Come farà anche Luca, Matteo apre il suo vangelo con due capitoli dal taglio originale rispetto
al resto della sua opera e, usando materiali preesistenti, elabora un profilo
delle origini terrene e dell’infanzia di Gesù. Anche se il racconto contiene antiche
memorie storiche, la figura che domina in queste pagine è già quella gloriosa
di Cristo, colui che «salverà il suo popolo dai suoi
peccati», colui che imprime
pienezza alle Scritture di Israele, colui che è oggetto della lotta aspra del
male, ma verso cui converge l’intera umanità. Sono, quindi, pagine che hanno
una forte finalità teologica, anche se spesso la tradizione le ha colmate di
colore e di sentimento (emblematici, in questo senso, sono i vangeli “apocrifi”
sull’infanzia di Gesù, non riconosciuti dalla Chiesa).
Matteo apre questa parte del suo vangelo con una genealogia
di Cristo (Cap. 1) : essa risale ad Abramo e a Davide per sottolineare la
qualità messianica, ma anche il legame che Gesù ha con la storia della salvezza
aperta con il grande patriarca biblico. Gli anelli di questa genealogia sono
articolati in «tre» tappe, ciascuna composta di «quattordici» generazioni: un
evidente tentativo simbolico-numerico di delineare la perfezione e la pienezza
(considerato il valore del “tre” e del “sette” nella Bibbia) del piano di salvezza
che Dio porta a compimento in Cristo. I nomi, che nella terza sezione sono
spesso oscuri, contengono elementi curiosi, come la menzione delle tre donne:
Tamar (Genesi 38), Rut e Betsabea, moglie di Uria, sono state variamente interpretate,
ma agli occhi dell’evangelista – più che al loro essere straniere –
l’attenzione è rivolta forse al modo piuttosto eccezionale con cui esse furono
incinte e generarono, anticipando, così, la vicenda stessa di Maria e di
Cristo.
La nascita di Gesù che subito
segue la genealogia è, infatti, spiegata nel suo significato misterioso
nell’annunciazione a Giuseppe. Egli deve accettare di essere il padre legale
del figlio che Maria concepirà «per opera
dello Spirito Santo», come l’angelo spiega due volte. La citazione del passo di Isaia 7,14 ha
lo scopo di collocare questo evento all’interno del grande disegno di salvezza
divino, già annunziato ai profeti e già in atto nella prima alleanza con
Israele. Non per nulla il nome di Gesù rimanda al verbo ebraico “salvare”, come
puntualizza l’angelo (1,21), e a lui si adatta in pienezza il titolo di "Emmanuele", cioè Dio-con-noi.
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