Il libro, che è stato posto dalla
tradizione sotto il patronato di Baruc (“Benedetto”), il segretario di Geremia,
è in realtà un’antologia di brani diversi ordinati in epoca tarda (II secolo a.C.). Anche se è possibile che qualche testo (o tutti) sia stato
composto in ebraico o aramaico, il libro è giunto a noi solo in greco. Per
questo – come è accaduto ai due libri dei Maccabei, Tobia, Giuditta, Sapienza e
Siracide – l’opera non è entrata nel Canone ebraico e protestante delle Sacre
Scritture, ma solo in quello cattolico, ove è stato collocato dopo il libro di
Geremia e quello delle Lamentazioni, a causa dell’attribuzione a Baruc.
Quattro sono i testi qui raccolti. C’è in 1,1-14 un prologo storico che evoca l’uso del
pellegrinaggio annuale a Gerusalemme da parte degli Ebrei della diaspora, cioè
di quegli Israeliti che erano dispersi in terre pagane. Segue una supplica
penitenziale comunitaria (1,15-3,8), in cui si confessano anche i peccati dei
padri che hanno generato l’attuale sofferenza di Israele, secondo la già nota
legge della “retribuzione”, per la quale a ogni delitto corrisponde un castigo.
Ma il pentimento e la conversione potranno riportare liberazione e serenità a
Israele.
Segue un inno sapienziale (3,9-4,4) in cui si identifica la Sapienza divina con “il libro dei
comandamenti di Dio e la legge” presente nella Torah, cioè con i primi cinque
testi sacri della Bibbia. Da ultimo, ci incontriamo con una specie di discorso
profetico (4,5-5,9) ispirato al secondo Isaia (Isaia 40-55): contro l’infedeltà
di Israele che conduce alla catastrofe si erge l’«Eterno», cioè il Signore
fedele, che perdonerà le colpe e aprirà un nuovo orizzonte di luce e di
speranza.
L’antica traduzione della Bibbia, la Vulgata di san Girolamo, aggiunge un sesto capitolo,
intitolato “Lettera di Geremia” (che la traduzione greca dei Settanta inserisce
dopo le Lamentazioni). Si tratta di un testo polemico nei confronti
dell’idolatria, contrassegnato da una specie di ritornello che continua, con
lievi varianti, a ripetere la stessa lezione: «Per questo è evidente che non
sono dèi. Dunque, non abbiate timore di loro» (versetti
14.22.28.39.44.51.56.64.68).
Nota Finale
Questo libro, che è un’antologia di brani diversi,
è stato forse redatto nel II sec. a.C. e posto sotto il patronato
fittizio di Baruc, il fedele segretario di Geremia. Dopo un prologo storico,
incontriamo una preghiera penitenziale in cui Israele confessa i peccati della
sua storia; segue un inno sapienziale – che ancor oggi viene recitato dagli
Ebrei durante la solennità del Kippur (o espiazione) e dai cristiani nella
veglia pasquale – al quale si accompagna una specie di omelia profetica contro
le infedeltà di Israele.
In finale si trova la cosiddetta “lettera di Geremia”: uno scritto che l’autore
immagina indirizzato dal profeta Geremia agli esiliati a Babilonia. Il tema di
quest’ultima parte è la condanna, ripetutamente espressa nella Bibbia, dell’idolatria.
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