venerdì 4 aprile 2014

SANT'AGOSTINO: «LA VERITA' E' LA LUCE DI DIO, LA VERITA' E' «DIO»


Fondendo originalmente il Verbo Cristiano con il Logo Greco, Agostino intese la Filosofia come ricerca interiore, come «via» per conoscere se stessi e, attraverso se stessi, Dio: «l’Uno, l’Essenziale, l’Immutabile». «Non volere uscire fuori di te, ritorna in te stesso, la “Verità” abita nell’interno dell’uomo, e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Ma ricordati che quando trascendi te stesso, tu trascendi l’anima tua razionale. Tendi dunque là dove s’accende la «Luce» della ragione» (De vera religione XXXIX,72)

Il Pensiero di Agostino consistette nel tentativo grandioso di tenere uniti la «Ragione e il Sentimento», lo «Spirito e la Carne», il «Pensiero pagano e la Fede cristiana». Agostino introdusse alcuni concetti nuovi marcatamente religiosi e attinenti in particolare alla «Fede cristiana»: sostituì ad esempio la teoria della reminiscenza delle «Idee» con quella dell' «Illuminazione Divina»; concepì la «Creazione dell'Universo» non semplicemente come un processo «Necessario» tramite il quale Dio si manifesta e produce se stesso, ma come un «Libero Atto d'Amore», tale cioè che si sarebbe anche potuto non realizzare. E soprattutto, il Dio di Agostino non è quello impersonale di Plotino, ma è un Dio «Vivente» che si è fatto «Uomo». 

Secondo Agostino anche il «Mondo» e gli «Enti corporei», essendo frutti dell'«Amore Divino», hanno un loro valore e significato. Alcune delle questioni fondamentali a cui Agostino cercava una risposta erano in particolare le seguenti: Se c'è Dio, che è buono e vuole il «Bene» per le sue creature, perché allora permette che ci sia il «Male» e il «Dolore»? E perché l'uomo, che pure è fatto a «Sua» immagine e somiglianza, compie deliberatamente il «Male»? Prima della propria conversione al Cristianesimo, Agostino aderì alla dottrina manichea: questa presumeva di spiegare il «Male» facendone uno dei due Princìpi che, insieme al «Bene», hanno creato il Mondo. 

Dopo aver preso in considerazione la vita di Gesù Cristo, però, egli ritenne insoddisfacente una tale spiegazione. Cristo infatti aveva sconfitto il «Male», pur attraverso una lunga tribolazione nella quale si era sottoposto volontariamente ad esso. Ciò comportava una serie di altre domande: Ma allora Dio, che può tutto ed è perfetto, perché ha dovuto subire il «Male» per riuscire a vincerlo? E se questo accade, Egli è ancora un Dio Onnipotente? I vari tentativi di risposta condussero Agostino a ipotizzare che esistono almeno tre tipi di «Male». 

IL «Male Metafisico»: nell’universo esistono gradi inferiori di «Essere» rispetto a Dio, dipendenti dalla limitatezza delle cose create, dai difetti insiti nella materia: proprio da questo deriva il «Male». Ma ciò che ad una superficiale considerazione appare come un difetto, visto nell'ottica dell’Universo scompare: ogni «Cosa», anche la più insignificante o nociva, ha un suo «Senso» ed una sua «Ragione d’Essere» nella totalità della Creazione. 

IL «Male Morale»: è il «Peccato», che nasce dalla «Cattiva Volontà». La nostra «Volontà» dovrebbe tendere al «Bene Sommo», ma poiché esistono molti «Beni», l’uomo può tendere a questi, preferendo la «Creatura al Creatore», i «Beni Inferiori a quelli Superiori», la «Materia allo Spirito». Il «Peccato» deriva allora dallo sbagliare nella scelta del «Bene» a cui puntare. 

IL «Male Fisico»: La sofferenza non è causata da un Dio maligno che tormenta gli uomini ma deriva dalla debolezza fisica: malattia, sofferenza, morte, tormenti dell’animo...sono conseguenze del «Peccato Originale», conseguenze del «Male Morale». Sant’Agostino dice che, con il «Peccato Originale», non la carne ha reso l’anima peccatrice, ma è l’anima peccatrice che ha reso il corpo corruttibile. Nella lettera ai Corinzi, Paolo scrive che il «pungiglione» della morte è il «Peccato» (15,56). 

