sabato 9 gennaio 2016

LA PREDICAZIONE DI GIOVANNI E IL BATTESIMO DI GESU’


Concluso il “vangelo dell’infanzia”, che è saldamente religioso e ben poco pittoresco (come vorrà la  successiva tradizione “natalizia”), Matteo – ricalcando un trittico presente nella predicazione cristiana delle origini – introduce «tre» scene che presentano Cristo sull’orizzonte della sua storia pubblica: il battesimo ricevuto da Giovanni il Battista è preceduto dalla predicazione dello stesso precursore (Cap. 3) ed è seguito dalla scena delle tre tentazioni (Cap. 4). Al centro c’è, quindi, la grande rivelazione che si compie mentre Gesù si fa battezzare. L’epifania divina che accompagna quell’atto ha come elemento decisivo la proclamazione di Gesù come «Figlio prediletto» di Dio e come Messia e profeta, sul quale viene effuso lo "Spirito" divino. 

A preparare questa scena capitale si ha il ritratto del Battista, che è quasi la sintesi della parola profetica, come è attestato dalla citazione di Isaia (40,3), relativa alla «voce che grida», e dalla veemenza della sua predicazione, destinata a indicare l’avvento degli anni decisivi della salvezza, il tempo ultimo della conversione. E’ significativo notare che la sostanza del suo annunzio («convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» sarà ripresa dallo stesso Gesù (4,17).  

"Ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui". (Matteo 3,16)

La cornice storica del passo citato è l’evento che si sta compiendo su una sponda del Giordano (forse la riva orientale giordana, secondo vari studiosi sulla base di scavi archeologici degli ultimi decenni): Gesù è battezzato da Giovanni. 
Il fatto è certamente storico perché non si sarebbe mai “inventato” da parte dei primi cristiani un episodio che vede Cristo “inferiore” al Battista e per di più ricevendo un Battesimo fatto per «confessare i peccati» (Matteo 3,6). 

Nell’interno di questo evento storico è incastonata, però, un’esperienza che Matteo descrive come personale, vissuta dal solo Gesù. Infatti è “per lui” che si squarciano i cieli ed è solo sua la visione dello "Spirito" di Dio sotto il simbolo della "colomba", un segno variamente interpretato, anche perché questo uccello sembra essere un emblema di Israele (Salmi 68,14; 74,19; Osea 7,11). In questo caso lo "Spirito" divino rappresenterebbe la nuova comunità fedele che si raduna attorno al Messia. A questa esperienza intima di Gesù viene associata una epifania divina aperta a tutti. È la voce dal cielo che proclama: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (3,17). 

La frase merita un’attenzione particolare perché assegna il significato ultimo all’evento del Battesimo che Gesù ha appena ricevuto da Giovanni. Non per nulla gli esegeti parlano di una “visione interpretativa” per definire il valore di quanto abbiamo appena descritto. L’atto rituale di purificazione, che il Battista amministrava agli ebrei che accorrevano a lui, si trasforma così in una sorta di investitura solenne messianica di Gesù davanti a tutto Israele. 

Ma la rilettura evangelica con quella frase “celeste” va oltre e, alla luce della gloria pasquale, delinea un messianismo più alto di natura trascendente. Come è noto, infatti, la figura del Messia atteso dall’ebraismo aveva connotati creaturali, così da non inficiare il rigoroso monoteismo biblico. In questa linea anche il misterioso Figlio dell’uomo cantato da Daniele (7,13-14), dotato da Dio di un potere supremo, veniva lasciato nel limbo di un messianismo non applicabile a nessuno, tant’è vero che sarà Gesù (seguito dalla Chiesa delle origini) ad assegnarsi tale titolo “eccessivo”, creando una sorta di provocazione nel contesto religioso di allora. Esplicita, invece, è adesso la definizione di Cristo: nel quadro di questa visione trascendente egli è il Figlio prediletto e unico di Dio.




Nessun commento:

Posta un commento