Fondendo originalmente il Verbo Cristiano con il Logo Greco, Agostino
intese la Filosofia come ricerca interiore, come «via» per conoscere se stessi
e, attraverso se stessi, Dio: «l’Uno, l’Essenziale, l’Immutabile». «Non volere
uscire fuori di te, ritorna in te stesso, la “Verità” abita nell’interno
dell’uomo, e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Ma
ricordati che quando trascendi te stesso, tu trascendi l’anima tua razionale.
Tendi dunque là dove s’accende la «Luce» della ragione» (De vera religione XXXIX,72)
Il Pensiero di Agostino consistette nel tentativo grandioso di tenere uniti la «Ragione e il Sentimento», lo «Spirito e la Carne», il «Pensiero pagano e la Fede cristiana». Agostino introdusse alcuni concetti nuovi marcatamente religiosi e attinenti in particolare alla «Fede cristiana»: sostituì ad esempio la teoria della reminiscenza delle «Idee» con quella dell' «Illuminazione Divina»; concepì la «Creazione dell'Universo» non semplicemente come un processo «Necessario» tramite il quale Dio si manifesta e produce se stesso, ma come un «Libero Atto d'Amore», tale cioè che si sarebbe anche potuto non realizzare. E soprattutto, il Dio di Agostino non è quello impersonale di Plotino, ma è un Dio «Vivente» che si è fatto «Uomo».
Il Pensiero di Agostino consistette nel tentativo grandioso di tenere uniti la «Ragione e il Sentimento», lo «Spirito e la Carne», il «Pensiero pagano e la Fede cristiana». Agostino introdusse alcuni concetti nuovi marcatamente religiosi e attinenti in particolare alla «Fede cristiana»: sostituì ad esempio la teoria della reminiscenza delle «Idee» con quella dell' «Illuminazione Divina»; concepì la «Creazione dell'Universo» non semplicemente come un processo «Necessario» tramite il quale Dio si manifesta e produce se stesso, ma come un «Libero Atto d'Amore», tale cioè che si sarebbe anche potuto non realizzare. E soprattutto, il Dio di Agostino non è quello impersonale di Plotino, ma è un Dio «Vivente» che si è fatto «Uomo».
Secondo Agostino anche il «Mondo» e gli «Enti corporei», essendo frutti dell'«Amore Divino», hanno un loro
valore e significato. Alcune delle questioni fondamentali a cui Agostino
cercava una risposta erano in particolare le seguenti: Se c'è Dio, che è buono
e vuole il «Bene» per le sue creature, perché allora permette che ci sia il «Male»
e il «Dolore»? E perché l'uomo, che pure è fatto a «Sua» immagine e
somiglianza, compie deliberatamente il «Male»? Prima della propria conversione
al Cristianesimo, Agostino aderì alla dottrina manichea: questa presumeva di
spiegare il «Male» facendone uno dei due Princìpi che, insieme al «Bene», hanno
creato il Mondo.
Dopo aver preso in
considerazione la vita di Gesù Cristo, però, egli ritenne
insoddisfacente una tale spiegazione. Cristo infatti aveva sconfitto il «Male»,
pur attraverso una lunga tribolazione nella quale si era sottoposto
volontariamente ad esso. Ciò comportava una serie di altre domande: Ma allora Dio, che può
tutto ed è perfetto, perché ha dovuto subire il «Male» per riuscire a vincerlo?
E se questo accade, Egli è ancora un Dio Onnipotente? I
vari tentativi di risposta condussero Agostino a ipotizzare che esistono almeno
tre tipi di «Male».
IL «Male Metafisico»: nell’universo esistono gradi
inferiori di «Essere» rispetto a Dio, dipendenti dalla limitatezza delle cose
create, dai difetti insiti nella materia: proprio da questo deriva il «Male».
Ma ciò che ad una superficiale considerazione appare come un difetto, visto
nell'ottica dell’Universo scompare: ogni «Cosa», anche la più insignificante o
nociva, ha un suo «Senso» ed una sua «Ragione d’Essere» nella totalità della
Creazione.
