Dio,
secondo il «Cristianesimo», non è conoscibile dall'uomo, se egli stesso non si «rivela
a lui». Secondo il cattolicesimo, l'uomo può arrivare a provare l'«Esistenza»
di Dio attraverso percorsi filosofici e logici, ma non può comunque
arrivare alla sua conoscenza con la pura «Ragione»: usando cioè le parole di
Tommaso d'Aquino (a cui si ispira la Dottrina Ufficiale della Chiesa), la «Ragione» può arrivare a conoscere il «quia est»
di Dio (il fatto che Egli è) ma non il «quid est» (che cosa è); per
sapere «chi è Dio» occorre il dato della «Rivelazione».
Dio si è rivelato agli uomini «nei tempi
antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti» e in
generale nella storia di Israele, testimoniata dalla Sacra
Scrittura.
La piena e definitiva «Rivelazione» di Dio si è avuta con «Gesù Cristo», poiché egli è al tempo stesso «Figlio di Dio» (e
dunque Dio egli stesso) e uomo per effetto dell'incarnazione.
Tale «Rivelazione» è stata tramandata nel «Vangelo» e in generale nel «Nuovo Testamento»,
ed approfondita nella riflessione successiva.
Dio
secondo il «Cristianesimo»
è dunque il primo dogma: «Uno» e «Trino», una Sostanza in tre Persone, «Padre, Figlio e Spirito Santo». Il Padre e il Figlio, l'«Essere» e il «Pensiero»
(il Logos)
sono in una reciproca dimensione relazionale di «Amore», espressa (e
personificata) dallo «Spirito Santo». Dio è
«Personale, Eterno,
Onnipotente,
Onnisciente,
Perfettissimo, Creatore dell'Universo, Provvidenza e Salvezza degli uomini», creature poste al vertice dell'ordine
del creato.
Il secondo dogma del
Cristianesimo è la «Fede» in Gesù Cristo, Figlio di Dio, Verbo
eterno del Padre, che si incarnò
in forma umana, nascendo dalla Vergine Maria. Dopo aver predicato l'«Amore»
infinito di Dio verso gli uomini, portò a compimento la sua missione con la sua
«Passione» e «Morte in Croce». Il Padre lo «Resuscitò» il terzo giorno (Pasqua di Risurrezione), aprendo agli uomini la possibilità della «Redenzione». Mandò poi lo «Spirito Santo» sui suoi discepoli,
che formarono la «Chiesa».
«Preso
il boccone, Giuda subito uscì. Ed era notte...» (Giovanni 13,21-30). Su Gerusalemme, dunque, si stende il
velo delle tenebre e Giuda, il traditore, dopo aver partecipato a quell’ultima
cena durante la quale Gesù gli aveva espresso un estremo gesto
di attenzione offrendogli il “boccone dell’ospite”, segno di cordialità, s’avvia
di corsa per le strade deserte della «città santa» a consumare il suo tradimento.
In quella «grande sala, arredata e già apparecchiata, al piano superiore» di
una casa "gerosolimitana" (Marco 14,15),
era salito Gesù con i suoi discepoli. Là aveva
celebrato la cena pasquale e poi, uscito Giuda, aveva iniziato a parlare.
Quella sarebbe stata l’ultima sera della
sua vita terrena. Le sue
parole, perciò, acquistavano il sapore di un testamento. Giovanni,
l’evangelista, ha rielaborato quei discorsi secondo uno stile che è stato
chiamato “a ondate” perché, come accade ai flutti della risacca sul litorale
che ricoprono lo stesso spazio in forme sempre diverse, così i temi dominanti,
la «Fede» e l’«Amore», ritornano ripetutamente su sé stessi, ma costantemente
con tonalità e sfumature differenti. Facciamo solo due citazioni.
L’una è per la «Fede», che è
comunione con Cristo: «Io sono la vera
vite, voi i tralci. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far
frutto da sé stesso, se non rimane nella vite, così anche voi, se non rimanete
in me. Io sono la vite, voi i tralci» (Giovanni 15,1.4-5).
L’altra citazione è sull’«Amore»:
«Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così anche voi amatevi gli uni
gli altri... Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come
io ho amato voi» (13,34; 15,12). Ora, però, la nostra analisi si
concentra sulla frase di Gesù: «Io
sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me»
(Giovanni 14,6).
Gesù ha fatto balenare ai suoi amici ciò che lo attende, la
morte e il successivo ingresso nell’orizzonte divino, promettendo che là
avrebbe preparato un posto anche per loro. Tommaso, il “dubbioso”, gli obietta:
«Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo
conoscere la Via?». E la risposta di Cristo è in quella «Potente»
affermazione che abbiamo citato. Essa si apre con quell’«Io sono» che vale molto di più di una semplice copula verbale
perché, come spesso avviene nel quarto Vangelo (si legga, ad esempio, Giovanni
8,58), si rimanda alla solenne autopresentazione di Dio nel roveto ardente
al Sinai: «Io sono colui che sono» (Esodo
3,14).
