Prima di inoltrarci nella distinzione tra “dóxa” ed “epistéme”, due concetti base da cui prende avvio l’articolazione
vera e propria della Filosofia, è opportuno esplorare quel terreno mitologico
in cui sono gli antecedenti simbolici dei modelli concettuali greci. Quando si
parla di mito greco, si parla soprattutto di Esiodo che, nella Teogonia, il cui titolo propriamente
significa «generazione degli dei», ci narra l’origine degli dei e le successive
generazioni divine. In apertura, leggiamo: «All’inizio,
per primo, fu il “Cháos”; in seguito quindi la Terra dal largo petto, dimora
sicura per sempre di tutti gli immortali, che abitano le cime del nevoso
Olimpo, ed il Tartaro tenebroso nei recessi della Terra dalle larghe vie;
quindi venne Eros (Amore), il più bel frutto degli dei immortali, colui che
scioglie le membra, che di tutti gli dei e di tutti gli uomini doma nel petto
l’animo ed i saggi consigli» (Teogonia,
116-122).
Nella lingua greca matura,
quella ad esempio di Platone e di Aristotele, “Cháos” significa «mescolanza», «magma», «disordine»; ad essa si
contrappone la parola “Cosmo” con cui
si intende ciò che ha «ordine», ciò che è uscito dal «disordine» del “Cháos”. Eppure
queste due parole hanno alla radice un significato più originario, quello per
cui è possibile leggere nel mito l’antica traccia di quello che sarà poi lo
sguardo filosofico.
A questo
proposito è utile ricordare che la radice indoeuropea della parola “Cháos” è “Cha” che interviene in vari gruppi di parole quali “Chásco”, “Cháino” che significano «mi apro», «mi dischiudo». Questo
riferimento alla radice ci consente di pensare che “Cháos” originariamente non significava tanto «disordine» e
«mescolanza», quanto quell’«apertura» che Esiodo colloca «all’inizio» e «per
prima», prima della stessa Terra, «nata in seguito», e prima di tutti gli dei,
dal momento che ogni teogonia e ogni cosmogonia, ogni generazione di dei, di
uomini e di mondi accadono dopo di essa e all’interno di essa.
Annunciandola «all’inizio» e
«per prima», Esiodo anticipa quella che poi sarà la prima categoria filosofica:
la «totalità», ovvero la dimensione
che non lascia fuori di sé nulla, e che perciò include ogni possibile
situazione cosmica, umana e divina. Questa dimensione manca a tutta la sapienza
orientale, sia indiana che cinese, così come manca alla sapienza ebraica che fa
incominciare ogni cosa da Dio.
Tradotto
come solitamente lo si traduce, “Cosmo”
significa «ordine», e precisamente quell’«ordine» che si realizza nel mondo
fisico, per cui si parla di «ordine cosmico» contrapponendolo, ad esempio, a
quello «spirituale» e «divino». Ed è proprio assumendo il termine in questa
accezione che Aristotele dice che i primi filosofi, proprio perché si
interessavano del “Cosmo”, erano dei
fisici.
In realtà la parola “Cosmo” si rifà a quella radice
indoeuropea “Kens” che si ritrova anche nel latino “censeo” che, nel suo significato più
pregnante, significa: annuncio con
autorità, decreto. “Cosmo” è
dunque quella parola che si impone e, imponendosi, non può essere smentita. Nel
suo più antico significato “Cosmo”
non è quindi l’«ordine» o il «mondo», da cui la parola moderna «cosmologia», ma
è «ciò che si impone» sopra tutto,
sopra anche le parole degli uomini, per cui Eraclito potrà dire: «non ascoltando me, ma il “Logos”, è saggio
riconoscere che tutto è uno».
Ma
che cosa si impone nell’apertura dischiusa dal “Cháos”? Il mito ci ha
portato dalle tenebre oscure della Terra-madre alla luce diffusa dalla volta
celeste; poi, retrocedendo da queste due figure, comuni tanto al mondo greco
quanto al mondo orientale, ha detto “Cháos”:
apertura originaria e totale al cui interno si impone una parola. Questa
retrocessione ad una figura più originaria del cielo e della terra, sconosciuta
al mondo orientale, è esclusivamente «greca», e da essa prende avvio
quell’episodio, ignoto all’Oriente, che da oltre due millenni andiamo chiamando
«Filosofia».
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