IL «Male Morale»: è il «Peccato», che nasce dalla «Cattiva Volontà». La nostra «Volontà»
dovrebbe tendere al «Bene Sommo», ma poiché esistono molti «Beni», l’uomo può
tendere a questi, preferendo la «Creatura al Creatore», i «Beni Inferiori a
quelli Superiori», la «Materia allo Spirito». Il «Peccato» deriva allora dallo
sbagliare nella scelta del «Bene» a cui puntare.
IL «Male Fisico»: La sofferenza non è causata da un Dio
maligno che tormenta gli uomini ma deriva dalla debolezza fisica: malattia,
sofferenza, morte, tormenti dell’animo...sono conseguenze del «Peccato
Originale», conseguenze del «Male Morale». Sant’Agostino dice che, con il
«Peccato Originale», non la carne ha reso l’anima peccatrice, ma è
l’anima peccatrice che ha reso il corpo corruttibile. Nella lettera ai
Corinzi, Paolo scrive che il «pungiglione» della morte è il «Peccato» (15,56).
Ma il vero «Male», per Sant'Agostino, è quello «Morale»,
ovvero il «Peccato» che deriva dal «Libero Arbitrio» dell’uomo (vedi
Pubbl. Marzo 2013) indebolito
dalla corruzione operata dal cosiddetto «Peccato Originale». Al concetto del
«Libero Arbitrio», il Santo collega i problemi della «Libertà, della Grazia e dell'Amore».
Ecco allora che il problema del «Male»
si connette con quello della «Libertà umana».
Se l'uomo non fosse libero, egli non avrebbe meriti, né
colpe. Il dilemma che si pone con questa affermazione è se esista il «Libero Arbitrio»
oppure la «Predestinazione»,
problema che si è venuto a creare in seguito al «Peccato Originale»:
Dio, che è «Onnisciente» e conosce il futuro, ha dato piena «Libertà» all'uomo,
ma sa che, lasciandolo libero, questi peccherà. Dio potrebbe anche intervenire
per impedirglielo, ma non lo fa per non interferire col suo «Libero Arbitrio»;
l'uomo, così peccando, ha commesso il «Peccato Originale»,
con cui ha compromesso la propria «Libertà»,
volgendola contro se stessa. Sebbene egli sia divenuto indegno di ricevere la «Salvezza»,
Dio, conoscendo le sue possibili scelte verso il «Male» o verso il «Bene», dona
ad alcuni, con la «Grazia»,
la possibilità di «Salvarsi», mentre ad altri lascia la «Libertà» di «Dannarsi»;
tuttavia, questa non è una scelta divina arbitraria, ma è semplicemente la «Prescienza» di Dio che, nell'«Eternità» (cioè oltre il tempo), vede coloro che
possono ricevere la «Grazia» e coloro che non possono. Questi ultimi anche se
la ricevessero non solo non si salverebbero, ma si «Dannerebbero» ancor
più.
Per Agostino dunque la «Volontà» di Dio precorre semplicemente la «Volontà»
dell'uomo, non la costringe, poiché tale nostra «Volontà» è l'unica davvero che
ci renda meritevoli della «Salvezza» o della «Dannazione»; infatti, anche se nessun uomo
potrebbe salvarsi con la sola propria «Volontà», coloro che potrebbero salvarsi
vengono soccorsi dalla «Grazia Divina», che li aiuta nella loro
predisposizione. Tale concetto si spiega nella risposta evangelica di Cristo ai suoi discepoli, che gli
avevano chiesto: «Chi si potrà dunque salvare?». E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è
impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile. » (Matteo 19,25-26). Sarebbe d'altronde impossibile
indagare le ragioni per cui Dio interviene a favore di alcuni e non di altri,
perché noi non abbiamo titoli per criticare Dio. Agostino si rifà in proposito
alle parole di Paolo di Tarso: «O uomo, chi sei
tu per disputare con Dio? Oserà forse
dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: "Perché mi hai fatto
così?". Forse il vasaio non è
padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e
uno per uso volgare?».
