La Filosofia greca scorge nella vita stessa il pericolo estremo: l'annientamento delle cose
che peraltro provengono dal «Nulla».
Sperimenta l'angoscia estrema. Con la Filosofia l'uomo vuole quindi veramente
salvarsi, avere cioè quella vera «Potenza» che manca al mito e che vive solo in
quanto unita alla «Ragione». La «Ragione» svela l' «Ordinamento Immutabile e
Divino», adeguandosi al quale l'uomo e lo Stato sono veramente potenti. Già in
Eschilo questo discorso è esplicito. E si estende man mano, producendo la
tradizione europea che culmina nel pensiero di Hegel. Cultura, Cristianesimo,
Impero romano, Chiesa, Sviluppo economico e giuridico, Rinascimento, Stato
nazionale moderno, Riforma, Scienza moderna, Illuminismo, Democrazia,
Capitalismo, Comunismo, rispecchiano in sé, in modi diversi e spesso opposti,
quel discorso originario. Ma dopo Hegel l' unità di «Potenza» e «Ragione» tramonta:
in quanto conoscenza della «Verità incontrovertibile», la «Ragione» è respinta
e l' Europa concepisce e realizza se stessa come pura «Potenza».
Se l' Europa è dapprima unità di «Potenza» e «Ragione», e poi
rimane pura «Potenza», l' Europa è allora una frattura, non un' «identità».
Due, non un' unico spazio in cui crescano le differenze e le opposizioni. E
invece non è così: lo spazio è unico. La «Potenza» si unisce alla «Ragione» per
salvare l' uomo dal «Nulla» da cui le cose
sporgono provvisoriamente. È questo modo di intendere l' «Esser cosa» delle
cose e innanzitutto dell'uomo, a costituire lo spazio-unico in cui crescono sia
la tradizione europea, sia la sua distruzione.
Prima, a proteggere le cose
minacciate dal «Nulla» c' è Dio (o quella
sua versione laica che è lo Stato moderno di diritto); poi si crede che a
proteggere uomo e cose non vi sia altro che l'agire dell'uomo. Ma resta
identico il modo in cui l' «Esser cosa» è concepito e vissuto. Ed esso finisce
per esser presente e attivo non solo nei filosofi, nei giuristi, negli uomini
di Stato, negli storici, eccetera, ma nell'uomo comune, nel taglialegna, nel
pescatore, nell'artigiano, nel padrone e nel servo, nel capitalista e nell'
operaio.
In
ambito scientifico cresce l’insofferenza per la Filosofia. Vi sono buone ragioni. Quanto
vi è oggi di decisivo nel pensiero filosofico, infatti, tende a rimanere sullo
sfondo. Accade anche, però, che insieme all’insofferenza cresca anche, nella Scienza,
l’interesse per i problemi che sono sempre stati propri del pensiero
filosofico. Relativamente ai quali essa crede di poter andare molto più a
fondo. Ad esempio, la Scienza si propone di giungere finalmente a una «Teoria
del Tutto». Connesso alla quale è il problema del «Nulla». Il «Tutto» è infatti
la regione al di là della quale resta, appunto, «Nulla».
Il problema è presente in ogni
ambito della Scienza e della Cultura. E innanzitutto nella vita dell’uomo; egli
desidera la vita e teme la morte. In che rapporto sta la morte col «Nulla»? La
morte è l’annullamento di ogni nostra esperienza? Per vivere occorre cibo e
riparo. Per ottenerli si sono sperimentate diverse tecniche e forme economiche.
Il Capitalismo è divenuto
quella dominante. L’economista Joseph Schumpeter ha definito il Capitalismo
«distruzione creatrice». (Crea nuovi mezzi di produzione, quindi nuovi rapporti
sociali, e distrugge i vecchi. Ma poi ogni tecnica è distruzione creatrice). E
in che rapporto stanno la «distruzione» e la «creazione» col «Nulla»? Hanno «Senso»
queste parole se non si pensa il «Nulla»? Per le religioni monoteistiche, le
«religioni del libro», il mondo è creato «dal Nulla», ex nihilo, dice la
teologia cristiana.
Il Cristianesimo
perderebbe gran parte della propria anima e del proprio significato se volesse
prescindere dal «Nulla» che tutte le cose sono prima della loro creazione.
Assenza, privazione, mancanza, vuoto,
perdita, estinzione, silenzio: non sono forse essi gli stati in cui il
mondo si trova quando i suoi contenuti e le sue forme diventano «Nulla»?
Diciamo continuamente che «qualcosa non esiste ancora» e «non esiste più». Lo
si dice ovunque, in ogni campo. Ovvio che queste espressioni siano presenti
nella Biologia, nella Paleontologia, nella Storia; la stessa Biologia
molecolare parla di «storicità» dei fenomeni, nella fisica e così via. Ma
quelle due espressioni non significano forse, rispettivamente, che qualcosa è
ancora «Nulla» ed è ormai «Nulla»?
