Di poco più anziano di Geremia, il profeta Sofonia (“il Signore protegge”) visse sotto il regno di
Giosia e all’epoca della riforma religiosa compiuta da quel re, attorno al 622
a.C. (2Re 22). La sua predicazione si muove sostanzialmente lungo due
traiettorie: il giudizio inesorabile sui peccatori di Giuda e la speranza per
gli “anawim”, i «poveri» del Signore, che verranno da lui salvati e difesi.
Una prima parte
(1,2-2,3) raccoglie oracoli molto severi di giudizio, che rimandano
ripetutamente al «giorno di JHWH», cioè al suo intervento all’interno del
groviglio di ingiustizie presente nella storia (si ricordi che il tema del
«giorno di JHWH» era stato annunziato per la prima volta dal profeta Amos nell’VIII secolo a.C.). La tradizione cristiana medievale si è ispirata proprio a
questa pagina di Sofonia per creare il celebre canto del “Dies irae”.
Una seconda parte
(2,4-3,8) raccoglie, invece, oracoli contro le nazioni che vengono giudicate da
Dio: sfilano i Filistei, Moab, Ammon, l’Etiopia, l’Assiria e, infine,
Gerusalemme, «città ribelle» e prepotente. Ma ecco, all’improvviso, nella terza
parte (3,9-20) la grande svolta: l’orizzonte si illumina e il “resto” fedele a
Dio e le stesse nazioni giuste vedono aprirsi una nuova era di gioia e di pace.
Si cita probabilmente un canto di Sion (3,14-18), in cui si esalta l’ingresso
del Signore nel cuore della città santa come cittadino e come salvatore. Sarà
una presenza che irradierà su tutto Israele e sull’intera umanità speranza,
gioia e salvezza.
Giudizio e salvezza, terrore e felicità si accostano in
questo libretto che rivela la ripresa di temi già noti (il «giorno di JHWH» e i
«poveri» del Signore), ma anche l’inserzione di elementi posteriori di epoca
post-esilica, come quello sulla conversione delle «isole» (2,11), cioè dei
popoli lontani, sulla scia del Secondo Isaia. Un libretto che mostra, quindi,
come la parola di Dio veniva conservata e applicata a nuovi contesti e
prospettive, per offrire a tutti il dono della salvezza.
Nota Finale
Sofonia è uomo dotato di un vivo senso del
peccato, che egli sente come una profonda offesa alla maestà del Dio vivente.
Egli profetizza durante i primi anni del re di Giuda Giosia (640-609 a.C.),
annunciando con linguaggio espressivo l’avvento del “giorno del Signore”, in cui
la punizione di Dio si abbatterà su tutte le nazioni. Giuda stesso è condannato
per la sua corruzione religiosa e morale, provocata dall’orgoglio e dalla
disubbidienza. Pochi si salveranno, ammonisce il profeta: la collera divina
risparmierà soltanto coloro che si pentiranno e torneranno al Signore.
È un annunzio molto vicino ad alcune pagine di Amos, ma anticipa anche certi temi del quasi contemporaneo Geremia, come la condanna dei sacerdoti e dei profeti che portano la nazione alla rovina. La descrizione del “giorno del Signore” ha ispirato l’inizio di un celebre testo liturgico medievale, il “Dies irae”.
È un annunzio molto vicino ad alcune pagine di Amos, ma anticipa anche certi temi del quasi contemporaneo Geremia, come la condanna dei sacerdoti e dei profeti che portano la nazione alla rovina. La descrizione del “giorno del Signore” ha ispirato l’inizio di un celebre testo liturgico medievale, il “Dies irae”.
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