Fondamento
della «Libertà» umana è dunque per Agostino la «Grazia Divina», perché solo con la «Grazia» l'uomo
diventa capace di dare attuazione alle proprie scelte morali. Va distinto in
proposito il «Libero arbitrio», che è il
desiderio di scegliere in linea teorica tra il «Bene e il Male», dalla «Libertà», che è invece la «Volontà» di mettere
in pratica queste scelte.
Secondo Agostino il «Tempo» è una creatura di Dio ; la sua dimensione è quella dell' «Eternità». Dio è «Principio e Fine», «Alfa e Omega». L'Universo
non deriva da una divinità imperfetta, che abbia sentito il bisogno, la
mancanza di creare, ma ne richiede l'esistenza, poiché il «Tempo» e
l'evoluzione del creato, che sono all'interno di Dio, sarebbero inconcepibili
senza una coscienza creatrice, preesistente a quella dell'uomo, che è il fine ultimo
dell'opera divina. Se il «Tempo», però, non è un problema per Dio, esso lo è
per la comprensione degli uomini. Il «Tempo» è, infatti, una strana realtà: il «passato» non è più, il «futuro» non è ancora e il «presente» non posso identificarlo nell'istante attuale, perché questo è subito trascorso, non è più. Quindi è una
realtà costituita dal «Non-Essere» ma che modifica l' «Essere».
La soluzione di
Agostino, che anticipava quella di Henri Bergson, fu assolutamente originale: per
concepire il «Tempo», realtà dinamica, non si può utilizzare una
definizione «statica», ma una «dinamica»; come non si può concepire un fiume
sempre diverso per le sue acque se non esistesse il letto su cui scorrono, così
lo scorrere del «Tempo» è accompagnato dalla «coscienza» che permette che
si abbia la comprensione del «Tempo» come «memoria
del passato», «attenzione al presente» e «attesa del futuro». Tre sono i tempi, «passato, presente e futuro»; ma forse si potrebbe propriamente dire: tre sono i tempi,
il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro.
Infatti questi tre tempi sono in qualche modo nell'«animo», né vedo che abbiano
altrove realtà: il presente del passato è la «memoria», il presente del presente la «visione diretta», il presente del
futuro l'«attesa»... Il tempo non
mi pare dunque altro che una estensione (distensio), e sarebbe strano che non
fosse estensione dell'animo stesso». (Confessiones XI, 14, 17:
20, 26; 26, 33).
Nel pensiero di
Agostino permane come esigenza fondamentale l'ansia e la ricerca della «Verità». Poiché l'indagine filosofica e la vita religiosa in lui coesistono e sono inseparabili,
una tale ricerca si pone sul piano religioso. Ad esempio, egli affermava che i
classici antichi sono solo una preparazione al Cristianesimo: se Cristo fosse vissuto al tempo di Socrate, Platone ed Aristotele, sicuramente costoro ne sarebbero
diventati «Discepoli». Per Agostino, l'uomo deve vivere secondo la propria «Ragione», che è ciò che più lo caratterizza e,
attraverso un percorso esistenziale, arrivare alla conoscenza di come stanno le
«Cose» del mondo. Per evitare orientamenti errati nel proprio cammino di vita,
bisogna confutare con l'ausilio della «Ragione» quelle filosofie che negano la «Verità»,
ad esempio lo «Scetticismo». È la «Verità»
che sconfigge le ombre dello «Scetticismo», manifestandosi come la confutazione
dell' «Errore». Agostino affermava che la «Verità»
esiste: partendo dal dubbio scettico arrivava ad una certezza, perché non
potrei dubitare se non ci fosse una «Verità» che appunto al dubbio si sottrae.