Ma il vero «Male», per Sant'Agostino, è quello «Morale», ovvero il «Peccato» che deriva dal «Libero Arbitrio» dell’uomo (vedi Pubbl. Marzo 2013) indebolito dalla corruzione operata dal cosiddetto «Peccato Originale». Al concetto del «Libero Arbitrio», il Santo collega i problemi della «Libertà, della Grazia e dell'Amore». Ecco allora che il problema del «Male» si connette con quello della «Libertà umana». 

Se l'uomo non fosse libero, egli non avrebbe meriti, né colpe. Il dilemma che si pone con questa affermazione è se esista il «Libero Arbitrio» oppure la «Predestinazione», problema che si è venuto a creare in seguito al «Peccato Originale»: Dio, che è «Onnisciente» e conosce il futuro, ha dato piena «Libertà» all'uomo, ma sa che, lasciandolo libero, questi peccherà. Dio potrebbe anche intervenire per impedirglielo, ma non lo fa per non interferire col suo «Libero Arbitrio»; l'uomo, così peccando, ha commesso il «Peccato Originale», con cui ha compromesso la propria «Libertà», volgendola contro se stessa. Sebbene egli sia divenuto indegno di ricevere la «Salvezza», Dio, conoscendo le sue possibili scelte verso il «Male» o verso il «Bene», dona ad alcuni, con la «Grazia», la possibilità di «Salvarsi», mentre ad altri lascia la «Libertà» di «Dannarsi»; tuttavia, questa non è una scelta divina arbitraria, ma è semplicemente la «Prescienza» di Dio che, nell'«Eternità» (cioè oltre il tempo), vede coloro che possono ricevere la «Grazia» e coloro che non possono. Questi ultimi anche se la ricevessero non solo non si salverebbero, ma si «Dannerebbero» ancor più. 

Per Agostino dunque la «Volontà» di Dio precorre semplicemente la «Volontà» dell'uomo, non la costringe, poiché tale nostra «Volontà» è l'unica davvero che ci renda meritevoli della «Salvezza» o della «Dannazione»; infatti, anche se nessun uomo potrebbe salvarsi con la sola propria «Volontà», coloro che potrebbero salvarsi vengono soccorsi dalla «Grazia Divina», che li aiuta nella loro predisposizione. Tale concetto si spiega nella risposta evangelica di Cristo ai suoi discepoli, che gli avevano chiesto: «Chi si potrà dunque salvare?». E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile. » (Matteo 19,25-26). Sarebbe d'altronde impossibile indagare le ragioni per cui Dio interviene a favore di alcuni e non di altri, perché noi non abbiamo titoli per criticare Dio. Agostino si rifà in proposito alle parole di Paolo di Tarso: «O uomo, chi sei tu per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: "Perché mi hai fatto così?". Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare?». 

Fondamento della «Libertà» umana è dunque per Agostino la «Grazia Divina», perché solo con la «Grazia» l'uomo diventa capace di dare attuazione alle proprie scelte morali. Va distinto in proposito il «Libero arbitrio», che è il desiderio di scegliere in linea teorica tra il «Bene e il Male», dalla «Libertà», che è invece la «Volontà» di mettere in pratica queste scelte. 

Secondo Agostino il «Tempo» è una creatura di Dio ; la sua dimensione è quella dell' «Eternità». Dio è «Principio e Fine», «Alfa e Omega». L'Universo non deriva da una divinità imperfetta, che abbia sentito il bisogno, la mancanza di creare, ma ne richiede l'esistenza, poiché il «Tempo» e l'evoluzione del creato, che sono all'interno di Dio, sarebbero inconcepibili senza una coscienza creatrice, preesistente a quella dell'uomo, che è il fine ultimo dell'opera divina. Se il «Tempo», però, non è un problema per Dio, esso lo è per la comprensione degli uomini. Il «Tempo» è, infatti, una strana realtà: il «passato» non è più, il «futuro» non è ancora e il «presente» non posso identificarlo nell'istante attuale, perché questo è subito trascorso, non è più. Quindi è una realtà costituita dal «Non-Essere» ma che modifica l' «Essere».

La soluzione di Agostino, che anticipava quella di Henri Bergson, fu assolutamente originale: per concepire il «Tempo», realtà dinamica, non si può utilizzare una definizione «statica», ma una «dinamica»; come non si può concepire un fiume sempre diverso per le sue acque se non esistesse il letto su cui scorrono, così lo scorrere del «Tempo» è accompagnato dalla «coscienza» che permette che si abbia la comprensione del «Tempo» come «memoria del passato», «attenzione al presente» e «attesa del futuro». Tre sono i tempi, «passato, presente e futuro»; ma forse si potrebbe propriamente dire: tre sono i tempi, il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro. Infatti questi tre tempi sono in qualche modo nell'«animo», né vedo che abbiano altrove realtà: il presente del passato è la «memoria», il presente del presente la «visione diretta», il presente del futuro l'«attesa»... Il tempo non mi pare dunque altro che una estensione (distensio), e sarebbe strano che non fosse estensione dell'animo stesso». (Confessiones XI, 14, 17: 20, 26; 26, 33). 

