domenica 29 luglio 2018

BARUC



Il libro, che è stato posto dalla tradizione sotto il patronato di Baruc (“Benedetto”), il segretario di Geremia, è in realtà un’antologia di brani diversi ordinati in epoca tarda (II secolo a.C.). Anche se è possibile che qualche testo (o tutti) sia stato composto in ebraico o aramaico, il libro è giunto a noi solo in greco. Per questo – come è accaduto ai due libri dei Maccabei, Tobia, Giuditta, Sapienza e Siracide – l’opera non è entrata nel Canone ebraico e protestante delle Sacre Scritture, ma solo in quello cattolico, ove è stato collocato dopo il libro di Geremia e quello delle Lamentazioni, a causa dell’attribuzione a Baruc.

Quattro sono i testi qui raccolti. C’è in 1,1-14 un prologo storico che evoca l’uso del pellegrinaggio annuale a Gerusalemme da parte degli Ebrei della diaspora, cioè di quegli Israeliti che erano dispersi in terre pagane. Segue una supplica penitenziale comunitaria (1,15-3,8), in cui si confessano anche i peccati dei padri che hanno generato l’attuale sofferenza di Israele, secondo la già nota legge della “retribuzione”, per la quale a ogni delitto corrisponde un castigo. Ma il pentimento e la conversione potranno riportare liberazione e serenità a Israele.

Segue un inno sapienziale (3,9-4,4) in cui si identifica la Sapienza divina con “il libro dei comandamenti di Dio e la legge” presente nella Torah, cioè con i primi cinque testi sacri della Bibbia. Da ultimo, ci incontriamo con una specie di discorso profetico (4,5-5,9) ispirato al secondo Isaia (Isaia 40-55): contro l’infedeltà di Israele che conduce alla catastrofe si erge l’«Eterno», cioè il Signore fedele, che perdonerà le colpe e aprirà un nuovo orizzonte di luce e di speranza.

L’antica traduzione della Bibbia, la Vulgata di san Girolamo, aggiunge un sesto capitolo, intitolato “Lettera di Geremia” (che la traduzione greca dei Settanta inserisce dopo le Lamentazioni). Si tratta di un testo polemico nei confronti dell’idolatria, contrassegnato da una specie di ritornello che continua, con lievi varianti, a ripetere la stessa lezione: «Per questo è evidente che non sono dèi. Dunque, non abbiate timore di loro» (versetti 14.22.28.39.44.51.56.64.68).  

Nota Finale

Questo libro, che è un’antologia di brani diversi, è stato forse redatto nel II sec. a.C. e posto sotto il patronato fittizio di Baruc, il fedele segretario di Geremia. Dopo un prologo storico, incontriamo una preghiera penitenziale in cui Israele confessa i peccati della sua storia; segue un inno sapienziale – che ancor oggi viene recitato dagli Ebrei durante la solennità del Kippur (o espiazione) e dai cristiani nella veglia pasquale – al quale si accompagna una specie di omelia profetica contro le infedeltà di Israele. In finale si trova la cosiddetta “lettera di Geremia”: uno scritto che l’autore immagina indirizzato dal profeta Geremia agli esiliati a Babilonia. Il tema di quest’ultima parte è la condanna, ripetutamente espressa nella Bibbia, dell’idolatria.


Nessun commento:

Posta un commento