A quella premessa gloriosa si collegano «tre titoli» che
s’inanellano tra loro. Infatti, Cristo è «la Via» per raggiungere il Padre proprio perché è «la Verità», ossia la «Rivelazione
perfetta del mistero di Dio». Attraverso lui, perciò, «conoscerete la Verità che
vi farà liberi » (8,32). I nostri passi avanzeranno verso quell’orizzonte di «Luce», guidati dalla parola di Gesù che è «Verità».
La «Verità» è un vocabolo usato non nel «senso» della filosofia classica ove indicava lo svelamento dell’«essere», della sostanza della realtà, bensì è adottato per designare la «Rivelazione» che Cristo è venuto a portare nel mondo. La «Verità» è la Parola di Dio che Gesù ci rivela e che deve diventare la «Via» della nostra fede e la lampada della nostra carità. La vera lode a Dio sale, quindi, dalla nuova creatura redenta e liberata dal male.
La «Verità» è un vocabolo usato non nel «senso» della filosofia classica ove indicava lo svelamento dell’«essere», della sostanza della realtà, bensì è adottato per designare la «Rivelazione» che Cristo è venuto a portare nel mondo. La «Verità» è la Parola di Dio che Gesù ci rivela e che deve diventare la «Via» della nostra fede e la lampada della nostra carità. La vera lode a Dio sale, quindi, dalla nuova creatura redenta e liberata dal male.
Ma egli è anche «la Vita» che
non perisce, l’essenza stessa di Dio, ed è per questo che, stando uniti a lui
in pienezza, appunto come i tralci al tronco della vite, noi saremo ammessi
all’intimità vitale con Dio, il Padre, Signore della vita. Mettiamoci, allora,
sulla strada che egli ci rivela e, stretti a lui, raggiungeremo la «Luce eterna
e divina»: «Io sono la luce del mondo;
chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita»
(8,12).
la «Luce» è un simbolo di Dio perché riesce a esprimere nettamente due qualità specifiche del divino che i teologi chiamano la «Trascendenza e l’Immanenza». Da un lato, infatti, la «Luce» è esterna a noi, non la possiamo prendere tra le mani e strappare o dominare, ci «Trascende», ossia ci supera, è altra e diversa rispetto a noi, rappresentando quindi il mistero e la distanza che intercorre tra noi e Dio. D’altro lato, però, essa ci avvolge, ci rivela, ci riscalda, ci fa «vivere» ed è perciò «Immanente», cioè rimane con noi e dentro di noi, raffigurando in tal modo la vicinanza della divinità alle sue creature.
la «Luce» è un simbolo di Dio perché riesce a esprimere nettamente due qualità specifiche del divino che i teologi chiamano la «Trascendenza e l’Immanenza». Da un lato, infatti, la «Luce» è esterna a noi, non la possiamo prendere tra le mani e strappare o dominare, ci «Trascende», ossia ci supera, è altra e diversa rispetto a noi, rappresentando quindi il mistero e la distanza che intercorre tra noi e Dio. D’altro lato, però, essa ci avvolge, ci rivela, ci riscalda, ci fa «vivere» ed è perciò «Immanente», cioè rimane con noi e dentro di noi, raffigurando in tal modo la vicinanza della divinità alle sue creature.
Gesù
invita a non guardare più a quelle alte fiamme luminose che brillano nella
notte “gerosolimitana”, ma a cercare un’altra «Luce»
che permette di non vivere più sotto l’incubo delle tenebre spirituali. Come è
noto, infatti, l’oscurità è il regno del delitto, del
vizio, del male: «Quando non c’è luce, si leva l’omicida per assassinare poveri e
inermi. Di notte s’aggira il ladro col volto incappucciato e l’occhio
dell’adultero spia l’arrivo del tramonto pensando: Nessun altro occhio mi
vedrà! Nelle tenebre si forzano le case» (Giobbe
24,14-16).
Per questo, Cristo si definisce anche come «La Luce della Vita». La sua è una presenza che
indica il «percorso morale» che conduce alla vera «Vita», che non è soltanto
quella fisica, come non è soltanto corporea la vista che poco tempo dopo egli
offrirà al cieco nato. Infatti, il racconto del successivo capitolo 9 del
Vangelo di Giovanni non approderà soltanto alla gioia di chi riesce finalmente
a vedere la luce e i colori della natura, ma anche alla meta
di chi potrà proclamare la sua professione di «Fede»
in Gesù Cristo, «Luce» della sua «Vita»: «Credo, Signore! E gli si prostrò innanzi» (9,38).
E allora anche tutti noi, «se camminiamo nella luce, come Dio è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri» nell’amore (1Giovanni 1,7).
E allora anche tutti noi, «se camminiamo nella luce, come Dio è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri» nell’amore (1Giovanni 1,7).
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