L'intuizione con cui il dubbio si rende consapevole nella mia mente è già la «Verità»
stessa che si fa strada: «Io provo a dubitare di tutto», diceva il filosofo,
«ma, certamente, anche con il dubbio più radicale, sono certo che sto
dubitando». Dunque: «Si enim fallor sum. Nam qui non est, utique nec falli
potest, ac per hoc sum si fallor» («Se infatti mi sbaglio, vuol dire che
esisto: chi non esiste non può nemmeno sbagliarsi; dunque, siccome mi sbaglio,
esisto»). Almeno fino alla concezione cartesiana, esistevano due tipi di dubbio: il «dubbio
scettico», un dubbio totale, radicale, che coinvolge tutto l'uomo e porta alla
negazione della conoscenza e della «Verità»; il «dubbio agostiniano», un dubbio
totale, ma non radicale, da cui hanno origine le certezze di cui l'uomo ha bisogno.
Le caratteristiche della «Verità»
per Agostino sono le seguenti: La «Verità» è «Infinita, Perfetta, Eterna», ed
esisterà anche se il mondo scomparirà; La «Verità» si trova nel «mondo
interiore dell'uomo», mentre gli scettici sostenevano che non vi fosse alcuna «Verità»
o meglio che non fosse possibile trovarla; La «Verità» viene da Dio, che è
presente nell'«Anima di ogni uomo». Ma la «Verità» è presente anche nell'uomo,
quindi la «Verità» è la luce di Dio, la «Verità» è Dio. Questa concezione collega Agostino a
Plotino che affermava che la divinità, cioè l' «Uno», è la «Verità».
Il
processo conoscitivo, sostiene infatti
Agostino, non può che nascere all'inizio dalla «Sensazione», nella quale il corpo è passivo, ma poi
interviene l' «Anima» che giudica le cose sulla base di
criteri che vanno oltre gli oggetti corporei. Egli osserva come ad esempio i
concetti matematico-geometrici che applichiamo agli oggetti corporei
abbiano le caratteristiche spirituali della «necessità, dell'immutabilità, e
della perfezione», mentre gli oggetti in sé sono contingenti. Per esempio
nessuna simmetria, nessun concetto perfetto si potrebbe riconoscere nei corpi
se l'intelligenza non conoscesse
già in anticipo questi criteri di perfezione. Da dove deriva questa perfezione?
La risposta è che al di sopra della nostra mente c'è una somma «Verità», una «ratio superior», ossia
più elevata del Mondo sensibile, dove le «Idee» restano immutate nel tempo e ci
permettono di descrivere la realtà degli oggetti contingenti. Si può notare
come Agostino assimili quei concetti perfettissimi alle «Idee» di Platone, ma diversamente
da quest'ultimo egli le concepisce come i pensieri di Dio che noi intuiamo non in virtù della platonica reminiscenza, ma grazie a un' illuminazione operata direttamente da Dio.
L'intelletto umano trova la «Verità»
come Oggetto ad esso
superiore: la «Verità» misura di tutte le «Cose», e lo stesso intelletto è misurato rispetto ad essa, al punto
tale che in riferimento alla «Verità» non si potrebbe neppure parlare
propriamente di Oggetto, bensì di Soggetto. È come se Dio, in quanto essere intelligibile, fosse un sole che illuminando tutte le «Cose»
le rende perciò intelligibili: come è necessaria una luce corporea per vedere
gli oggetti intorno a noi, così occorre gettare un'altra luce incorporea (Dio)
per vedere le «Idee».
La
dimostrazione della «Verità» coincide quindi con quella dell'«Esistenza di Dio».
In proposito, il filosofo utilizzava un ragionamento
per assurdo per dimostrare l' «Eternità della Verità»: se un giorno la «Verità»
non esistesse più, allora sarebbe vero che essa non esiste più. Ciò sarebbe
un'assurda contraddizione in termini, per cui la «Verità» deve essere «Eterna».
Essa scaturisce da un duplice movimento: da un lato l' «Anima» la cerca, secondo un assunto che presenta notevoli
influenze platoniche: la fuga dal corpo avviene perché l' «Anima» ricerchi la «Verità».
In questa ricerca ci sono anche influenze socratiche che si rifanno al motto «conosci te stesso». Dall'altro
però, anche Dio vuole farsi conoscere dall'uomo, perché non è il Dio
impersonale dei platonici: Egli ama le sue creature. Parafrasando San Paolo, Agostino affermava che l'uomo può
raggiungere la «Verità», ma non la può possedere, poiché sarebbe possedere Dio;
piuttosto, l'uomo ne viene posseduto.
