Attribuite dalla tradizione al profeta Geremia, care alla liturgia giudaica e cristiana (Settimana
Santa), le Lamentazioni – dagli Ebrei chiamate con la loro prima parola,
«ekah», “come?” – sono in realtà cinque composizioni non del tutto omogenee, ma
di forte emozione e di alta qualità poetica. Esse suppongono la rovina di
Gerusalemme, cantata in modo lacerante. Stilisticamente le prime quattro sono
“acrostici alfabetici”, cioè i singoli versetti cominciano con una parola che
inizia con le lettere dell’alfabeto ebraico in successione. Si tratta di una
tecnica letteraria che abbiamo già incontrato nei Salmi (25; 34; 37; 111; 112;
119).
La prima lamentazione (capitolo 1) è una commossa rappresentazione della desolazione della
città santa, scandita da un ritornello ripetuto cinque volte: «Nessuno la
consola». La seconda lamentazione (capitolo 2) si svolge attorno all’amara
scoperta del Signore come nemico del suo popolo. La terza lamentazione
(capitolo 3) non è nazionale e comunitaria, ma personale, e assomiglia a un
Salmo di supplica con un appello alla fede e alla conversione per essere
liberati. La quarta lamentazione (capitolo 4) è, invece, ancora nazionale ed è
dominata dal racconto dell’assedio e della caduta di Gerusalemme, fatto da un sopravvissuto.
La quinta e ultima lamentazione (capitolo 5) non è “alfabetica”, ma si compone di 22 versetti, tanti
quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico. La versione latina della Bibbia
l’ha intitolata “Preghiera di Geremia”. Si tratta, però, di una supplica
comunitaria rivolta a Dio in occasione di una non meglio specificata calamità
nazionale. Forte è il senso del peccato che dai padri si ripercuote nei figli.
Questo tema della colpa comunitaria
pervade tutte le Lamentazioni. Siamo in presenza di quella “tesi della
retribuzione”, esaltata dal libro dei Proverbi e dagli amici di Giobbe: al
delitto di Israele corrisponde il castigo, verificabile nella distruzione di
Gerusalemme e nell’esilio. Ma, se scatta la conversione, si avrà la grande
svolta: al pentimento subentrerà – sempre per la stessa tesi della retribuzione
– la ricompensa divina della liberazione di Israele. È ciò che canterà il
Secondo Isaia, il profeta del ritorno dall’esilio di Babilonia (Isaia 40-55).
Nota Finale
Il libro delle Lamentazioni è una raccolta di cinque lamenti, alcuni collettivi, altri individuali,
sulla distruzione di Gerusalemme nel 586 a.C. e sui patimenti inflitti agli
Ebrei dai conquistatori babilonesi. Tema comune è la sofferenza del popolo, il
suo apparente abbandono da parte di Dio causato dal peccato, e la speranza che
egli restituirà la nazione ebraica, umiliata e pentita, al suo antico
splendore.
Il nome dell’autore è sconosciuto; la tradizione
attribuisce il libro a Geremia, ma esso differisce per molti aspetti dalle
opere accertate del profeta. La stesura delle Lamentazioni può essere datata
intorno al 538 a.C., quando viene concesso agli Ebrei di tornare dall’esilio di
Babilonia. In questo breve libro si trovano pagine di alto tenore poetico e di
grande intensità umana: sembrano quasi dei testi da pronunziare davanti alle
rovine del tempio di Gerusalemme in attesa della sua ricostruzione, che sarà
compiuta a partire dal 520 a.C. dai rimpatriati da Babilonia.
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