La vicenda profetica del sacerdote Ezechiele (“Dio è forte”) era iniziata nel
593-592 a.C. lungo uno dei canali di Babilonia, ove da cinque anni viveva, in
seguito alla prima deportazione eseguita dai Babilonesi nel 597-596 a.C. (vedi
2Re 24,10-17). Là il Signore, in una maestosa visione, l’aveva chiamato a una
missione di giudizio. Spazzando via tutte le illusioni degli Ebrei esuli a
Babilonia e di quelli rimasti ancora a Gerusalemme, il profeta nei primi 24
capitoli del suo libro annunzia il crollo irrevocabile del regno di Giuda.
Egli lo fa non solo mediante una
predicazione espressa con immagini molto vivaci e potenti, ma anche con tutta
una serie di azioni simboliche: esse sono simili a recite pubbliche che, nello
stile del mondo orientale, hanno lo scopo di esaltare e mostrare come efficace
l’annunzio che si sta per comunicare (esemplare è, fra le altre, la scena della
“tavoletta dell’assedio” nei capitoli 4-5). La caduta di Gerusalemme (586 a.C.)
segna una svolta radicale nella missione del profeta.
È ciò che appare in
molte parti dei capitoli 33-39 (si legga il capitolo 36, ove si riprende il
tema della “nuova alleanza” già cantato da Geremia, o l’indimenticabile
capitolo 37 con la celebre visione degli scheletri aridi che riprendono vita).
Ma è nella finale dei capitoli 40-48 che si ha il disegno della mappa della
terra santa e di Gerusalemme risorte. Con minuziosità “sacerdotale” Ezechiele
delinea il tempio del futuro, il suo culto e la sua comunità, mentre un fiume
d’acqua viva, uscito dal tempio risorto, feconderà tutta la terra d’Israele,
riportando vita e speranza.
Una piccola serie di
capitoli (25-32) è, infine,
dedicata a sette nazioni diverse, alle quali viene indirizzato un severo
messaggio divino: grandiosi e interessanti sono gli oracoli dei capitoli 27-28
per la città fenicia di Tiro. Molti sono i temi spirituali che Ezechiele
affronta: pensiamo alla responsabilità personale di ogni uomo nei confronti del
peccato e della salvezza (capitolo 18), al motivo del buon pastore atteso
(capitolo 34), alla citata alleanza con Dio nel cuore rinnovato e nello spirito
di Dio (capitoli 11 e 36), all’uso di immagini che diverranno importanti, nel
giudaismo successivo, per quella corrente di pensiero e di scritti che verrà
chiamata “apocalittica”, mentre le ultime pagine influiranno su quella “Tradizione
Sacerdotale” che abbiamo già incontrato leggendo i primi libri della Bibbia.
Nota Finale
Nel 597 a.C., undici anni prima della caduta di
Gerusalemme, Ezechiele viene deportato, con altri prigionieri ebrei, a
Babilonia, dove Dio lo consacra profeta durante una grandiosa visione,
chiamandolo a predicare ai suoi compagni d’esilio: missione che Ezechiele adempirà
per ben venticinque anni. Uomo d’inflessibile volontà e tenacia, egli non si
limita a predicare, ma compie anche numerose azioni simboliche che prefigurano
il crollo di Gerusalemme a causa dei suoi peccati. Gli oracoli di
Ezechiele si dividono essenzialmente in tre parti: l’ammonimento al suo popolo
a pentirsi, la condanna contro le nazioni pagane e le profezie sulla
restaurazione di Israele.
Provenendo
da una famiglia sacerdotale ed essendo egli stesso sacerdote, il
profeta mostra un particolare interesse per la riedificazione del tempio di
Gerusalemme dopo l’esilio. Il suo messaggio di speranza per una nuova terra,
una nuova Gerusalemme e un nuovo tempio non più contaminati dal peccato diverrà
una specie di guida spirituale per la ricostruzione della nazione ebraica.
Fra
le tesi teologiche esposte nel libro di Ezechiele, una delle principali è
quella che rigetta il principio secondo cui le colpe dei padri ricadono sui
figli e afferma invece la responsabilità individuale davanti a Dio.
Il libro,
pur avendo subito rielaborazioni e ampliamenti, è sostanzialmente attribuito a
Ezechiele, il quale ha vissuto e descritto la situazione del suo tempo.
Nessun commento:
Posta un commento