Nel pensiero di Agostino permane come esigenza fondamentale l'ansia e la ricerca della «Verità». Poiché l'indagine filosofica e la vita religiosa in lui coesistono e sono inseparabili, una tale ricerca si pone sul piano religioso. Ad esempio, egli affermava che i classici antichi sono solo una preparazione al Cristianesimo: se Cristo fosse vissuto al tempo di Socrate, Platone ed Aristotele, sicuramente costoro ne sarebbero diventati «Discepoli». Per Agostino, l'uomo deve vivere secondo la propria «Ragione», che è ciò che più lo caratterizza e, attraverso un percorso esistenziale, arrivare alla conoscenza di come stanno le «Cose» del mondo. Per evitare orientamenti errati nel proprio cammino di vita, bisogna confutare con l'ausilio della «Ragione» quelle filosofie che negano la «Verità», ad esempio lo «Scetticismo». È la «Verità» che sconfigge le ombre dello «Scetticismo», manifestandosi come la confutazione dell' «Errore». Agostino affermava che la «Verità» esiste: partendo dal dubbio scettico arrivava ad una certezza, perché non potrei dubitare se non ci fosse una «Verità» che appunto al dubbio si sottrae. 

L'intuizione con cui il dubbio si rende consapevole nella mia mente è già la «Verità» stessa che si fa strada: «Io provo a dubitare di tutto», diceva il filosofo, «ma, certamente, anche con il dubbio più radicale, sono certo che sto dubitando». Dunque: «Si enim fallor sum. Nam qui non est, utique nec falli potest, ac per hoc sum si fallor» («Se infatti mi sbaglio, vuol dire che esisto: chi non esiste non può nemmeno sbagliarsi; dunque, siccome mi sbaglio, esisto»). Almeno fino alla concezione cartesiana, esistevano due tipi di dubbio: il «dubbio scettico», un dubbio totale, radicale, che coinvolge tutto l'uomo e porta alla negazione della conoscenza e della «Verità»; il «dubbio agostiniano», un dubbio totale, ma non radicale, da cui hanno origine le certezze di cui l'uomo ha bisogno. Le caratteristiche della «Verità» per Agostino sono le seguenti: La «Verità» è «Infinita, Perfetta, Eterna», ed esisterà anche se il mondo scomparirà; La «Verità» si trova nel «mondo interiore dell'uomo», mentre gli scettici sostenevano che non vi fosse alcuna «Verità» o meglio che non fosse possibile trovarla; La «Verità» viene da Dio, che è presente nell'«Anima di ogni uomo». Ma la «Verità» è presente anche nell'uomo, quindi la «Verità» è la luce di Dio, la «Verità» è Dio. Questa concezione collega Agostino a Plotino che affermava che la divinità, cioè l' «Uno», è la «Verità».

Il processo conoscitivo, sostiene infatti Agostino, non può che nascere all'inizio dalla «Sensazione», nella quale il corpo è passivo, ma poi interviene l' «Anima» che giudica le cose sulla base di criteri che vanno oltre gli oggetti corporei. Egli osserva come ad esempio i concetti matematico-geometrici che applichiamo agli oggetti corporei abbiano le caratteristiche spirituali della «necessità, dell'immutabilità, e della perfezione», mentre gli oggetti in sé sono contingenti. Per esempio nessuna simmetria, nessun concetto perfetto si potrebbe riconoscere nei corpi se l'intelligenza non conoscesse già in anticipo questi criteri di perfezione. Da dove deriva questa perfezione? La risposta è che al di sopra della nostra mente c'è una somma «Verità», una «ratio superior», ossia più elevata del Mondo sensibile, dove le «Idee» restano immutate nel tempo e ci permettono di descrivere la realtà degli oggetti contingenti. Si può notare come Agostino assimili quei concetti perfettissimi alle «Idee» di Platone, ma diversamente da quest'ultimo egli le concepisce come i pensieri di Dio che noi intuiamo non in virtù della platonica reminiscenza, ma grazie a un' illuminazione operata direttamente da Dio. 

