Di questo profeta, il cui nome sembra rimandare in ebraico a una pianta
acquatica, si conosce ben poco. Il nemico che incombe nel suo breve scritto è
variamente interpretato: si va da un personaggio dello stesso regno di Giuda,
che, ribellandosi a Nabucodonosor, ne causò l’invasione del paese (VII-VI secolo a.C.), fino ai Greci dell’epoca di Alessandro Magno
(IV-III secolo a.C.), dagli Assiri ai
Babilonesi. L’opinione prevalente colloca Abacuc sul finire del VII secolo a.C.
Il suo libretto raccoglie una specie di dialogo tra il profeta e Dio secondo diverse tonalità
letterarie. Ci si lamenta che il giusto sia oppresso (1,1-4) e JHWH risponde
annunziando l’irruzione dei Caldei (Babilonesi), che con la loro potenza
giudicheranno il “nemico” nel nome del Signore (1,5-11). Il profeta avanza
ancora la sua accorata protesta a Dio a causa della prepotenza dei tiranni
(1,12-2,1). Il Signore replica dichiarando che l’empio perirà mentre il giusto
per la sua fede vivrà (2,2-5). Viene, così, affermata la vittoria del bene sul
male.
Seguono cinque «Guai!» contro il
tiranno che opprime le nazioni: egli sarà votato alla rovina e i popoli
ritroveranno la loro libertà (2,6-20). Il libro è concluso da un salmo, forse
più antico, in cui si esalta l’epifania gloriosa e potente del Signore che
giudica e salva. I versi di questo poema sono di grande intensità, segnati da
una vera e propria coreografia di immagini. Il libro di Abacuc – considerato
uno degli scritti più profondi dell’Antico Testamento – ha avuto un notevole
successo nella successiva tradizione giudaica e cristiana.
Il profeta appare anche nel libro di Daniele (14,33-39)
in un episodio curioso, già da noi letto. Nel Nuovo Testamento la sua frase: «Il giusto sopravvive per la sua fedeltà!»
(Ab 2,4) sarà usata da Paolo quasi come dichiarazione di base per la sua
riflessione teologica sulla fede e sulla grazia (Romani 1,17; Galati 3,11; vedi
anche Ebrei 10,38). Tra i manoscritti trovati a Qumran, presso il Mar Morto, è
venuto alla luce un antico commento agli oracoli del profeta, mentre la
versione greca antica di 3,2 («Ti
manifesterai in mezzo a due animali…») è stata alla base, con Isaia 1,3,
della tradizione della nascita di Gesù tra il bue e l’asino.
Nota Finale
In questo libro il
profeta pone direttamente a Dio l’eterna domanda che tormenta l’uomo: «Perché taci mentre l’empio ingoia il giusto?»
E la risposta è che il Signore regna sempre sulla storia e, sia pure attraverso
vie imperscrutabili, sceglierà il tempo in cui punire i malvagi e ristabilire
il suo ordine; nell’attesa «il giusto
vivrà per la sua fede». Questa espressione, ripresa soprattutto da Paolo
nella lettera ai Romani, ha assunto un’importanza fondamentale nel pensiero
cristiano come punto d’inizio dell’approfondimento teologico del concetto di
“fede”.
La composizione
dell’opera risale probabilmente
alla fine del VI secolo a.C., quando i Caldei (cioè i
Babilonesi) sottomettono l’Assiria e minacciano direttamente Giuda. Al termine
del libro si trova però anche un carme più antico, forse del X secolo a.C., che celebra l’irruzione trionfale del Signore nella storia
umana per giudicare e salvare.
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