Subito dopo, (Cap. 2), si
apre la scena solenne della visita dei Magi. Su
di essi, diversamente da quanto farà la tradizione successiva, Matteo è molto
sobrio. La stella stessa, più che a rimandare a particolari fenomeni
astrofisici, ha un valore religioso, essendo nella tradizione giudaica un «segno» "messianico" (come lo sarà nell’Apocalisse). Ciò che è decisivo per l’incontro di
questi personaggi, che incarnano l’orizzonte universale dell’umanità, sarà
infatti la profezia di Michea (5,1) su Betlemme, patria di Davide.
I Magi, dunque, rappresentano tutti i
popoli della terra che, alla luce della rivelazione cosmica (la stella)
e di quella storica (la Bibbia con il profeta Michea), approdano all’incontro
con Cristo. Ma attorno a questa scena di adorazione si addensa subito la
reazione violenta del male. La strage dei bambini di Betlemme certo ben corrisponde alle
numerose uccisioni che hanno accompagnato il regno di Erode, particolarmente
sensibile alla tutela del suo potere e attento a ogni notizia di eventuali
pretese o usurpazioni. Ma l’evangelista, citando il profeta Geremia (31,15),
mostra che anche attorno a Cristo si sta attuando una vicenda di morte e di
vita, così come era accaduto nella storia di Rachele, considerata come la Madre
di Israele che piange le vittime del suo popolo.
Anche la fuga in Egitto, che poteva essere solo un rifugio
temporaneo verso le non lontane frontiere meridionali, è letta alla luce di un
passo di Osea (11,1): Cristo è chiamato a rappresentare e a compiere in sé
l’esodo che condurrà il popolo di Dio alla piena libertà. E questo esodo ha la
sua attuazione quando, alla morte di Erode nel 4 a.C. (quindi Gesù dev’essere
nato pochi anni prima, forse nel 7-6 a.C.), Giuseppe, «il bambino e sua madre»
rientrano in Israele e si stabiliscono in Galilea, a Nazaret, località mai
evocata nell’Antico Testamento. Matteo, però, che vuole considerare anche
questo evento nel progetto divino di salvezza, parla di un detto profetico non
identificabile: «Sarà chiamato Nazareno». Forse vuole genericamente rimandare
al vocabolo ebraico assonante “nazir”, (consacrato) o a “neser” (germoglio), un
simbolo messianico antico testamentario.
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