mercoledì 9 aprile 2014

SANT'ANSELMO: «DIO ESISTE ANCHE PER CHI LO NEGA»


Trovarsi in un Paradiso religioso, tecnologico o d' altro tipo , e vivere con il terrore di perderlo, vuol dire trovarsi in un Inferno. Quel timore e' vinto solo se il Paradiso e' innanzitutto vivere nella «Verità» , e nella «Verità» appaia che il luogo dove ci si trova e' un vero Paradiso e la «Felicità» provata e' vera «Felicità» . 
Sin dagli inizi  il Cristianesimo pensa, potentemente, il legame che unisce la «Felicità» alla «Verità» . Ed e' dalla Filosofia Greca che il Cristianesimo attinge il significato stesso della parola «Verità »: «Verità» e' ciò che non può essere in alcun modo smentito. Il Paradiso cristiano e' innanzitutto la vita felice nella «Verità» così intesa. La «Verità» , con cui l' uomo e' già in rapporto nella vita presente, si dispiega in modo compiuto nella vita futura. Questo modo di pensare si manifesta, con grande splendore, nel «Proslogion» di Anselmo di Aosta, Santo per la Chiesa e massimo filosofo per i filosofi, che da Cartesio a Leibniz, da Kant a Hegel hanno meditato a lungo sul suo «Argumentum», il cosiddetto «Argomento Ontologico». 
Nove secoli fa egli l' aveva intensamente ricercato : «Un unico argomento , scrive nel “Proemio” , che per mostrarsi probante non avesse bisogno di nient' altro che di se stesso e che da solo fosse capace di sostenere che Dio esiste veramente». Un pensiero capace di mostrare da solo che l' affermazione dell'esistenza di Dio e' «Verità»! Da solo, cioè senza farsi aiutare nemmeno dalla «Fede cristiana». 
Da vero filosofo, Anselmo dice addirittura che anche se egli non volesse più credere nell'esistenza di Dio, trasgredendo così quanto gli impone la «Fede cristiana», questo «Argomento» dimostrerebbe egualmente l' impossibilità di negare tale esistenza. L' «Argomento» non ha lo scopo di far nascere la «Fede»: Anselmo crede, ha «Fede». Ma la «Fede» non gli basta; anche se e' la «Fede» stessa ad esigere un sapere superiore, capace di «Leggere dentro» (intelligere) le pieghe delle cose , a differenza della «Fede», che non legge dentro le cose ultime, ma le mostra «Attraverso uno specchio, in enigma», come dice l' Apostolo. L' «Argomento» ha bisogno solo di sé , non della «Fede». Ma la «Fede» e' il terreno in cui ci si deve inizialmente trovare, proprio per potersi sollevare al di sopra di esso. «Non cerco infatti di intendere allo scopo di Credere; ma Credo allo scopo di intendere». 
Dio e' presente a chi crede, ma Anselmo gli dice: «Io cerco il tuo volto», che rimane «Luce inaccessibile». Con la pura audacia del filosofo, prega il Dio in cui crede di fargli vedere la sua «Luce» «Anche da lontano o dal profondo». E l' «Argomento» unico e potentissimo, vera turris eburnea e janua coeli, gli si fa incontro con «Certa verità e vera certezza». Sì , non appena scoperto incomincia la delusione. «Hai forse trovato, «Anima» mia, quel che cercavi?». Con l' «Argomento» vero e certo la sua «Anima» sa che Dio esiste; eppure: «Come mai non senti ciò che hai trovato?». 
Solo nella vita futura del Paradiso la fame può essere saziata. Ma il gaudio in cui entreranno i beati non sarà più la semplice «Fede», ma la «Piena conoscenza» di Dio, che si manifesterà ai loro occhi in tutta la sua ricchezza ora inaccessibile, ma con la «Verità» con cui, qui sulla terra, l' «Unico argomento» ha mostrato l' esistenza di Dio. E i beati avranno la «Vera sicurezza» (vera securitas) che la loro «Felicità» non verrà mai meno (numquam et nullatenus). «Godranno tanto quanto ameranno, e ameranno tanto quanto conosceranno». Ma cosa dice, dunque, l' «Argomento»? 
Nel "Proslogion" Dio viene dimostrato a «Priori», ossia con un ragionamento che prescinde dal riferimento all’esperienza. Nel "Proslogion" si prende inizio, infatti, dalla nozione di Dio che possiede anche chi lo «Nega». Secondo Anselmo, l’insipiens (il non sapiente, lo stolto) dice «non c’è Dio». Ma l’insipiens, per poter negare l’esistenza di Dio, deve avere una qualche idea di Dio nel suo intelletto, cioè deve dare un significato alla parola Dio. Chi «Nega» Dio intende con tale parola almeno questo: che egli e' «Ciò di cui niente può essere pensato più grande» (id quo maius cogitari nequit). Negandolo ne ammette l’ esistenza nella sua «Mente». Ma «Ciò di cui niente può essere pensato più grande» «Deve Esistere Realmente». Infatti, se non esistesse Realmente, non sarebbe «Ciò di cui niente può essere pensato più grande», appunto perché almeno mancherebbe di tale esistenza. Ma se Dio esistesse solo nella nostra «Mente», e non in «Realtà» , lo si potrebbe pensare Reale; ma in questo modo avremmo pensato qualcosa di «Maggiore» di «Ciò di cui niente può essere pensato più grande». 
Ammettiamo dunque che «Ciò di cui niente può essere pensato più grande» esista nel solo «Intelletto», e non nella «Realtà»; ma se è dunque nel solo «Intelletto», si può almeno pensare che esista anche nella «Realtà», il che sarebbe «Maggiore» di quello che non poteva essere «Minore» di nient'altro: vi aggiungeremmo infatti la fondamentale caratteristica della «Reale esistenza». Ne seguirebbe un «paradosso»: qualcosa sarebbe «Maggiore del più Grande». A questo punto, chi «Nega» ancora che a un tale concetto dell'«Intelletto» corrisponda una «Realtà», necessariamente si contraddice, perché solo attribuendogli l'esistenza riusciremmo a pensarlo davvero come «il più grande». Ciò che esiste nella «Realtà», secondo Anselmo, ha più valore di ciò che esiste nel solo «Intelletto», secondo la concezione tipicamente «Platonica» che identificava il «Bene» con l'«Essere». 
L'albero esiste nella «Realtà» e quindi anche nell'«Intelletto», mentre non tutto quel che esiste nella «Mente» esiste anche nella «Realtà» (ad esempio un cavallo alato). Ma non si può concepire Dio come il massimo delle qualità senza attribuirgli una «Reale Esistenza», poiché anche l'«Esistenza» è una qualità. 
Dio dunque «necessariamente» esiste non solo come qualcosa di pensato, (nella nostra Mente), ma... anche come qualcosa di «Reale»














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