mercoledì 5 novembre 2014

MORALE, TRA SCIENZA E POLITICA


Oggi la Morale è interpellata, invocata, difesa da molte voci importanti. Non si sospetta neppure che essa sia un «sepolcro imbiancato». L' immoralità, e innanzitutto la violenza, non è certo una casa riempita dal sole. È un sepolcro non imbiancato. Ma in un tempo di violenza come il nostro non è immorale e dannoso insinuare il sospetto che la Morale sia un «sepolcro imbiancato»? I problemi del razzismo e dell'immigrazione vengono affrontati in termini umanitari, cioè, daccapo, morali. 
Nella cultura capitalistica si sostiene che un'azienda non può funzionare efficacemente senza Morale. Oggi lo si risente dire anche a proposito della «Politica». Ancora in nome di una comune Morale le religioni del mondo tentano di avvicinarsi tra loro. Gli intellettuali che riescono a farsi sentire esortano: in tono pensoso alcuni, altri con l'ironia e la satira. Esortano a non violare le leggi morali. 
Ma che cos'è la Morale? La complessità del problema è gigantesca. Anche gli addetti ai lavori annaspano. I benpensanti esortano, come bambini che esortano a salire su un convoglio di cui non possono conoscere il funzionamento. Tuttavia esiste un nucleo attorno al quale tendono a convergere le concezioni più disparate della Morale, cristiane e non cristiane, antiche e moderne, e che è anche il loro punto più alto. Esso afferma che un'azione è Morale quando è compiuta con retta intenzione, cioè in «Buona Fede». Anche gli atei dicono: beati gli uomini di Buona Volontà. Alcuni diranno che è un nucleo troppo ristretto; che, ad esempio, bisogna guardare, oltre alle intenzioni, anche alle conseguenze dell'agire. Però nemmeno per costoro (o per chi ritiene indispensabili i Dieci Comandamenti) un'azione è Morale se non è compiuta in «Buona Fede». Ma che significa agire in «Buona Fede»? Generalmente si risponde: significa fare ciò che si è intimamente convinti di dover fare. 
La «Buona Fede» è appunto questa convinzione. Se uno è convinto di dover sacrificare la propria vita per il bene del prossimo, e la sacrifica, costui agisce in «Buona Fede». E anche chi, convinto di doverlo fare, sacrifica un gran numero di vite umane per salvare un popolo intero. Chiediamoci: l'uomo Morale, ossia chi è convinto di dover fare ciò che fa, possiede forse una «Scienza» incontrovertibile, innegabile, necessaria, immodificabile intorno a ciò che egli deve fare? Se rispondiamo di sì, veniamo a dire che solo chi possiede questa «Scienza» può essere un uomo Morale. Agli ignoranti e alla maggior parte degli uomini sarebbe preclusa la possibilità di essere morali. Ma poi, dove mai potremmo trovare quella «Scienza»? L' uomo Morale, dunque, una «Scienza» siffatta non la possiede. Egli è sì intimamente convinto di dover fare ciò che fa, ma questa convinzione è una «Fede», e appunto per questo non si dice che egli sia in buona Scienza, ma che è in «Buona Fede». 
Ma una «Fede», qualsiasi «Fede», è una certezza smentibile, che potrebbe rivelarsi falsa, e il cui contenuto potrebbe non convincere più chi ne era convinto. Si tratta di comprendere che il dubbio non è altro che la situazione di cui abbiamo appena parlato, quella cioè dove, nella «Fede», la Coscienza ha dinanzi qualcosa che non si presenta con i caratteri di una «Scienza» innegabile e assoluta. Ma questo non significa forse che chi ha «Fede» dubita; e non prima o dopo, ma proprio nell'atto in cui ha «Fede», e proprio perché ha «Fede»? Non significa dunque che la «Fede», come pura «Fede» che riesca a liberarsi per un solo momento dal dubbio, non può esistere? Se questo è la «Fede», che ne è allora della «Buona Fede», senza di cui non c' è Morale? Dovremo dire che, come ogni fedele (ateo o religioso) anche chi è in «Buona Fede» dubita. Dubita che quello che egli crede di dover fare sia proprio quello che egli deve fare. Agisce dunque col dubbio di non star facendo quello che deve fare. Sacrifica ad esempio la vita altrui col dubbio di non star facendo quel che egli deve fare. Ma che nome daremo a questa forma di azione se non quello di «Malafede», sia pure di un tipo particolare ed implicito? 
E allora non dovremo dire che all'essenza della «Buona Fede» appartiene la «Malafede»? Qui si poteva solo intravvedere perché ci si è azzardati a dire che la Morale è un «sepolcro imbiancato»: perché la «Buona Fede» è il bianco che ricopre il sepolcro della «Malafede». Chi parlava dei «sepolcri imbiancati» guardava verso una Morale sublime. Ma il pensiero non ci spinge ad affermare che proprio le morali sublimi sono «sepolcri imbiancati»?

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