martedì 18 novembre 2014

ETICA E SCIENZA


C’è una tendenza ad avere un’ immagine della «Scienza» come semplice fornitrice di occasioni, o come semplice strumento in vista della realizzazione di scopi che non appartengono allo strumento ma, al contrario, si vede una profonda solidarietà tra «Etica e Scienza». Bisogna cominciare a chiedersi il significato di queste parole. «Etica» è una parola greca. Non che prima dei Greci non vi fossero problemi di carattere morale, sebbene, col pensiero greco, l' «Etica» acquista una connotazione che potremmo dire inaudita. I popoli vivono e credono di poter vivere meglio se si alleano con ciò che essi ritengono sia per loro la «Potenza Suprema», e questo è abbastanza naturale, poiché per vivere mi appoggio a ciò che ritengo stabile, capace di reggere. Allora, questo agganciarsi a ciò che si ritiene la «Potenza Suprema» è il vivere in un ambiente rassicurante. 
La parola «Etica» indica appunto il luogo in cui si vive, la consuetudine. «Etica» vuol dire: vivere in un luogo rassicurante perché ci si trova in accordo e non in contrapposizione con la «Potenza». Se vivo in un luogo e so che è minacciato, e so di non avere strumenti per difendermi, vado altrove. Invece «Ethos» in greco indica la consuetudine, che è insieme l' ambiente in cui ci si può difendere. Ma difendersi da che cosa? Dal dolore, dalla morte, dall'angoscia, dalla sofferenza, dai pericoli. 
Ora, con il pensiero greco, questo atteggiamento assume una radicalità , appunto , inaudita: la «Potenza» con la quale ci si allea per sopravvivere e per difendersi dal pericolo è ciò che il pensiero greco chiama «Verità». Se ci si allea con una finta «Potenza», allora l'alleanza è insicura; è quindi inevitabile che emerga l'esigenza di allearsi con ciò che è la vera «Potenza», che l' «Ethos» sia l'alleanza con la vera «Potenza». Ma per fare questo bisogna che cominci a esserci l'idea o il significato della parola «Verità». È solo perché il pensiero greco porta alla luce il significato radicale della «Verità», che ci può essere un'alleanza con la «Potenza» vera
Ora, tutto quello che abbiamo detto dell' «Etica» dobbiamo dirlo anche per la «Scienza», che non è affatto quella semplice occasione di opportunità, quella neutralità di cui si parla. No, anche la «Scienza» merita che si dica di essa ciò che già aveva detto Nietzsche: la «Scienza» nasce dalla paura, così come l' «Etica», perché difendersi alleandosi alla «Potenza» vuole dire cercare di andare oltre la paura. Ciò che noi oggi diciamo «Scienza» è lo sviluppo di tutte le tecniche messe in atto dagli uomini per non avere paura e per riuscire a sopravvivere. Qual è l' «Etica» della «Scienza»? La «Scienza» ha ed è di per sé un' «Etica». Perché ha quell'insieme di procedure che, soprattutto oggi, dà agli uomini la «Fede», la convinzione che essa sia lo strumento che più efficacemente di altri consente di allontanare la paura. Allora «Etica» significa difendersi dalla paura alleandosi alla «Potenza», che oggi viene dalla «Scienza» identificata con la «Potenza» soprattutto Tecnologica; in questo «Senso» non c' è scissione tra «Etica e Scienza». 
Nella tradizione, la vera «Potenza» è quella «Verità» il cui contenuto è soprattutto il Dio, quindi la «Potenza» di una conoscenza indiscutibile che dice in modo indiscutibile: il vero potente è Dio. Oggi non si dice più così, anche se si dice una cosa simile; è cambiato il protagonista, è cambiata la qualifica del potente. 
Oggi il vero potente è la «Tecnica». La «Tecnica» è l' erede della funzione di rassicurazione che nella tradizione veniva compiuta da Dio (Vedi Pubbl. Genn. e Febbr. 2014 in merito alla Tecnica). Da sempre, ma soprattutto nell'età moderna, ciò che si dice «Scienza» è Specializzazione, che separa un certo campo di oggetti, o di cose, da tutti gli altri e lo analizza in base a precisi criteri e metodi. L’analisi appartiene, da sempre, alla Filosofia. Quando uno scienziato considera i rapporti tra il proprio campo e la Filosofia, non parla dunque in nome della propria disciplina. Si porta sul piano della Filosofia, con maggiore o minore coscienza; vi si porta inevitabilmente, e, d'altra parte, anche quando si chiude nel proprio terreno, si appoggia pur sempre a qualcosa che gli è esterno, cioè al «Senso» che il pensiero filosofico ha attribuito alla «Cosa», all'oggetto. 
Anche gli individui seguono (e tradiscono) certe specifiche regole di comportamento. In questo «Senso» delimitano a loro volta un dominio particolare di cose, sono essi stessi, gli individui, specializzazioni. Si muovono però sempre, volenti o nolenti, all'interno delle grandi regole etiche seguite (e tradite) dai popoli a cui appartengono. Ma se oggi nemmeno a uno scienziato è consentito dominare l'intera ricchezza della propria disciplina, come può pretendere la Filosofia di comprendere addirittura il fenomeno «Scienza» nel suo insieme? O di comprendere la storia dell'Occidente? 
La Filosofia del nostro tempo tende a rispondere che questo è impossibile. E, infatti, se le cose vengono dal «Nulla» e vi ritornano, sono essenzialmente estranee le une alle altre, cioè non può esistere né essere conosciuto alcun principio che le unifichi. Il «Senso» greco della «Cosa» sta al fondamento di ogni separare, isolare, specializzarsi dell'Occidente. Oggi quel «Senso» si esprime nell'affermazione che il mondo intero è un insieme di frammenti e che la conoscenza autentica è Specializzazione. Senonché , anche questa affermazione getta uno sguardo sul mondo e ne scorge l' Essenza unificante e vede che questa Essenza è la frammentarietà stessa del mondo, la stessa divisione delle «Cose». Ciò significa che, in qualche modo, la manifestazione del «Senso» unitario del mondo è inevitabile; e che tale manifestazione continua a essere il compito della Filosofia.

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