Tra i
primi pensatori Greci, Parmenide occupa una posizione centrale che divide quanti lo
precedono da quanti lo seguono, non solo nella storia della Filosofia antica,
ma lungo l’ intera storia del pensiero filosofico. Egli porta alla luce un «Problema»
che impegnerà tutta la Filosofia antica, per cui con ragione Platone lo nomina
«Venerando e Terribile».
La «Via
della Verità» è tracciata dal principio che dice: l'«Essere è ed è Impossibile che non Sia». Il contrario di questo principio è l’
impercorribile assurdo che la «Verità» proibisce di affermare. Se l'«Essere è»,
prosegue Parmenide, non può venir generato né andar distrutto, perché
altrimenti prima di esser generato e dopo esser distrutto, «Non sarebbe», e
affermare che l'«Essere Non è» è proibito dalla «Verità». Quindi l'«Essere è Immutabile ed Eterno», e la Giustizia proibisce che in qualsiasi modo
divenga.
Fin dall’inizio la
Filosofia pensa che l’ambito di ciò che nasce e che muore non nasce e
non muore, è cioè «Eterno». A questo ambito la Filosofia ha dato il nome di
«Phýsis». La parola «Phýsis» appartiene al linguaggio prefilosofico, ma con l’
avvento della Filosofia acquista quel nuovo significato che è l'«Essere» nel
suo illuminarsi. Forse anche per questo Parmenide chiama la «Via della Verità»,
ove si dice che l'«Essere» è, «Sentiero del Giorno». Lungo questo «Sentiero» ciò
che si fa luminoso è che l'«Essere» si oppone al «Niente» e che questa
opposizione è «Eterna».
Ma sia
l’«Opposizione» sia l’«Unità» sono solo delle proprietà, sia pure
essenziali, dell’elemento unificatore del molteplice che Parmenide nomina «Essere». L'«Essere», infatti, è Ciò che è identico in ogni «Cosa» che è, è ciò che,
opponendosi al «Nulla», esprime il significato supremo dell’ «Opposizione» e,
per effetto dell’ «Opposizione», si costituisce come «Unità». Si tratta di un’
«Unità» che non ospita né il «Divenire» delle «Cose», né la loro
molteplicità.
Dire, infatti,
che una «Cosa» diviene significa dire che passa dall’«Essere» al «Non- Essere»,
e quindi significa affermare che il «Non-Essere è»; dire infine che ci sono
molte «Cose» diverse: albero, stella, animale, terra, acqua, aria, fuoco
significa dire che ciascuna di esse «Non è Essere», e quindi di nuovo che il
«Non-Essere è».
Parmenide,
portando alla luce la «Phýsis» come «Essere», e riflettendo sul «Senso» dell’
«Essere» (che non può Non-Essere) è costretto a negare che la «Phýsis» sia l’elemento
unificatore (Stoichéion) del molteplice e il principio (Arché) del «Divenire
Cosmico». L'«Essere» è assolutamente indifferenziato, indeterminato, l’
assolutamente semplice e puro, mentre il mondo che ci sta dinnanzi nella sua
incessante mutazione e varietà è «Dóxa», ossia apparenza illusoria in cui i
mortali pongono fiducia.
Parmenide
mostra che Ciò che è, l' «Essente», non può provenire dal «Non Essente» e nel «Non
Essente» non può dissolversi; e poiché il mondo è l'apparire dell'incominciare
ad «Essere» e del cessare di «Essere», da parte delle «Cose», le «Cose» del mondo
non possono essere degli «Essenti» e il loro apparire è solo illusione. Il
pensiero essenziale , è quello in cui appare l' impossibilità che l'«Essente»
esca dal «Niente» e vi faccia ritorno: quello in cui appare il perché di questa
impossibilità.
