rapporto con le masse occidentali, che scavalca la Filosofia e insieme la sfrutta, perché presenta come «Verità» incontrovertibile il contenuto della «Fede» (le «Verità di Fede»), ma senza mostrare perché esso lo sia, e anzi escludendo che la mente umana possa comprendere perché quel contenuto è «Verità». Ma anche le «Verità» di Fede» del Cristianesimo sono forme immutabili che vengono investite e progressivamente accantonate dal processo di «Liberazione» dell’uomo moderno. 
Nella Civiltà della Tecnica l’organizzazione Scientifico-Tecnologica dell’esistenza è divenuta la forma di «rimedio» rispetto a cui ogni altra ha perso valore. Da sempre il «rimedio» è «Dominio»: ci si può salvare dalla minaccia del «Divenire» solo dominandolo. Ma il «rimedio» e il «Dominio» della Scienza e della Tecnica riescono ad essere una previsione efficace degli eventi, che però non soffoca e non rende inconcepibile il «Divenire». La Scienza rinuncia ad essere «Verità» definitiva, epistemica e si presenta come sapere «ipotetico», che sulla base di quanto va via via realizzandosi nell’«esperienza» fonda previsioni largamente confermate, e tuttavia è disposta a modificare le proprie ipotesi quando risultano incompatibili col «Divenire dell’Esperienza». L’Epistéme è una previsione che piega il «Divenire» al «Senso» immutabile da esso svelato; la Scienza Moderna è una previsione largamente confermata, che tuttavia modifica continuamente le proprie ipotesi quando diventano incompatibili  con l’«Esperienza del Divenire». 
La Scienza è la forma più «potente» di «Dominio», perché è la forma più «potente» di previsione. Per salvarsi dalla minaccia del «Divenire», lo si deve pur sempre prevedere, ma la previsione scientifica non subordina a sé gli scopi dell’uomo, ma sembra porsi al loro servizio. Inoltre, proprio perché la Scienza rinuncia ad essere «Verità» definitiva, non è previsione del «Senso» unitario della totalità dell’«Ente», ma è previsione e «Dominio» di eventi singoli, specifici. La cultura contemporanea ha ormai raggiunto una piena consapevolezza del carattere «ipotetico» e delle straordinarie possibilità di «Dominio» della Scienza. Continua invece a sfuggire che la Scienza è la forma più «potente» di «Dominio», perché, anche se non se ne rende conto, è la forma di «Dominio» più adeguata al «Senso» greco del «Divenire», ossia è la forma in cui quel «Senso» è radicalmente liberato da ciò che lo rende impossibile. 
Anche quando si presenta come critica radicale della Scienza e della civiltà della Tecnica, la Filosofia contemporanea, in cui il processo di distruzione degli immutabili diventa maggiormente consapevole del proprio significato, svolge quindi innanzitutto la funzione di proteggere la dimensione del «Divenire», cioè lo spazio in cui la Scienza sviluppa le proprie previsioni e la propria «potenza»: sia depurando tale spazio da ogni traccia del passato epistemico, sia riformulando il concetto di «Divenire» in modo sempre più coerente al proprio significato originario. Appunto per questo il «Divenire» ha cessato di essere oggettività esterna  e si è via via presentato come fenomeno, soggettività, esperienza, linguaggio, interpretazione. Filosofia e Scienza sono oggi profondamente solidali, e la Filosofia tende sempre più a presentarsi come una componente della «coscienza» che l’attività scientifica ha di se stessa. 
 

1 commento:

  1. Conoscere l'origine del divenire dandogli così un senso è una petizione di principio perchè non aggiunge nulla al punto di partenza. In altre parole in cosa consiste il rimedio al divenire se non parlando del divenire stesso?

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