L'intelletto umano trova la «Verità» come Oggetto ad esso superiore: la «Verità» misura di tutte le «Cose», e lo stesso intelletto è misurato rispetto ad essa, al punto tale che in riferimento alla «Verità» non si potrebbe neppure parlare propriamente di Oggetto, bensì di Soggetto. È come se Dio, in quanto essere intelligibile, fosse un sole che illuminando tutte le «Cose» le rende perciò intelligibili: come è necessaria una luce corporea per vedere gli oggetti intorno a noi, così occorre gettare un'altra luce incorporea (Dio) per vedere le «Idee». 

La dimostrazione della «Verità» coincide quindi con quella dell'«Esistenza di Dio». In proposito, il filosofo utilizzava un ragionamento per assurdo per dimostrare l' «Eternità della Verità»: se un giorno la «Verità» non esistesse più, allora sarebbe vero che essa non esiste più. Ciò sarebbe un'assurda contraddizione in termini, per cui la «Verità» deve essere «Eterna». Essa scaturisce da un duplice movimento: da un lato l' «Anima» la cerca, secondo un assunto che presenta notevoli influenze platoniche: la fuga dal corpo avviene perché l' «Anima» ricerchi la «Verità». In questa ricerca ci sono anche influenze socratiche che si rifanno al motto «conosci te stesso». Dall'altro però, anche Dio vuole farsi conoscere dall'uomo, perché non è il Dio impersonale dei platonici: Egli ama le sue creature. Parafrasando San Paolo, Agostino affermava che l'uomo può raggiungere la «Verità», ma non la può possedere, poiché sarebbe possedere Dio; piuttosto, l'uomo ne viene posseduto. 

Ciò significa che Dio, per un verso, è «Immanente» alla ragione umana, cioè è presente dentro di noi come condizione del nostro pensare: i nostri pensieri nascono da Lui, sebbene Egli sia «inconscio» e prema perciò per affiorare alla nostra «coscienza». Per altro verso, però, Dio è «Trascendente», cioè è assolutamente Altro da noi: Egli è il traguardo ultimo dei nostri pensieri che sbadatamente rivolgiamo agli oggetti finiti. Poiché Dio è Infinito, non possiamo racchiuderlo in una definizione esaustiva. Per questo, nel risalire a Lui, occorre andare «oltre» i confini della nostra «Ragione», fino a vivere l' «estasi» intuitiva, nella quale Dio e il Mondo, che prima erano separati da un insormontabile divario, finalmente si riconciliano: «Il nostro cuore non ha pace finché non riposi in Te».

Donando la «Fede», Dio esaudisce così la richiesta di «Senso» da parte della «Ragione». Agostino cercò di approfondire il rapporto tra «Fede e Ragione» soprattutto in seguito alla polemica contro i manichei che giudicavano la religione cristiana credulona e primitiva. Per Agostino la «Fede cristiana» non è mai disgiunta dalla «Razionalità»: nel rapporto con Dio, il «Credere e il Comprendere» si condizionano a vicenda. Si crede purché si comprenda, e si comprende purché si creda. Agostino si accorse che il «Credere» è una condizione ineliminabile della vita umana, tutta fondata su credenze che noi prendiamo per buone prima di averle personalmente sperimentate. A ben guardare, tutte le nostre conoscenze si fondano su atti di «Fede», i quali però una volta accolti rendono possibile una coscienza critica, mostrando così la loro sensatezza. Questo è il significato del (credo ut intelligam), cioè «credo per poter comprendere». E a sua volta il «Comprendere» aiuta a riconoscere come vero ciò che prima andava accolto ciecamente per un atto di «Fede»: questo è il significato dell' (intellego ut credam), cioè «comprendo per poter credere». Si tratta anche qui di concetti di derivazione neoplatonica che vedono l' «Essere e il Pensiero», la «Realtà e la Ragione», uniti indissolubilmente in un rapporto di reciproca complementarità. 

Agostino affermò tra l'altro che il pensiero umano possiede una natura a immagine e somiglianza di quella divina, «Trinitaria», con tre funzioni per un solo «Ente»: pensare, intendere e volere, distinte e sovrapponibili. Un intervento del creatore in questa direzione induce nell'uomo una fiducia nelle proprie capacità intellettuali. La «Ragione» infatti si costituisce come tale solo in quanto si fa espressione del Principio sovra-razionale da cui emana, ma poiché essa non lo può dedurre da sé in termini logici, ha per questo bisogno di una «Rivelazione» da parte di Dio stesso, che venga incontro all'uomo illuminandolo. La «Fede» è dunque il completamento della «Teologia Negativa», presentandosi come l'aspetto positivo e rivelato di Dio. In virtù del nesso che lega il «Credere e il Capire», la Chiesa cattolica e le Scritture hanno per Agostino titoli sufficienti per poter richiedere «Fede» nelle loro affermazioni. 

