sabato 4 giugno 2016

CHÁOS E COSMO


Prima di inoltrarci nella distinzione tra “dóxa” ed “epistéme”, due concetti base da cui prende avvio l’articolazione vera e propria della Filosofia, è opportuno esplorare quel terreno mitologico in cui sono gli antecedenti simbolici dei modelli concettuali greci. Quando si parla di mito greco, si parla soprattutto di Esiodo che, nella Teogonia, il cui titolo propriamente significa «generazione degli dei», ci narra l’origine degli dei e le successive generazioni divine. In apertura, leggiamo: «All’inizio, per primo, fu il “Cháos”; in seguito quindi la Terra dal largo petto, dimora sicura per sempre di tutti gli immortali, che abitano le cime del nevoso Olimpo, ed il Tartaro tenebroso nei recessi della Terra dalle larghe vie; quindi venne Eros (Amore), il più bel frutto degli dei immortali, colui che scioglie le membra, che di tutti gli dei e di tutti gli uomini doma nel petto l’animo ed i saggi consigli» (Teogonia, 116-122). 

Nella lingua greca matura, quella ad esempio di Platone e di Aristotele, “Cháos” significa «mescolanza», «magma», «disordine»; ad essa si contrappone la parola “Cosmo” con cui si intende ciò che ha «ordine», ciò che è uscito dal «disordine» del “Cháos”. Eppure queste due parole hanno alla radice un significato più originario, quello per cui è possibile leggere nel mito l’antica traccia di quello che sarà poi lo sguardo filosofico. 

A questo proposito è utile ricordare che la radice indoeuropea della parola “Cháos” è “Cha” che interviene in vari gruppi di parole quali “Chásco”, “Cháino” che significano «mi apro», «mi dischiudo». Questo riferimento alla radice ci consente di pensare che “Cháos” originariamente non significava tanto «disordine» e «mescolanza», quanto quell’«apertura» che Esiodo colloca «all’inizio» e «per prima», prima della stessa Terra, «nata in seguito», e prima di tutti gli dei, dal momento che ogni teogonia e ogni cosmogonia, ogni generazione di dei, di uomini e di mondi accadono dopo di essa e all’interno di essa. 

Annunciandola «all’inizio» e «per prima», Esiodo anticipa quella che poi sarà la prima categoria filosofica: la «totalità», ovvero la dimensione che non lascia fuori di sé nulla, e che perciò include ogni possibile situazione cosmica, umana e divina. Questa dimensione manca a tutta la sapienza orientale, sia indiana che cinese, così come manca alla sapienza ebraica che fa incominciare ogni cosa da Dio. 

Tradotto come solitamente lo si traduce, “Cosmo” significa «ordine», e precisamente quell’«ordine» che si realizza nel mondo fisico, per cui si parla di «ordine cosmico» contrapponendolo, ad esempio, a quello «spirituale» e «divino». Ed è proprio assumendo il termine in questa accezione che Aristotele dice che i primi filosofi, proprio perché si interessavano del “Cosmo”, erano dei fisici. 

In realtà la parolaCosmo” si rifà a quella radice indoeuropea “Kens”  che si ritrova anche nel latino “censeo” che, nel suo significato più pregnante, significa: annuncio con autorità, decreto. “Cosmo” è dunque quella parola che si impone e, imponendosi, non può essere smentita. Nel suo più antico significato “Cosmo” non è quindi l’«ordine» o il «mondo», da cui la parola moderna «cosmologia», ma è «ciò che si impone» sopra tutto, sopra anche le parole degli uomini, per cui Eraclito potrà dire: «non ascoltando me, ma il “Logos”, è saggio riconoscere che tutto è uno». 

Ma che cosa si impone nell’apertura dischiusa dal “Cháos”? Il mito ci ha portato dalle tenebre oscure della Terra-madre alla luce diffusa dalla volta celeste; poi, retrocedendo da queste due figure, comuni tanto al mondo greco quanto al mondo orientale, ha detto “Cháos”: apertura originaria e totale al cui interno si impone una parola. Questa retrocessione ad una figura più originaria del cielo e della terra, sconosciuta al mondo orientale, è esclusivamente «greca», e da essa prende avvio quell’episodio, ignoto all’Oriente, che da oltre due millenni andiamo chiamando «Filosofia».  




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