Ciò
significa che Dio, per un verso, è «Immanente» alla ragione umana, cioè è presente
dentro di noi come condizione del nostro pensare:
i nostri pensieri nascono da Lui, sebbene Egli sia «inconscio» e prema perciò per affiorare alla
nostra «coscienza». Per altro
verso, però, Dio è «Trascendente», cioè è
assolutamente Altro da noi: Egli è il traguardo ultimo dei nostri pensieri che
sbadatamente rivolgiamo agli oggetti finiti. Poiché Dio è Infinito, non
possiamo racchiuderlo in una definizione esaustiva. Per questo, nel risalire a
Lui, occorre andare «oltre» i confini della nostra «Ragione», fino a vivere l'
«estasi» intuitiva, nella quale Dio e il Mondo,
che prima erano separati da un insormontabile divario, finalmente si
riconciliano: «Il nostro cuore non ha pace finché non riposi in Te».
Donando la «Fede», Dio esaudisce
così la richiesta di «Senso» da parte della «Ragione». Agostino cercò di approfondire il
rapporto tra «Fede e Ragione» soprattutto in seguito alla polemica contro i manichei che giudicavano la religione cristiana
credulona e primitiva. Per Agostino la «Fede cristiana» non è mai disgiunta
dalla «Razionalità»: nel rapporto con Dio, il «Credere e il Comprendere» si
condizionano a vicenda. Si crede purché si comprenda, e si comprende purché si
creda. Agostino si accorse che il «Credere» è una condizione ineliminabile
della vita umana, tutta fondata su credenze che noi prendiamo per buone prima
di averle personalmente sperimentate. A ben guardare, tutte le nostre conoscenze
si fondano su atti di «Fede», i quali però una volta accolti rendono possibile
una coscienza critica, mostrando così la loro sensatezza. Questo è il
significato del (credo ut intelligam), cioè «credo per poter
comprendere». E a sua volta il «Comprendere» aiuta a riconoscere come vero
ciò che prima andava accolto ciecamente per un atto di «Fede»: questo è il
significato dell' (intellego ut credam), cioè «comprendo per poter
credere». Si tratta anche qui di concetti di derivazione neoplatonica che vedono l' «Essere e il Pensiero», la «Realtà e la
Ragione», uniti indissolubilmente in un rapporto di reciproca complementarità.
Agostino affermò tra l'altro che
il pensiero umano possiede una natura a immagine e somiglianza di quella
divina, «Trinitaria», con tre
funzioni per un solo «Ente»: pensare, intendere e volere, distinte e
sovrapponibili. Un intervento del creatore in questa direzione induce nell'uomo
una fiducia nelle proprie capacità intellettuali. La «Ragione» infatti si
costituisce come tale solo in quanto si fa espressione del Principio
sovra-razionale da cui emana, ma poiché essa non lo può dedurre da sé in
termini logici, ha per questo bisogno di una «Rivelazione» da parte di Dio stesso, che venga
incontro all'uomo illuminandolo. La «Fede» è dunque il completamento della «Teologia Negativa», presentandosi come l'aspetto
positivo e rivelato di Dio. In virtù del nesso che lega il «Credere e il Capire»,
la Chiesa cattolica e le Scritture hanno per Agostino titoli sufficienti per poter richiedere
«Fede» nelle loro affermazioni.