Possiamo indicare
anche semplicemente che: se l' «Essente» provenisse da un passato in cui esso «Non
è» (ossia è Niente) e andasse in un futuro in cui esso torna a «Non Essere», allora,
in assoluto, l' «Essente» sarebbe «Non Essente» cioè non sarebbe «Essente».
Stando al comune modo di pensare possiamo affermare che, in assoluto, la casa
non è casa, la stella non è stella, l' albero non è albero? No , si risponde
subito. Ma allora non si può nemmeno affermare che l' «Essente» non sia «Essente»
, anche se in questo modo ci si avvia lungo un cammino che porta molto lontano
dal comune modo di pensare, cioè al luogo i cui appare che l' «Essente» è «Eterno».
La fretta
con cui si risponde No alla domanda se la casa sia non casa, o la
stella sia non stella, è soltanto la «Volontà» che le cose stiano così. All'interno
di quella fretta, il «Principio di non Contraddizione»
(che appunto afferma in generale l' opposizione tra ogni cosa e ciò che è altro
da essa) è soltanto la «Volontà» che la realtà non sia contraddittoria. Se ci
si ferma a questa «Volontà» si capisce perché Nietzsche giunga ad affermare che
i supremi principi della conoscenza umana (quale, appunto, il Principio di non
Contraddizione) sono soltanto degli imperativi che, certo, servono a vivere, ma
che certamente non sono «Verità Innegabili». Dunque l' opposizione tra l'«Essente»
e il «Non Essente» è come una stella che stia al centro del cielo, che però non
ha il buio attorno a sé, ma brilla insieme alle altre stelle.
Per restare in questa metafora
(che dunque dice ben poco intorno a ciò a cui essa accenna), solo guardando il
«Firmamento» , cioè andando «Oltre Parmenide» in modo essenzialmente diverso da come il pensiero
dell' Occidente ha creduto di andare oltre di lui , è possibile vedere che l'
opposizione tra l'«Essente» e il «Non Essente» non è semplicemente un Postulato,
un Dogma, una Fede, un Imperativo. Il «Firmamento»
corrisponde, al di fuori della metafora, a ciò che nei scritti di E. Severino è
chiamato «Struttura Originaria del Destino della Verità».
Questa «Struttura
Originaria» del 1958 (che costituisce il fondamento del pensiero di E. Severino
(Il Filosofo della Verità, vedi pubbl. Marzo 2013) mostra che le «Cose»
del mondo non possono essere illusione, ma sono «Essenti», e dunque sono «Eterne», «Tutte»; sì che il
loro variare non può essere inteso come il loro provvisorio sporgere dal «Nulla»,
ma come il «Comparire e lo Scomparire degli Eterni».
La «Struttura Originaria» non è
l’ Essere, dunque, non è l’ Immutabile: è l’ apertura di un «Senso», preso nel
significato che tutto ciò che appare è un «Senso» (la Pianta, Il Tavolo, Hegel,
ecc. ecc.), il quale «Senso» è l’ unico rispetto a cui ogni «Negazione» è
impossibile. Dunque l’apertura di un «Senso» all’ interno del quale appare l’impossibilità
di «Negare» che l’ «Ente» sia ciò che appare, e che ciò che appare sia, come
ogni «Ente», «Eterno».
Il Destino
della «Verità» sta al di là di tutto ciò che si è pensato intorno alla «Verità»
e al Destino: è il «Firmamento» del Destino che brilla e da sempre appare nel
più profondo Cuore di ognuno di noi. Vicinissimo e insieme lontanissimo da
esso, Parmenide lo chiama il Cuore, Non Tremante, della ben recintata «Verità».
Con
Parmenide la Filosofia si presenta come sfida al comune modo di pensare
degli uomini e, contrapponendo La «Via della Verità» (Alétheia) alla «Via dell’
Opinione» (Dóxa), apre quell’antitesi tra «Ragione ed Esperienza» che
Empedocle, Anassagora e Democrito tenteranno, in modi diversi, di risolvere .
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