Della
filosofia non c’è bisogno di parlare: è essa a portare alla luce il
significato radicale del «Nulla»: il
«Nulla come Nulla» assoluto, l’assolutamente altro dalla totalità degli enti,
e a continuare a rivolgersi ai problemi suscitati da tale significato. Il
rivolgersi ad esso è l’inizio della storia dell’Occidente, ossia di ciò la cui
essenza domina il Pianeta. Il fisico Luke Barnes, delle tesi del collega
Lawrence Krauss, ha criticato soprattutto quella per la quale, essendo
pensabile che l’universo provenga da uno stato privo di materia, di particelle,
di spazio, di tempo, di leggi, è possibile pensare che esso e le cose in esso
contenute provengano dal «Nulla». Barnes obbietta che se si può
concedere che le particelle provengano da stati senza particelle, esse però non provengono dal «Nulla». Lo
stesso si dica per lo spazio e il tempo.
Aristotele
l’aveva detto più di duemila anni fa: all’inizio del generarsi delle
cose non c’è il «Nulla», ma «qualcosa»; «le
cose si generano da qualcosa a qualcosa». Ma chiediamoci: ammesso che una casa
sia costruita col materiale di costruzione, col progetto dell’architetto e il
lavoro degli operai, tutte cose che esistono già prima della casa, questo vuol
forse dire che tutto ciò che la casa ora è preesisteva alla sua costruzione?
No! altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di costruirla. C’è dunque un «residuo» che prima della costruzione della casa
non esisteva ancora. E che significa questo suo non essere ancora? Diciamolo:
questo «residuo» era «Nulla». Non in qualche
«Senso» «Nulla» e in qualche altro no, ma
era assolutamente «Nulla». Se le particelle provengono da stati senza
particelle, ossia da qualcosa, ciò non significa che tutto ciò che le
costituisce esisteva già, prima della loro esistenza; quindi c’è un «residuo» che prima che esse incominciassero ad
esistere era «Nulla», assolutamente «Nulla». Che le cose vengano da qualcosa e che,
insieme, vengano dal loro «Nulla» non sono dunque affermazioni incompatibili,
ma l’una implica l’altra. Appunto perché all’inizio del «divenire» c’è il loro
«Esser Nulla», non la nullità di tutte le cose.
Ma una volta detto che l’uomo continua a pensare al «Nulla»
e a parlarne, il problema del «Nulla» si presenta in tutta la sua potenza. Il
«Nulla» è la fonte dell’angoscia più profonda dell’uomo. (Agostino è arrivato a dire che gli uomini preferirebbero
la dannazione eterna al loro definitivo annullamento). Tuttavia, sin
dall’inizio del pensiero filosofico si sa che, proprio perché pensiamo il «Nulla»
e ne parliamo, proprio per questo il «Nulla» ci sta dinanzi e ci dà da fare,
così potente da esser la fonte della nostra angoscia. Accade cioè che il «Nulla»
sia qualcosa. Ciò che non è un «qualcosa» è «qualcosa». E poiché ovunque noi
abbiamo a che fare col «Nulla», ovunque noi ci troviamo nell’oscurità più
profonda, giacché la più profonda radice di ogni oscurità è credere, appunto, che
il «Nulla», l’assolutamente «Nulla», sia qualcosa, e vivere conformemente a
questa convinzione.
L’intero universo
è sbilanciato, spaesato, sfigurato e noi viviamo in esso, sbilanciati,
spaesati, sfigurati, per quanto grandi e belle e potenti siano le cose da noi
fatte e pensate. Nell’oscurità, che «Senso»
possono avere la salvezza, la felicità, il piacere? Infatti,
anche se non vogliamo riconoscerlo, noi, in fondo, un fondo che spesso si
lascia vedere, siamo sempre scontenti di ciò che siamo ed abbiamo. Ma
non è questa l’ultima parola. L’assurdo non ha partita vinta. Bisogna, però
saperla giocare. La si gioca male quando, ad esempio, si crede di vincerla
decidendo che la parola «Nulla» è assolutamente priva di «Senso». Qui si gioca male, perché l’espressione
«ciò che è assolutamente privo di Senso» è un sinonimo della parola «Nulla».
Gettato dalla finestra, il «Nulla» rientra dalla porta. «l’ultimo orizzonte», come chiamarlo altrimenti, ci
rende liberi dalla minaccia e dall’assurdo del «Nulla». E’ inevitabile che,
qui, il discorso sul «Nulla» rimanga in sospeso, e forse fin troppo
pericolosamente in sospeso. Si tratta di scorgere il «Senso»
autentico dell’ambiguità del «Nulla». Giacché soprattutto di esso è necessario
dire: Nec tecum , nec sine te (Né Con Te, Né Senza Te).
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