Grande
impegno richiese ad Agostino lo studio della natura della «Trinità Cristiana». Da giovane egli riteneva che questa fosse
assimilabile alle tre «Ipostasi» di Plotino (Uno, Intelletto e Anima): comunque Agostino, profondendosi nella lunga elaborazione
del «De Trinitate», andò oltre la concezione di Plotino e interpretò le
sue «Ipostasi» in «Senso» analogico, come un particolare modo di esprimere la
«Triade Divina», riconducibile a tre momenti, tre facoltà spirituali di una
stessa realtà che rimane pur sempre «Una»: non le vide più subordinate l'una all'altra, ma in un rapporto paritario. L'impronta di
questa «Triade» nell'uomo è rintracciabile diversamente a seconda della
prospettiva con cui la si guardi. I tre momenti di cui consta possono essere ad
esempio: «Spirito, Conoscenza, Amore»; oppure «Memoria, Intelligenza, Volontà»; oppure «esse, nosse, velle»
(essere, conoscere, volere). Nella prospettiva dell'Amore, Padre, Figlio e
Spirito Santo corrispondono all'Amante, all'Amato e all'Amore: Rispetto all'ortodossia greco-orientale che insisteva
sulla distinzione fra le tre Persone della «Trinità», Agostino resta quindi
fedele alla tradizione latina dandone un'interpretazione unitaria; per lui le
tre Persone sono solo tre modi di agire, tre forme di relazione di un'unica
sostanza divina.
Secondo Agostino,
si possono identificare due città, ovvero due comunità fondamentali in cui sono
riuniti gli esseri umani: la «Città di Dio», cioè la comunità di coloro cui la «prescienza» divina ha accordato la «Fede» in
virtù della sua «Grazia», e che saranno destinati a salvarsi e risorgere. E la «Città
degli uomini», ovvero la comunità governata dall'amor sui (dall'amore di
sé) e delle ricchezze terrene, opposta alla prima. Secondo Agostino, tuttavia, permaneva un abisso tra Dio e il
Mondo. La «Divina provvidenza», pur guidando il
cammino dell'umanità, rimane esterna e trascendente rispetto ad esso: lo guida,
nel senso che l'indirizza fino al punto in cui la Storia avrà termine, per
sboccare in ciò che è «Oltre il Tempo». Principio e Fine restano pertanto al di là e «trascendenti» . Nella «Città di Dio» Agostino ha coniato una formula che l'avvicina molto a Cartesio: «si fallor, sun (Se m'inganno, sono)» (XI,26). Su questa certezza e indefettibilità della «Verità» Agostino ha imbastito la sua prova della «Immortalità dell'Anima». Ma nella dimostrazione dell'Immortalità non va oltre questo polisillogismo, che è di derivazione platonica e diventerà luogo comune del pensiero Cristiano:«se la "Verità" è indistruttibile, l'Anima, sede della "Verità", lo è essa pure.»
Agostino fece riflessioni anche sulle «passioni» e sui «desideri»
dell'uomo; egli affermava che, esistendo «Volontà» in tutte le passioni, le
passioni altro non sono che la «Volontà» stessa. I vari sentimenti umani non
sono altro che l'espressione e la manifestazione della nostra «Volontà»; tale
legame fra «Volontà e Sentimenti» è testimoniato dal sentimento più forte,
ovvero l' «Amore»: il «Motore della
Volontà».
Il problema Morale
proposto da Agostino dunque riguardava il «Cosa amare», e non il perché
amare o se amare. A questa
domanda, Agostino rispondeva che, tra le infinite cose che si possono amare, si
possono distinguere due «vie d'Amore»:
l' «Amore per le Creature», che porta al disprezzo del Creatore, e l' «Amore
per il Creatore», che porta al disprezzo delle Creature. Il punto centrale
della Morale agostiniana è proprio la «Carità» (dal latino charitas), intesa nel «Senso»
originale di «Amore»,
che deve tendere verso Dio, poiché Dio stesso ne è sorgente; infatti, se la «Volontà»
procede naturalmente verso un qualche «Bene», seppur basso, dunque deve e può
procedere verso Colui che è il «Bene Assoluto», poiché il «Bene Assoluto»
richiama l' «Amore» come l' «Amore» richiama il «Bene Assoluto» stesso. L' «Amore» a cui Agostino si dedicò in particolare durante i suoi
anni di vescovato, tende per natura ad unire, cioè all'«Uno». La «Radice dell'Amore», quindi, è l' «unione
con Dio» attraverso la quale nasce e si nutre l' «Amore», che, ponendosi come
centro della «Morale» e della «Volontà», non può che generare il «Bene».
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