Grande impegno richiese ad Agostino lo studio della natura della «Trinità Cristiana». Da giovane egli riteneva che questa fosse assimilabile alle tre «Ipostasi» di Plotino (Uno, Intelletto e Anima): comunque Agostino, profondendosi nella lunga elaborazione del «De Trinitate», andò oltre la concezione di Plotino e interpretò le sue «Ipostasi» in «Senso» analogico, come un particolare modo di esprimere la «Triade Divina», riconducibile a tre momenti, tre facoltà spirituali di una stessa realtà che rimane pur sempre «Una»: non le vide più subordinate l'una all'altra, ma in un rapporto paritario. L'impronta di questa «Triade» nell'uomo è rintracciabile diversamente a seconda della prospettiva con cui la si guardi. I tre momenti di cui consta possono essere ad esempio: «Spirito, Conoscenza, Amore»; oppure «Memoria, Intelligenza, Volontà»; oppure «esse, nosse, velle» (essere, conoscere, volere). Nella prospettiva dell'Amore, Padre, Figlio e Spirito Santo corrispondono all'Amante, all'Amato e all'Amore: Rispetto all'ortodossia greco-orientale che insisteva sulla distinzione fra le tre Persone della «Trinità», Agostino resta quindi fedele alla tradizione latina dandone un'interpretazione unitaria; per lui le tre Persone sono solo tre modi di agire, tre forme di relazione di un'unica sostanza divina. 

Secondo Agostino, si possono identificare due città, ovvero due comunità fondamentali in cui sono riuniti gli esseri umani: la «Città di Dio», cioè la comunità di coloro cui la «prescienza» divina ha accordato la «Fede» in virtù della sua «Grazia», e che saranno destinati a salvarsi e risorgere. E la «Città degli uomini», ovvero la comunità governata dall'amor sui (dall'amore di sé) e delle ricchezze terrene, opposta alla prima. Secondo Agostino, tuttavia, permaneva un abisso tra Dio e il Mondo. La «Divina provvidenza», pur guidando il cammino dell'umanità, rimane esterna e trascendente rispetto ad esso: lo guida, nel senso che l'indirizza fino al punto in cui la Storia avrà termine, per sboccare in ciò che è «Oltre il Tempo». Principio e Fine restano pertanto al di là e «trascendenti» . Nella «Città di Dio» Agostino ha coniato una formula che l'avvicina molto a Cartesio: «si fallor, sun (Se m'inganno, sono)» (XI,26). Su questa certezza e indefettibilità della «Verità» Agostino ha imbastito la sua prova della «Immortalità dell'Anima». Ma nella dimostrazione dell'Immortalità non va oltre questo polisillogismo, che è di derivazione platonica e diventerà luogo comune del pensiero Cristiano:«se la "Verità" è indistruttibile, l'Anima, sede della "Verità", lo è essa pure.» 

Agostino fece riflessioni anche sulle «passioni» e sui «desideri» dell'uomo; egli affermava che, esistendo «Volontà» in tutte le passioni, le passioni altro non sono che la «Volontà» stessa. I vari sentimenti umani non sono altro che l'espressione e la manifestazione della nostra «Volontà»; tale legame fra «Volontà e Sentimenti» è testimoniato dal sentimento più forte, ovvero l' «Amore»: il «Motore della Volontà». 

Il problema Morale proposto da Agostino dunque riguardava il «Cosa amare», e non il perché amare o se amare. A questa domanda, Agostino rispondeva che, tra le infinite cose che si possono amare, si possono distinguere due «vie d'Amore»: l' «Amore per le Creature», che porta al disprezzo del Creatore, e l' «Amore per il Creatore», che porta al disprezzo delle Creature. Il punto centrale della Morale agostiniana è proprio la «Carità» (dal latino charitas), intesa nel «Senso» originale di «Amore», che deve tendere verso Dio, poiché Dio stesso ne è sorgente; infatti, se la «Volontà» procede naturalmente verso un qualche «Bene», seppur basso, dunque deve e può procedere verso Colui che è il «Bene Assoluto», poiché il «Bene Assoluto» richiama l' «Amore» come l' «Amore» richiama il «Bene Assoluto» stesso. L' «Amore» a cui Agostino si dedicò in particolare durante i suoi anni di vescovato, tende per natura ad unire, cioè all'«Uno». La «Radice dell'Amore», quindi, è l' «unione con Dio» attraverso la quale nasce e si nutre l' «Amore», che, ponendosi come centro della «Morale» e della «Volontà», non può che generare il «Bene».















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